¡Arriba España! Perché in Catalogna non andrà in scena una "primavera"
Le notizie della Catalogna richiamano l’attenzione internazionale alle vicende della Spagna, creando anche in Italia un allarme ed una crescente attesa sul cosiddetto referendum indipendentista del 1 ottobre prossimo. La nostra breve analisi vuol contraddire la vulgata di una certa stampa, artatamente aizzata da professionisti esperti del campo separatista, e riaffermare le ragioni dell’unità del Regno nostro alleato, semplicemente ripercorrendo i fatti della vicenda, relativamente ai diversi protagonisti.
- Il Popolo
La Costituzione Spagnola del 1978, che prevede l’indivisibilità del paese, fu approvata con il 95% dei consensi nella Catalogna (per un confronto con un’altra realtà di più antico indipendentismo: l’approvazione fu solo con il 76% nei paesi baschi) [1] ed essa garantisce ampia autonomia alla regione autonoma catalana, consentendole piena dignità di lingua e di simboli, nonché autogoverno per molte ed estese materie [2].
In un ampio sondaggio del luglio 2017 commissionato proprio dal governo indipendentista, l’autonomia concessa è stata ritenuta insufficiente da circa il 60% dei rispondenti, ma il giudizio è rimasto statisticamente neutrale sulla opportunità di celebrare un referendum per l’indipendenza anche senza consenso del Governo Spagnolo (48% favorevoli a 46% contrari, sotto il margine di errore del 2,5%).
Nello stesso sondaggio, si è registrato che una notevole percentuale della popolazione si asterrebbe nel caso di un referendum svolto senza il consenso di Madrid, ed in tal caso, date le intenzioni di voto manifestate, l’assenza dei voti contrari determinerebbe un esito favorevole all’indipendenza dovuto alle astensioni, con il 62% dei consensi, questo nell’ipotesi di una affluenza ridotta al 67%.
Il dato generale, senza la premessa del referendum illegale e della conseguente astensione, ha indicato invece che una maggioranza relativa molto vicina a quella assoluta degli abitanti della regione autonoma è posizionata contro l’indipendenza, con un margine ben superiore all’errore e con una tendenza in rafforzamento rispetto alla precedente rilevazione [3]. L’opposizione all’indipendenza è concentrata nella ricca provincia centrale della Catalogna, Barcellona, che è interclusa da altre più favorevoli.
- La Generalitat de Catalunya
Il governo della regione autonoma della Catalogna è guidato dal separatista Carles Puigdemont, e retto da una coalizione di indipendentisti con ampia componente socialista e libdem (Junt pel Sì) che è risultata alle ultime elezioni del 2015 minoritaria, ma è stata abilitata a governare, pur dovendo rinunciare alla Presidenza per Arthur Mas, da un accordo con il partito comunista (CUP).
Non vogliamo entrare nelle considerazioni secondo cui, essendo stato coinvolto il padre storico dell’autonomia della Catalogna Jordi Pujol in scandali fiscali e di corruzione nella gestione della cosa pubblica, l’accelerazione del processo indipendentista data dai suoi successori rappresenterebbe un’ancora di salvezza per una classe dirigente regionale corrotta (come ne abbiamo viste tante in Italia).
Diremo solo che in occasione del voto del 2015, l’allora presidente Arthur Mas, erede di Pujol, riunì tutte le forze politiche indipendentiste di ogni parte nella coalizione e dichiarò che, nell’impossibilità di celebrare un referendum, il voto legislativo avrebbe operato in sostituzione, determinando l’indipendenza della Catalogna se Junt pel Sì avesse prevalso. Il che però non accadde.
Nei due collegi elettorali di Lleida e Girona prevalse il sì e ci fu un pareggio nel Tarragonense. Ma la città di Barcellona, fortemente Spagnola determinò l’esito a favore delle forze unioniste al 51.7%, contro il 47.8% della coalizione di Mas.
Ma a causa del sistema elettorale con metodo d’Hondt, che premia le liste grandi, la lista unica minoritaria nei consensi ricevette extra-seggi, e sommandosi ai comunisti, poté formare un governo intorno alla figura di Carles Puigdemont, grazie alla circostanza contemporanea della divisione in più liste dei partiti avversari.
