AGENDA GIUSTIZIA LE RIFORME NECESSARIE
Alla luce della situazione attuale, caratterizzata da svariate criticità che postulano interventi immediati, è plausibile che la giustizia non rientri tra i temi su cui il Governo metterà mano nell’immediato. Ancora meno è ipotizzabile ragionare di riforme che postulino una revisione costituzionale, come la separazione delle carriere, pur essendo un punto condiviso dalle forze politiche che compongono il Governo.
Forse vale la pena soffermarsi sulla legge che, da ultimo, si è occupata dell’ordinamento giudiziario (la n.71 del 2022) giacchè da questa probabilmente si muoverà implementando le deleghe che essa contiene. La legge ha un contenuto molto ampio, contemplando anche disposizioni immediatamente applicative, con una commistione che non è certo espressione di una buona tecnica legislativa.
Quanto alla “Delega al Governo per la riforma ordinamentale della magistratura”, viene affrontato in primo luogo il tema dei criteri di assegnazione degli incarichi direttivi, prendendo le mosse da una esplicita affermazione del principio di trasparenza dei procedimenti, per l’innanzi disciplinato in modo riduttivo dal cosiddetto “testo unico” della dirigenza giudiziaria emanato dal CSM. La legge prevede “espressamente l’applicazione dei principi di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241 ai procedimenti per la copertura dei posti direttivi”: che l’applicazione dei principi di cui alla legge 241 debba essere prevista “espressamente” suona come una stonatura rispetto a principi che il sistema dovrebbe avere introiettato, soprattutto con riguardo a deliberazioni che per definizione dovrebbero essere ispirate a “trasparenza”.
Si prevede poi che la “commissione competente del Consiglio superiore della magistratura proceda sempre all’audizione dei candidati”. Nonostante il parere critico sul punto del CSM, che ha ragionato di “inutile dispendio di energie” e di “evidente dilatazione dei tempi”, non pare che questo aggravio possa essere addotto come la causa dei ritardi. Si tratta invece di un passaggio procedurale ampiamente compensato dalla sua utilità.
La norma appare certamente più opportuna rispetto a quella che prevede, accanto all’acquisizione di un parere del consiglio dell’ordine degli avvocati, anche il parere, da acquisire “in forma semplificata e riservata” (sic!), dei magistrati e dei dirigenti amministrativi dell’ufficio. Il CSM teme che i pareri dei consigli degli ordini possano consistere in giudizi valutativi, ma si tratta di una evidente petizione di principio. Inquietante appare piuttosto la previsione relativa all’acquisizione in forma “riservata” del parere di magistrati e dirigenti amministrativi. Si tratta di un adempimento difficilmente produttivo di qualche effetto, aggravato dall’ambigua previsione della natura “riservata”. Si tratta di una disposizione infelice a cui sarebbe preferibile non dare seguito. Siamo al cospetto di innesti che non sembrano contribuire a migliorare il “rendimento” di un sistema già farraginoso.
La legge interviene poi sui criteri di assegnazione degli incarichi. Va apprezzato il tentativo di riportare a livello legislativo i parametri di giudizio. Viene confermato lo spazio (eccessivo?) rilasciato ai “criteri dettati dal Consiglio superiore della magistratura”. Se i criteri di attribuzione delle funzioni rimangono le attitudini, il merito e l’anzianità, la legge enuclea altri elementi che devono essere tenuti in considerazione: la “conoscenza del complesso dei servizi resi dall’ufficio per la cui direzione è indetto il concorso”, la “capacità di analisi ed elaborazione dei dati statistici”, la “conoscenza delle norme ordinamentali”. Non appare ragionevole la richiesta di conoscenza di quello specifico ufficio direttivo a concorso, che privilegia un criterio “territoriale” nell’attribuzione. Se la capacità di analisi ed elaborazione dei dati statistici e la conoscenza di norme ordinamentali sembrano elementi utili, rimangono dubbi i modi di accertamento di queste conoscenze.
Nella valutazione non si tiene conto delle “esperienze maturate nel lavoro non giudiziario a seguito di collocamento fuori ruolo della magistratura”, mentre viene rubricato come criterio residuale quello dell’anzianità. Entrambe le previsioni appaiono troppo radicali: la prima può suonare come punitiva rispetto a chi ha svolto esperienze fuori dalla magistratura. Se è condivisibile un maggiore rigore nella disciplina del fuori ruolo, non sembra ragionevole non attribuire alcuna valenza a queste esperienze. O si escludono tali incarichi, oppure devono potere essere oggetto di valutazione, con il corredo di una congrua motivazione.
Altre disposizioni sono dedicate al procedimento di conferma negli uffici direttivi: si prevede che si tenga conto “anche dei pareri espressi dai magistrati dell’ufficio, acquisiti con le modalità definite dallo stesso Consiglio, del parere del presidente del tribunale o del procuratore della Repubblica […] e delle osservazione del consiglio degli ordine degli avvocati”. Il CSM paventa che i pareri dei magistrati si traducano in “giudizi valutativi”, “potenzialmente suscettibili di generare un ampio contenzioso” e considera criticamente la rilevanza assegnata alle “osservazioni” degli avvocati.
