Federalismo e repubblica semi-presidenziale. Ecco il (necessario) modello italiano
Lo svolgimento, in Lombardia e Veneto, dei referendum consultivi riconducibili al quadro normativo previsto dall’articolo 116 della Costituzione ha riportato al centro del dibattito i temi dell’autonomia e della riorganizzazione territoriale dello Stato. Purtroppo, come troppo spesso accade, la rissa verbale ha preso il sopravvento sulla sostanza della (complessa) materia, tra improbabili parallelismi con le vicende catalane e maldestri tentativi di derubricare tali consultazioni a folklore padano. Una politica seria si dovrebbe tenere alla larga da questo inutile rumore di fondo e proporre idee forti che sappiano governare con successo le dinamiche e le istanze che provengono dal territorio, che non possono essere più ignorate. Anzi, i referendum consultivi siano il volano per una riflessione più approfondita.
L’Italia vive una lunga crisi: delle sue istituzioni e del suo sistema politico. Questi due problemi non possono essere affrontati separatamente, ma sono legati in modo indissolubile. Nella fragilità della democrazia rappresentativa e dei sistemi parlamentari che arrancano, la malerba del pensiero breve mette facilmente radici, occupando quel fossato tra istituzioni e cittadini che in questi anni si è allargato sempre più. Se vogliamo diventare un Paese moderno, è necessario sostenere e introdurre costantemente nel dibattito tre scelte nette in merito a forma di governo, sistema elettorale e riorganizzazione territoriale. Non si tratta d’elaborare ingenue e inutili “liste dei desideri”, ma d’impegnarsi con coraggio riformista per governare le dinamiche del cambiamento anziché subirle. Tenendo a mente che il costituzionalismo è come la chimica: non basta mettere insieme gli elementi, ma bisogna far sì che stiano in equilibrio, affinché agiscano correttamente.
1. Semi-presidenzialismo ispirato al modello francese. Questa soluzione sembra essere l’unica opzione davvero in grado di sanare la duplice debolezza, istituzionale e partitica, che affligge il Paese. L’elezione diretta del Presidente della Repubblica con ballottaggio assicura un potere esecutivo più forte, garantendo al tempo stesso la legittimazione popolare e una maggiore responsabilità politica. Così come avvenuto in Francia negli anni Sessanta, il semi-presidenzialismo favorirebbe la ricostruzione del circuito fiduciario tra le istituzioni e il corpo elettorale, e metterebbe la parola fine alla girandola delle crisi al buio e ad impopolari giochi di palazzo. Questo ridarebbe credibilità e autorevolezza alle istituzioni e riavvicinerebbe i cittadini alla politica. Inoltre, il semi-presidenzialismo permetterebbe all’architettura istituzionale di essere flessibile quando necessario, in quanto il Presidente della Repubblica – in carica per cinque anni – avrebbe facoltà di cambiare il Primo Ministro e il governo se opportuno, senza alcuna drammatica discontinuità nell’azione dell’esecutivo. Ovviamente, nel caso il sistema semi-presidenziale venisse applicato nel nostro Paese, non potrebbe essere la fotocopia di quello francese, ma dovrebbe essere adattato con l’introduzione di opportuni pesi e contrappesi: ad esempio, è da escludere l’importazione dei poteri emergenziali assegnati al Presidente della Repubblica dall’articolo 16 della costituzione francese, così come il potere presidenziale di indire referendum. L’opzione semi-presidenziale gode di grande popolarità in larghi settori della politica, dell’accademia e dell’opinione pubblica: non stiamo parlando di astratti voli pindarici, ma di un punto programmatico concreto che già raccoglie numerosi consensi, anche trasversali.
2. Sistema elettorale maggioritario uninominale a doppio turno. Sempre sulla scorta di quanto avviene in Francia, le elezioni legislative per la Camera dei deputati dovrebbero essere regolate da un sistema maggioritario uninominale a doppio turno. La combinazione tra questo sistema elettorale e la forma di governo semipresidenziale ha consentito alla Francia d’uscire dal caos della Quarta Repubblica. Tale sistema è stato affinato con la riforma del 2002, che prevede lo svolgimento delle elezioni presidenziali poco prima di quelle legislative, così da garantire l’effetto-traino delle prime sulle seconde ed evitare una maggioranza parlamentare d’orientamento politico opposto a quello del presidente. Il sistema maggioritario ha favorito in Francia la nascita spontanea di un bipolarismo che, seppur non basato su due partiti, ha creato due coalizioni opposte che si alternano alla guida del Paese. Il sistema sembra garantire la stabilità e la governabilità anche in un’ottica di tripolarismo o di radicale mutamento del panorama partitico, come in occasione della comparsa sulla scena politica – e di netta vittoria – di Macron.
3. Bicameralismo differenziato e riforma degli enti locali in senso federale. Il monocameralismo è l’opzione più adatta per Paesi piccoli e omogenei. Un Paese come l’Italia, che presenta una spiccata differenziazione territoriale e socioeconomica, non può che affidarsi a un sistema bicamerale nel quale la seconda Camera sia espressione degli enti territoriali. È pressoché scontato che solo alla Camera dei deputati debba esser affidato il rapporto di fiducia col governo, mentre sulla composizione e sulle funzioni del Senato è necessaria una riflessione più approfondita che sappia cogliere la specialità italiana (e che non si affidi a fallimentari modelli austriaci, come proposto dalla fallita riforma costituzionale del 2016). È imperativa, inoltre, una ridefinizione dei rapporti tra lo Stato e gli enti locali poiché il mero centralismo non può essere la semplicistica risposta alle tante sfide che ci impone il mondo globalizzato. Si parta da domande scomode ma fondamentali, ad esempio: le regioni hanno ancora un senso o si dovrebbe prendere in considerazione la loro abolizione in favore di un altro ente intermedio che sia più aderente alle realtà territoriali dell’Italia? Oppure va valorizzato il ruolo dei Comuni, vera spina dorsale del sistema territoriale italiano? Quali che siano le risposte a tali quesiti, esse dovrebbero essere date tenendo bene a mente quelli che sono i principi di un federalismo che possa dirsi tale: sussidiarietà, razionalizzazione delle risorse, autonomia fiscale di entrate e di uscita per gli enti locali – perché il federalismo è fiscale o non è –, competitività fra i territori nel quadro di un sistema di solidarietà equilibrato e non meramente assistenziale. Il federalismo è l’unico sistema politico che consente di governare la globalizzazione attraverso la valorizzazione delle diversità territoriali: perché identità e partecipazione sono due parole che, ora più che mai, è necessario riscoprire.
*Federico Cartelli, collaboratore Charta minuta