Damilano, la costituente e il primato della politica
Ho visto con ritardo l’editoriale di Marco Damilano su L’Espresso di qualche settimana fa (26 maggio 2020), un articolo che va segnalato perché pare richiamare una questione cruciale per il futuro dell’Italia, quello di un nuovo patto costituente.
Ora, dopo il primo entusiasmo per aver letto nell’incipit che occorre «una nuova doppia costituente, come fu quella del dopoguerra, quando l’Assemblea eletta il 2 giugno 1946 scrisse le regole della Repubblica appena nata», questo stesso entusiasmo viene subito tradito da ciò che Damilano intende per nuovo patto, per nuova costituente. Non si tratta, infatti, di una ammissione relativa a come le regole del parlamentarismo repubblicano abbiano portato, anno dopo anno, alla formazione di una nuova classe dirigente tale solo di nome, essendo oramai solo un insieme raccogliticcio, una corte dei miracoli dove insieme a qualche galantuomo (per usare un termine desueto) seggono a Palazzo Madama e nell’aula ornata da Aristide Sartorio legislatori improbabili, se non trasparenti comparse dall’eloquio zoppicante.
Pia illusione. Damilano pensa a tutt’altro, pur non potendo passare sopra alle malefatte del giudice Palamara, il famoso ‘faccia di tonno’ di Cossiga in un video che impazza sui social, o ai disastri dell’inetto Bonafede, pure capo dei capi del partito di Grillo. Non è allo Stato fatto a pezzi cui egli pensa, allo Stato-apparato, ma a quello che una volta si chiamava Stato-comunità, che certo dovrebbe legittimare il primo e che gli appare miracolosamente salvo, anzi rafforzato dopo i mesi dell’epidemia. Le riforme costituzionali, che pure sono sempre più necessarie e urgenti, gli appaiono anzi solo «un teatrino» dopo i referendum del 2006 e del 2016, anche se a ben vedere quei referendum non confermarono la costituzione, che è solo formalmente vigente, ma semplicemente respinsero le riforme, ovvero, come nel caso del progetto voluto da Boschi e Renzi, una nuova costituzione che era un obbrobrio giuridico, un ircocervo politico e una mostruosità etica.
Eppure Damilano non si rende conto di contraddirsi quando, dopo aver negato il valore di una costituente per una nuova repubblica, scrive che il patto interno (lui ne immagina anche uno internazionale) «è entrato in crisi quando è venuto giù quel sistema politico che ne era espressione, e ormai sono passati quasi trent’anni senza che si sia agito per crearne uno nuovo». Cosa significa che un sistema politico ‘vien giù’, cioè crolla, si sfarina, precipita, se non che la norma fondamentale sulla quale avrebbe dovuto reggersi non regge più nulla? La realtà è che un’argomentazione logica anche di questi tempi è troppo pericolosa per le sue conseguenze e allora conviene di più fare bella figura invocando un nuovo patto, ma al tempo stesso fare appello a istituzioni come i partiti politici, garantiti dall’art. 49 della costituzione, un articolo che però gli serve solo per alludere ai 49 milioni che mancherebbero al partito della Lega. Non è un gioco un po’ scontato? Si finge di mirare alle grandi trasformazioni – il biblico “new covenant”, il “nuovo patto” – e poi si (s)cade nella polemica politica contingente per finire col ricordare «quella parte di popolazione che non ha lobby» e qui il lettore penserebbe ai disoccupati, ai sottoccupati, alla borghesia proletarizzata, agli operai che non riescono a sbarcare il lunario e invece no: Damilano è troppo avvertito per ridursi ad invocare, contro gli obblighi di socialità a favore dei meno abbienti, i soliti ‘diritti’ degli emarginati (neri, omosessuali, trans, rom, ‘migranti’ e via dicendo) e fa appello a: «scuola, ragazzi, bambini».
Non che il nuovo patto immaginato da Damilano non debba occuparsi proprio del futuro, quindi di una scuola e di una università ora totalmente inadeguate per riportarle se non al modello von Humboldt almeno a quello Giovanni Gentile, ma una politica ‘per i bambini’ ha più i toni di una predica moralistica, se non ‘buonista’. Che politica dev’essere quella del “nuovo patto”? La risposta del nuovo costituente che guarda al futuro non tarda: «Nel nuovo mondo, sarà il pubblico a farsi garante di un rapporto con il privato (…) fissando obiettivi, stringendo alleanze con il mondo finanziario, con le grandi ma anche con le piccole e medie imprese che rischiano di essere travolte».
Non si tratta dunque di una nuova norma fondamentale, di un nuovo “nomos della terra”, di una muova costituzione come spazio simbolico comune per il conflitto politico entro l’interesse generale di una nazione, bensì di un contratto, di un misero contratto finanziario, senza vocazione, senza progetto, senza storia. Si tratta di dare soldi alla ex Fiat? Per carità, Damilano fa appello ai sentimenti e così fa anche credere che si possa pensare al primato della politica sull’economia, sui diritti, sull’individualismo sfrenato, sulla mancanza di regole, ma subito precisa che ciò che gli interessa non è il primato, bensì la “dignità della politica”.
Senonché dignità e primato della politica vanno di pari passo e se si vuole ridare dignità e senso alla politica occorre che questa riacquisti proprio il primato, sull’economia e sulla retorica dei diritti. Il primato della politica è abrogato pregiudizialmente in una democrazia fintamente parlamentare come la nostra, dove a forza di parlare di “centralità del parlamento” il parlamento è stato ridotto a nulla e l’economico (la dimensione economica autonoma di Polanyi) dilaga senza freni. Certo, sarebbe ora, quindi, di una costituente per una nuova costituzione, anche perché, come diceva Thomas Jefferson, uno dei primi Presidenti americani, è bene che un popolo ad ogni generazione ricostruisca il suo patto fondativo. Purtroppo per tutti, Damilano sa bene che l’ipotesi di una costituente è oggi velleitaria e ne approfitta per un divertissement un po’ sulle nuvole, concedendosi il lusso letterario di invocare un nuovo patto, che però finirebbe col vedere tra i suoi artefici nuovi ‘costituenti’ tipo gli onorevoli Taverna, Lotti, Di Maio e compagnia cantando.
Sicché, almeno per adesso, in attesa di tempi migliori, è bene tenersi la vecchia e decrepita costituzione, che con tutti i suoi difetti almeno fu ideata e redatta da giuristi, quelli veri di un tempo che fu.