Forte del conquistato governo regionale, il nuovo presidente Puigdemont – che è un giornalista ed un esperto di diffusione dell’identità Catalana nel mondo – ha avviato una strategia aggressiva nei confronti del Governo Spagnolo (e di comunicazione a tappeto sui media esteri), convocando un referendum per l’indipendenza e riuscendo ad accreditarlo quale processo politico “reale”, nonostante ciò fosse illegittimo ai sensi della Costituzione. Per dare forza alla notizia, egli ha intrapreso questa via dichiarando da subito che, qualora lo svolgimento del referendum fosse impedito dal Governo centrale, la Catalogna proclamerebbe l’indipendenza unilaterale entro 48 ore.
Nel corso di questa operazione politica, i separatisti hanno cercato anche di portare il Re Felipe VI e i monarchici del Partito Popular alla propria causa, paventando la possibilità di definire un esito post-referendario “repubblicano” o “monarchico” (Regno di Catalogna in unione personale di due distinte nazioni con il Regno di Spagna, come fu per l’Austria-Ungheria) a seconda della disponibilità del Governo nazionale spagnolo a legittimare il referendum facendo votare una legge alle Cortes; ma di fronte al rifiuto opposto (non dal Re, che non è mai intervenuto, ma dal suo Governo, ovviamente anche in suo nome) optarono per la stesura di un quesito che attualmente propone l’indipendenza a partire dal 2 ottobre prossimo, nel caso di esito favorevole del referendum, di uno stato catalano “in forma di Repubblica”.
Al fine di dare corpo normativo alla minaccia politica, il Parlamento regionale della Catalogna è stato così chiamato a votare – con una procedura d’urgenza che ha fatto venire meno tutte le pregiudiziali di costituzionalità proprie delle votazioni e provocato l’uscita dall’aula dell’opposizione – due leggi che hanno costituito il Rubicone legislativo del processo indipendentista: una prima per indire il referendum e l’altra per regolare la transizione nel caso di esito favorevole o di impossibilità di celebrarlo.
Parallelamente i Mossos d’Escuadra, che sono la polizia regionale catalana, sono stati oggetto di crescenti attenzioni del governo regionale che ha deciso la sostituzione del loro precedente comandante con un noto separatista – Josep Lluis Trapero, noto per aver dichiarato sinteticamente su Twitter: «Gli spagnoli mi fanno pena» – il quale si è subito distinto nel provocare episodi di attiva non cooperazione con la polizia nazionale Spagnola.
Il fatto è divenuto evidente per tutto il mondo con l’attentato terroristico di Barcellona dell’agosto scorso. Un edificio era esploso prima dell’attentato per quella che fu sulle prime qualificata dalle autorità come una fuga di gas, ma la cosa venne taciuta al livello nazionale perché il corpo della Catalogna- che non disponeva di propri esperti di esplosivi – non voleva che intervenissero gli Spagnoli facendo le opportune analisi. Però poco dopo fu scoperto – dalla testimonianza di un catturato – che quell’appartamento non era affatto esploso per una fuga di gas, ma perché i terroristi stavano preparando in esso bombe sufficienti per far crollare la Sagrada Familia di Barcellona, capolavoro di Antoni Gaudì, ed una di esse aveva avuto un malfunzionamento, provocando l’innesco prima del tempo. Divenne così evidente che, se gli esperti spagnoli fossero stati coinvolti, anziché inventare la fuga di gas, si sarebbe subito capito dalla presenza di esplosivi che erano in preparazione attentati. Questo ha determinato accuse da parte della polizia nazionale spagnola a quella catalana.
C’è dunque l’evidenza generale di uno sviamento ideologico delle attività dei Mossos d’Escuadra, anche a scapito della sicurezza, e questo come è chiaro non aiuta la causa dell’indipendentismo.
