Cosa dovrebbe insegnarci la “sottomissione” di Aisha
Sono sinceramente felice nell’apprendere che Silvia Romano sia finalmente a casa a Milano e sono profondamente solidale con la famiglia che ha dovuto passare mesi dolorosi e difficili.
Sono anche indignato per le minacce di morte e gli insulti volgari che anche parte del popolo di centro destra ha rivolto ad una ragazza.
Questa dovuta premessa però, non mi esime dal fare un ragionamento su questa vicenda che sul piano quantomeno mediatico, rappresenta una grave provocazione ai nostri valori e alla nostra civiltà Occidentale. Voglio essere certo (e spero di non essere smentito dai fatti futuri) che Silvia sia realmente inconsapevole di ciò che ha fatto. Voglio credere nella sua ingenuità e nei suoi ideali tipici di una ventenne schiacciata da inutili sensi di colpa che gran parte della cultura sinistra e terzomondista inculca coscientemente nelle menti dei giovani occidentali. La colpa sarebbe, a dire loro, quella di essere “fortunata” ad essere nata nella parte del mondo libero, nella parte del mondo dove c’è benessere diffuso. Lo fanno per questioni puramente ideologiche perché omettono di dire che noi viviamo in paese libero e sviluppato non per “fortuna” o per caso ma solo grazie al sacrifico e alle lotte dei nostri avi. Non c’è nulla di casuale in quello che abbiamo e pertanto non c’è nessun senso di colpa da dover espiare andando a rischiare la vita. Ma non è questo il tema della mia riflessione. Perché come accennavo voglio credere nella buona fede di Silvia, andata lì sinceramente per aiutare e come fanno in tanti, invece di rendersi utile nel suo Paese decide, legittimamente, di rivolgersi “ad una organizzazione di cooperazione internazionale” e partire.
Queste organizzazioni mandano in balia del fato giovini in posti del mondo pericolosi e dove la vita vale poco più di qualche euro. Queste organizzazioni, che a volte non sono riconosciute neanche dal ministero della cooperazione né tanto meno da organismi internazionali, usano e abusano dell’ingenuità di giovani senza esperienza ma con tante buone intenzioni. Poi però, a volte succede che una ragazza ventenne viene mandata da sola in un villaggio del Kenya ad alto rischio per la sicurezza e viene rapita.
A volte poi le buone o meglio buoniste, organizzazioni magari fanno firmare una liberatoria dove si esimono da qualsiasi responsabilità. Ecco basterebbe introdurre una semplice legge, sul modello giapponese magari, in cui le organizzazioni devono invece assumersi tutte le responsabilità del caso e dare tutta l’assistenza necessaria sia alla persona rapita che ai suoi familiari in modo che se c’è da pagare un riscatto sia la stessa organizzazione a pagare. Questo a mio avviso, è già il primo elemento di riflessione che emerge da questa vicenda: disciplinare le organizzazioni che fanno questo genere di attività per renderle responsabili della loro incoscienza nel mandare in posti così a rischio persone giovani e inesperte e a volte anche ingenue.
Senza questa legge a quel punto subentra lo stato che giustamente si ritrova a dover gestire la faccenda tutelando la vita di una nostra connazionale. Il problema però è il come. Anche in questo basterebbe una semplice legge che vieti al governo e ai servizi segreti di pagare qualsiasi riscatto. Ad alcuni potrà sembrare disumano eppure nel nostro ordinamento esiste già questo principio e si applica nei rapimenti in patria. Infatti nel caso di un rapimento in Italia vengono sequestrati tutti i beni della famiglia e vengono impediti i pagamenti dei riscatti proprio per disincentivare tali reati atroci e anche perché con i delinquenti non si tratta. Anche in ambito internazionale esistono approcci basati sullo stesso principio. Per esempio il modello anglosassone e israeliano prevede un approccio basato sulle “incursioni di forze speciali” per liberare l’ostaggio e di certo, anche in questo caso, non si tratta con i terroristi.
Invece il nostro governo non solo ha trattato e pagato i terroristi islamici ma per fare questo ha chiesto aiuto anche alla Turchia che, è bene ricordarlo, è il nostro principale competitor geopolitico sia nell’ambito mediterraneo che energetico. Purtroppo come avviene in questi casi non si fanno “favori” ma c’è sempre un do ut des e presto scopriremo qual è la contropartita su cui il governo si è impegnato con Ankara per ottenere l’aiuto.
Queste due riflessioni sono alla base di una necessario approfondimento da parte del legislatore. Uno stato civile non può lasciare all’improvvisazione di un governo, inadatto come in questo caso, faccende che impattano così profondamente sulla nostra Nazione ma deve al contrario, impostare un approccio che tuteli la vita attraverso metodi e strumenti che non incentivano e rafforzano il terrorismo islamico rendendoci tutti complici.