Il vero è che traspare una malcelata (e probabilmente ingiustificata) “insofferenza” nei confronti della pratica della valutazione, soprattutto se essa proviene dal mondo dell’avvocatura.
Un’altra disposizione riguarda il conferimento di funzioni giudicanti e requirenti in Cassazione. Vengono previsti diversi elementi volti a rendere il giudizio maggiormente legato al “merito”. Si richiede l’esercizio effettivo delle funzioni per dieci anni e si tenta di ancorare la valutazione a parametri oggettivi, imponendo di tenere conto delle “esperienze maturate nel lavoro giudiziario”, in tal modo dando il giusto rilievo al tempo di svolgimento delle funzioni.
Densa di significato la previsione secondo cui, nell’attribuire rilevanza al parametro della “capacità scientifica e di analisi delle norme”, si tenga conto anche “di andamenti statistici gravemente anomali degli esiti degli affari nelle fasi e nei gradi successivi del procedimento”. Si tratta di un dato assai interessante anche se non inedito. Il riscontro di gravi anomalie non può essere ignorato in sede di valutazione. Se le decisioni assunte da un magistrato vengono sistematicamente riformate, a tale dato non può non attribuirsi un significato, anche se la legge non prefigura automatismi, non essendo escluso che l’anomalia sia ascrivibile al giudice di grado superiore.
L’art. 3 riguarda i Consigli giudiziari e le valutazioni di professionalità dei magistrati. La legge si è orientata nel senso della maggiore partecipazione della componente degli avvocati, questione oggetto di uno dei recenti referendum. Si prevede che anche i componenti avvocati e professori partecipino a tutte le attività dei consigli, ma la sola componente degli avvocati può esprimere un voto unitario sulla base del contenuto delle segnalazioni di fatti specifici ad opera dei consigli degli ordini. Il dettato normativo non va esente da critiche, non tanto per i motivi segnalati dal CSM, che rimarca l’inopportunità del voto alla componente degli avvocati, ma per la sua formulazione macchinosa. Meglio sarebbe attribuire il diritto di voto a tutte le componenti dei consigli. Non si vede che senso possa avere partecipare all’istruttoria per poi essere esclusi dal voto: tanto più che la componente dei magistrati rimane comunque maggioritaria in seno ai consigli giudiziari…
La legge di delega prevede che il consiglio giudiziario acquisisca le informazioni necessarie ad accertare la sussistenza di “gravi anomalie in relazione all’esito degli affari nelle fasi o nei gradi successivi del procedimento, nonché in ogni caso che acquisisca a campione i provvedimenti relativi all’esito degli affari trattati dal magistrato in valutazione nelle fasi o nei gradi successivi del procedimento e del giudizio”. Possono poi essere acquisiti provvedimenti relativi al seguito delle decisioni del magistrato, ma solo “a campione”. Rimane un dubbio di fondo: perché i provvedimenti su cui fondare il giudizio possono essere scelti solo “a campione”?
E’ poi prevista una riduzione dei tempi per l’accesso in magistratura. Il problema dell’organico è sempre attuale anche se ad esso non sono estranei diversi profili tra cui quello relativo ad una migliore e più razionale distribuzione delle risorse umane e quello della perdurante presenza di un numero non insignificante di “fuori ruolo”.
Con riguardo al collocamento fuori ruolo, si fissa un numero massimo di duecento unità. Il legislatore ha introdotto una serie di norme volte a disciplinare l’istituto in modo più restrittivo, tra cui il divieto di assumere tali incarichi prima che siano decorsi dieci anni di effettivo esercizio delle funzioni. Nel ricercare un equilibrio in sede di predisposizione del testo della delega, si sono contemplate, a fronte di regole piuttosto rigorose, altrettante (troppe?) eccezioni. Dall’estensione di queste eccezioni dipenderà il raggiungimento dell’obiettivo dichiarato, e ovvio, che è quello di prevedere che i magistrati facciano, tranne giustificate eccezioni, i magistrati…
Il nuovo Parlamento dovrà tornare presto ad occuparsi del “sistema giustizia”. Nell’immediato ci sono due temi in agenda: l’attuazione delle deleghe e il rinnovo del CSM. Sul primo tema ci sono spazi per fare bene anche se alcuni principi non convincono del tutto. Sul secondo tema, si può osservare che la tornata elettorale relativa all’elezione dei giudici togati è stata un banco di prova che ha dimostrato come il sistema congegnato dalla legge non abbia raggiunto l’obiettivo di ridimensionare il peso delle correnti. Ora il Parlamento dovrà fare la sua parte in relazione alla composizione dell’Organo, punto questo su cui a più riprese ha richiamato l’attenzione il Presidente della Repubblica, anche alla luce del fatto che le vicende legate all’ultimo CSM hanno portato la sua credibilità ai minimi storici, motivo per cui le nomine, soprattutto parlamentari, dovrebbero essere particolarmente oculate e attente, evadendo da regole “spartitorie” o da logiche “compensatorie”, perseguendo piuttosto l’obiettivo di dare vita ad un organo che possa pienamente esercitare la propria funzione costituzionale “con disciplina e onore”.
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Gianpaolo Dolso
Professore Ordinario di Diritto costituzionale nell’Università degli Studi di Trieste.