- Il Governo Nazionale
Il Partido Popular, con il sostegno responsabile dei Socialisti, sta dando un grande esempio di serietà nel Governo, attraverso la compostezza con cui reagisce alle provocazioni della Generalitat. Prova tangibile di ciò risulta dal fatto che fino ad oggi il Governo non ha mai invocato l’articolo 155 della Costituzione Spagnola, che gli avrebbe consentito di porre fine al tentativo catalano molto prima, e non ha in alcun modo esacerbato i toni, continuando sempre ad invitare il Governo regionale a ripensamenti spontanei.
La Costituzione recita infatti che “1. Ove la Comunità Autonoma non ottemperi agli obblighi imposti dalla Costituzione o dalle altre leggi, o si comporti in modo da attentare gravemente agli interessi generali della Spagna, il Governo, previa richiesta al Presidente della Comunità Autonoma e, ove questa sia disattesa con l’approvazione della maggioranza assoluta del Senato, potrà prendere le misure necessarie por obbligarla all’adempimento forzato di tali obblighi o per la protezione di detti interessi. 2. Il Governo potrà dare istruzioni a tutte le Autorità delle Comunità Autonome per l’esecuzione delle misure previste nel comma precedente.” e questo avrebbe permesso al Governo di intervenire in modo efficacissimo mobilitando qualunque tipo di risorsa allo scopo necessaria.
Invece il saggio Primo Ministro Mariano Rajoy, che guida da molti anni il PP, come erede di José Maria Aznar (un vecchio amico della Fondazione Farefuturo) pur prendendo ovviamente una posizione politica molto ferma in difesa dell’unità del Regno, ha deciso di agire in modo calmo senza sfruttare la norma di emergenza.
Ha deciso quindi di investire la Corte Costituzionale e la magistratura, terze, imparziali e comprendenti anche Catalani, perché valutassero esse da un lato le leggi e dall’altro gli atti consequenziali ad esse posti in essere dagli organi della Generalitat. Quanto alle dichiarazioni pubbliche, ed alla doverosa attività di presentazione dei ricorsi, è ben evidente che non si è trattato di malanimo politico, ma che di fronte alla convocazione di un referendum sull’indipendenza unilaterale della Catalogna dalla Spagna e l’istituzione in essa di una Repubblica, il Governo del Re non poteva non agire.
La Corte Costituzionale Spagnola ha dichiarato l’illegittimità del referendum e della legge di transizione e ne ha proibito lo svolgimento. Le procure operano ora sulla scorta di tale decisione, a livello diffuso, attraverso la Guardia Civil come polizia giudiziaria (che risponde quindi ad esse nelle operazioni, e non al Governo), da un lato al fine di dissuadere, dall’altro al fine di sorvegliare, e da ultimo al fine di impedire praticamente che la consultazione si svolga, sequestrando le schede, i simboli, le sedi, i fondi, e tutto quanto potrebbe permettere al governo regionale di esulare dall’ambito della legalità.
Bisogna pertanto togliere dal campo del dibattito l’equivoco che in Catalogna stia avvenendo una repressione politica, perché è invece vero che la magistratura del Re sta applicando le leggi dopo una decisione della Corte Costituzionale e non del Governo.
- La magistratura e le forze dell’ordine
Alla luce della sentenza della Corte Costituzionale e degli avvisi delle procure, comportamenti perduranti come quelli degli ufficiali della Generalitat, con la firma di contratti per forniture pagate con denaro pubblico, l’apertura di sedi diplomatiche provvisorie all’estero, e tutta l’opera di invito a disobbedire le leggi, comprese le pressioni sui sindaci delle città perché mettano a disposizione gli spazi per i seggi, costituiscono – sia di per sé che unitariamente considerati quale disegno – atti precisamente integranti delitti contro la personalità dello Stato (anche molto gravi) commessi singolarmente ed in forma associativa.
Non può pertanto sorprendere che nella giornata del 20 settembre scorso siano state effettuate 44 perquisizioni nei ministeri e negli uffici della Generalitat, compresa la Presidenza, al fine di acquisire il relativo materiale probatorio, e neppure che siano stati arrestati 14 dirigenti catalani anche di primissimo piano. Si tratta della normale attività giudiziaria e di polizia di repressione del crimine e non di qualcosa di inatteso o speciale che abbia carattere politico. Si tratterà poi di processi per reati gravi, con lunghi anni di carcere, per cui anche il Presidente Puigdemont è già indagato.
