Charlot e l’attualità della sua immortale Opera
Antonio Coppola2019-02-28T10:01:18+01:00Era nato tra gli ultimi Charles Chaplin, nella povertà delle periferie di Londra… prima di diventare il più grande pioniere e protagonista indiscusso del Cinema… prima di ricevere le onorificenze, in Francia, di Commendatore della Legione d’Onore da parte del Presidente gollista Pompidou ed in Inghilterra, di Baronetto da parte della Regina Elisabetta. Prima degli ori e degli onori era nato tra gli ultimi e non l’aveva mai dimenticato: anzi aveva tratto da tale costante memoria, l’ispirazione, ed un senso, quasi di dovere artistico, da riporre in tutte le sue opere. Il ‘Vagabondo’, personaggio da lui inventato, è lo stereotipo dell’ultimo della società. Un ultimo che tuttavia affronta tale sua condizione esistenziale con strampalati tentativi di dignità.
In questi giorni, nelle sale cinematografiche italiane, è stata riproposta la versione restaurata di uno dei suoi più celebri capolavori del cinema muto: ‘Il monello’. Una storia, raccontata con l’ironia che scorre in tutte le opere del regista ed attore, che narra di un neonato abbandonato dalla madre che, non potendo mantenerlo, lo lascia all’interno di una lussuosa vettura, nella speranza che i facoltosi proprietari se ne prendano cura. Ma la vettura viene rubata ed il neonato è abbandonato sul ciglio di una strada, dove il Vagabondo, vetraio ambulante per campare, lo trova e, con un gesto di profonda umanità, lo porta con sè accudendolo con gli scarsi mezzi a cui la sua condizione di povertà lo ha sempre relegato… ma dividendo quel già poco che ha con quel monello, che accudisce e cresce come un figlio. Tra i due la complicità che si instaura è fortissima: a cinque anni il Monello rompe i vetri, in accordo con il Vagabondo che li ripara: unico modo per racimolare i pochi soldi necessari ad acquistare due pezzi di legno per la stufa e quattro frittelle per la colazione. Un giorno però, gli ispettori dell’orfanotrofio vanno a fare visita nella fatiscente abitazione del Vagabondo e prelevano il bambino… ed è la scena più struggente, quando i due si separano per degli attimi costellati da urla disperate e pianti struggenti: la scena più toccante dell’intero cortometraggio. Ma il Vagabondo, che non si da per vinto, nel disperato tentativo di riaverlo con se, recupera il ‘suo’ Monello e lo stringe nel celebre abbraccio che rappresenta la forza del sentimento dinnanzi alle avversità dell’esistenza umana, che in un modo o in un altro sembrano riuscire ad affliggere sempre bambini, donne e uomini. Nel frattempo, la vera madre del bambino in cinque anni è diventata un’attrice famosa che vive negli agi; ed a seguito di una serie di concatenazioni karmiche ritrova il suo bambino e lo porta con sè, nella sua casa, dove, nel frattempo, giunge anche il Vagabondo che, mentre è assalito, in un interminabile abbraccio, da un balzo di gioia del Monello, viene inviato ad entrare a sua volta nella casa. E così finisce il film: con il messaggio che solo i sentimenti e i conseguenti slanci dell’animo umano possano far fronte ai drammi sociali. Nella solitudine, non possiamo che sperare nel gesto magnanimo di un singolo individuo.
Una storia raccontata nel 1921, quanto mai attuale, che fa riflettere su quanto, nonostante siano trascorsi quasi 100 anni, osservando le realtà periferiche di tutte le città occidentali, oggi, Chaplin avrebbe potuto raccontare una storia simile, se non la stessa… in un Occidente attualmente rigonfio di sacche di degrado sociale e drammi umani. Un Occidente in cui le attuali classi dirigenti sembrano non sapere osservare, non sapere agire… E Chaplin se fosse ancora in vita, forse si domanderebbe: dopo che l’ho detto in tutti i modi, perché accade ancora tutto ciò?… e dove sono, ma soprattutto cosa fanno coloro che dovrebbero occuparsene?
*Antonio Coppola, collaboratore Charta minuta