SOTTOMESSI ALLA CINA NELLA TRANSIZIONE VERDE
La parola d’ordine di questo secolo è transizione energetica. Sentiamo ripetercelo in continuazione.
Questo perché l’umanità si sarebbe posta un obiettivo molto ambizioso, che sarebbe quello di mantenere il riscaldamento globale entro il 2050 al di sotto di 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali, e possibilmente limitarlo a 1,5 gradi, come sancito nel dicembre 2015 alla COP21 di Parigi.
Per raggiungere questo obiettivo lo strumento principale sarebbe la transizione energetica, cioè il passaggio da un mix energetico centrato sui combustibili fossili a uno a basse o a zero emissioni di carbonio, basato sulle fonti rinnovabili.
Ma una transizione verso un pianeta “rinnovabile”, richiederà ingenti quantità di metalli e minerali, elementi costitutivi delle tecnologie verdi e digitali.
Il carbone ha fatto la rivoluzione industriale, il petrolio ha sancito l’egemonia statunitense nel Novecento, il nuovo mondo delle rinnovabili ha bisogno del suo carburante. Ed è chiaro che chi lo controlla è in posizione di vantaggio. Perché dovremo estrarne in quantità spropositate, se davvero vorremo liberarci del combustibile fossile.
Ma chi lo controlla?
Al momento è la Cina l’indiscusso leader del settore, del quale detiene, in taluni ambiti, anche l’80% della produzione totale mondiale, sfiorando livelli monopolistici.
Un posizionamento che è già un’arma geopolitica a disposizione del Partito comunista cinese e che potrebbe avere fortissime ripercussioni sull’Europa e sui sogni del Green New Deal e della sovranità tecnologica tanto auspicata.
La guerra dei metalli rari infatti è già qui. E non è una guerra scatenata solo dalla scarsità di questi elementi, anzi alcuni sono mediamente abbondanti sulla crosta terrestre ma è l’ultimo, disperato tentativo, da parte di un Occidente in estremo e colpevole ritardo, di ricompattarsi, per spezzare il monopolio sull’estrazione, lavorazione e produzione di materiale grezzo fino al prodotto finito che la Cina ha saputo assicurarsi.
Perché la cruda realtà, ad oggi, è che la Cina sarà l’unica a produrre ogni elemento necessario di cui si fregia la nostra -molto chic- civiltà “green”.
Questi sono i costi reali di una transizione energetica irrazionale, decisa sotto la spinta emozionale dell’emergenza climatica. Costi geopolitici, di sovranità ceduta, ma anche sociali ed ambientali, di un nuovo brutale sfruttamento dei paesi poveri da parte di una superpotenza totalitaria.