Ma i catalani proseguono sperando che il Primo Ministro, davanti al rischio una ribellione di qualche poliziotto locale consenta all’ultimo di avviare il processo, il che poi li immunizzerebbe da condanne della magistratura. La scommessa dei separatisti è quindi quella che il Governo nazionale qualifichi tali comportamenti proprio come atti politici, ed emetta provvedimenti per evitare sanzioni fermando la macchina della giustizia prima del voto.
Nei piani dei catalanisti il Governo di Madrid dovrebbe essere portato a questo anche dalla folla indipendentista radunata in queste ore intorno ai palazzi istituzionali della Generalitat della Catalogna per impedire alla Guardia Civil di raggiungerli, su preciso appello del Presidente del Parlamento Catalano, ponendo la polizia a rischio di suscitare violenze di piazza coinvolgenti migliaia di persone, e – come si dice – “cercando il morto”.
Questo modo di procedere per ottenere di poter tenere un referendum illegale, in definitiva attraverso la minaccia di spargimenti di sangue più o meno grandi, nel quale vincere grazie all’astensione, a fronte di sondaggi negativi, non è però definibile altro che “golpe”.
- Il Re e le forze armate
Felipe VI di Borbone non è fino a questo momento intervenuto sulla questione della Catalogna, mantenendo il riserbo istituzionale e lasciando al suo Governo di procedere nel trattare con i Catalani, secondo le vie previste, forte del sostegno delle Cortes. Ciò non toglie che, per il ruolo forte della Monarchia Spagnola, che è stata garante della transizione democratica prima, e del mantenimento della democrazia poi, egli avrebbe potuto farlo da tempo.
La prima volta che l’allora Principe delle Asturie ebbe a che fare con un golpe fu a 13 anni, nel 1981, quando una frazione dell’esercito guidata dal Colonnello Tejero chiese al Re di esautorare il Governo, e suo padre Juan Carlos di rimando fece arrestare tutti i golpisti. È un episodio ben noto il fatto che quella fu la prima occasione in cui il Re volle suo figlio nella sala delle decisioni, perché imparasse come si governava.
Dal 1985 Felipe ha fatto parte delle forze armate, attraverso tre addestramenti, e diventando pilota di elicotteri dell’esercito, della marina e della aviazione spagnole. Non si è trattato di un coinvolgimento formale, ma di una attività effettiva. In tal modo, dopo l’abdicazione del padre nel 2014, egli è diventato Re e comandante supremo quando già aveva il grado di colonnello. Per questa stessa ragione il Re indossa la sua propria divisa d’ordinanza in diverse occasioni militari.
Qui terminano i fatti e si entra nelle ipotesi. A noi sembra che il silenzio del Re potrà durare solo fino al momento della verità, in cui il referendum sarà celebrato in tutta la Catalogna o in parte di essa (plausibilmente in quei comuni dove i sindaci sono indipendentisti e mettono i locali a disposizione del voto) e darà luogo alle decisioni conseguenti delle autorità della Catalogna, che potrebbero significare l’aperta rivolta nei confronti della Spagna ed un vero conflitto tra i Mossos d’Escuadra e la Guardia Civil.
Se si dovesse arrivare a questo, dovrebbe venire in gioco il ruolo del Re, poiché è ad egli che spetta il comando supremo dell’esercito, dell’aviazione e della marina Spagnole, il quale non può essere esercitato dal Governo senza il suo consenso, e risentirebbe, in caso di uso, delle sue decisioni.
Oggi Felipe VI tace, silenzioso, e lascia fare Rajoy, perché sa benissimo che il giorno che dovesse essere necessario il comando delle forze armate lo eserciterebbe. Solo quel che serve e nulla di più. Eventualmente, potendo anche graziare, dopo, i responsabili di fatti solo minori.
Un golpe separatista di successo in Spagna è dunque impossibile. Non solo perché manca il consenso, non solo perché ci sono i giudici, e non solo perché c’è unità politica nel parlamento nazionale contro di esso, ma anche perché il Re di Spagna non è oggi semplicemente il comandante formale dei militari, ma uno di loro, e per questo ogni minuto del suo silenzio non lo fa apparire più debole, ma più forte.
- L’Europa e il mondo
Una circostanza che sorprende molti è il fatto che l’indipendentismo della Catalogna non abbia alcun sostegno né da parte della UE né da parte dell’ONU, che potrebbe essere usato per cercare di trasformare comunicativamente il golpe dei separatisti in una sorta di “primavera spagnola”, come molti altri indipendentisti nazionali auspicherebbero avvenisse (es. i Veneti in Italia).
Nel caso della UE il fatto viene tipicamente imputato al fatto che giocare con le minoranze di uno Stato esporrebbe ad un effetto domino l’intera Unione, perché molti altri Stati membri hanno minoranze. Ma nel caso dell’ONU questa spiegazione non funziona. E ve n’è comunque un’altra molto precisa.
Per il diritto internazionale una proposta di secessione da uno Stato non è mai automaticamente considerabile quale esercizio del diritto di auto-determinazione di un popolo, poiché gli Stati non hanno mai necessariamente dovuto coincidere con i popoli (di nuovo l’esempio classico è l’Austria-Ungheria che aveva moltissime nazionalità all’interno di ognuno dei due Stati, all’epoca dell’impero, ma lo stesso può dirsi della Russia, della Cina, della Danimarca, di qualunque stato esteso, e anche di molti piccoli).
Così la secessione di un popolo da uno Stato riconosciuto è solo un rimedio estremo, che si dà come giuridicamente fondato sotto certe condizioni e precisamente solo quando un popolo è governato quale parte di un impero coloniale, essendo soggiogato, dominato e sfruttato, o quando ad esso è comunque negato ogni significativo esercizio dei diritti di autodeterminazione all’interno dello Stato di cui forma una parte. Altrimenti, l’autodeterminazione di un popolo consiste solo nel diritto dei suoi cittadini di decidere allo stesso modo degli altri, all’interno di uno Stato, dove viga l’uguaglianza [4].
Pertanto è davvero improbabile che, stante il pieno diritto dei Catalani di contare nella direzione politica della Spagna, si possano mai sollevare tesi contro di essa in qualunque Corte o consesso internazionale riconosciuto.
Conclusioni
La ribellione della Catalogna, sulla base dei fatti, non ha nulla di eroico, mentre c’è molto da apprendere dalla serietà con cui il Governo Spagnolo sta trattando il problema e dalla compostezza e pazienza dimostrate dal Re, che potrebbero ancora consentire di risolvere le cose senza il sangue, se i golpisti si facessero un esame di coscienza, che probabilmente condurrebbe alla grazia reale per i reati commessi.
Se invece le cose dovessero peggiorare, e davvero la follia di un gruppo di potere regionale dovesse portare al sangue nelle strade, ai carri armati, ed alla tragedia di un popolo eccitato contro i nemici sbagliati, il solo posto della destra italiana sarà con Re Felipe VI, per la Spagna unita e forte, e per vedere i separatisti peggiori consegnati alle opportune galere.
[1] V. i risultati per regione riportati dall’edizione inglese di Wikipedia, reperibili all’indirizzo https://en.wikipedia.org/wiki/Spanish_constitutional_referendum,_1978
[2] V. la Costituzione del Regno di Spagna, reperibile all’indirizzo https://www.boe.es/legislacion/documentos/ConstitucionITALIANO.pdf
[3] V. il sondaggio commissionato dalla Generalitat de Catalunya, reperibile all’indirizzo http://ceo.gencat.cat/ceop/AppJava/pages/home/fitxaEstudi.html?colId=6288&lastTitle=Bar%F2metre+d%27Opini%F3+Pol%EDtica.+2a+onada+2017
[4] V. i testi e le decisioni tutte citate nell’ampia disamina sul principio di auto-determinazione svolta nella Sentenza Secession of Quebec, [1998] 2 S.C.R. 217 della Corte suprema del Canada, reperibile all’indirizzo https://scc-csc.lexum.com/scc-csc/scc-csc/en/item/1643/index.do
*Giovanni Basini, collaboratore Charta minuta