Destra di ieri e destra di oggi
La destra italiana in questi ultimi mesi è stata sotto stretta osservazione per verificare quanto di fascista e quanto della tradizione missina siano ancora presenti in Fratelli d’Italia.
Il gioco del paragone tra periodi storici diversi è facile quanto pericoloso: ci permette di avere poche, talvolta fallaci, ma sempre rassicuranti certezze ma non ci consente di comprendere fino in fondo entità diverse e in genere non rapportabili perché situate in periodi diversi.
Il sillogismo è semplice: Fratelli d’Italia nasce da Alleanza nazionale, la quale nasce dal Msi, il quale, infine, nasce dal fascismo. Ergo, Fratelli d’Italia nasce dal fascismo. Lo stesso discorso lo si potrebbe fare per altri schieramenti: una parte dell’attuale Pd è figlio del Pds, il quale a sua volta è figlio del Pci: Franceschini è dunque uguale a Bordiga e a Togliatti?
Le famiglie politiche esistono ma esiste anche il tempo; la durata delle famiglie politiche nella storia dipende dal loro grado di adattabilità alle situazioni, con forti modifiche alla tattica, alla strategia, all’ideologia. Chi l’avrebbe detto, cinquant’anni fa, a Scelba e a Togliatti, che i rispettivi nipoti sarebbero stati nel medesimo partito? e chi l’avrebbe detto a Secchia, nel 1949, che 73 anni dopo le durissime polemiche comuniste contro il Patto Atlantico, i suoi nipotini del Pd sarebbero diventati i più accaniti difensori dell’alleanza con gli Usa?
Questa è la storia e questi sono i conti che la storia presenta periodicamente alla ideologia.
Intanto chiariamo una cosa: in Italia l’ultimo governo di centro-destra è stato quello di Berlusconi, il quale seppe dare in vent’anni voce a un’Italia moderata che c’era ma che non aveva mai avuto una cittadinanza politica. Prima di lui, c’erano stati altri due governi che possiamo definite di centro destra: il quindicennio della destra storica di cavouriana memoria, conclusosi con il governo Minghetti nel 1876 e quello di Salandra del 1914.
Si potrebbe obiettare che c’erano stati anche il fascismo e, tutto sommato, la Dc a rappresentare i moderati e la destra. È vero. Tuttavia, il fascismo era nei fatti di destra (fascismo regime) e nelle prospettive di sinistra (fascismo movimento) e la sua eredità fu rappresentata più dal fascismo movimento che dal fascismo regime.
La Dc, al contrario, era nei fatti propensa a un accordo con la sinistra mentre le sue parole d’ordine erano sicuramente funzionali a rassicurare la sua base elettorale, in maggioranza moderata.
In effetti, il fascismo e la Dc furono due movimenti sintetici, cioè di sintesi, interclassisti e destinati a un pubblico ideologicamente vario. Riuscirono a rappresentare speranze talvolta contraddittorie ma sempre reali. In un mondo nel quale, da sempre, le differenze ideologiche si basavano soprattutto su esigenze di classe, il fascismo e la Dc, in maniera del tutto diversa, il primo con la dittatura, la seconda nell’ambito di uno stato democratico, riuscirono a rappresentare categorie sociali diverse e, attraverso quelle, realizzare un processo di modernizzazione, al di là delle ideologie cui si riferivano.
Questa notazione costituisce la prima grossa differenza fra il fascismo e la destra di oggi, la quale non mi pare abbia alcuna ambizione di rappresentare il “tutto”, un’ambizione che oggi, a differenza del passato, potrebbe realizzarsi solo in termini di controllo tecnologico.
Altri elementi vanno segnalati per chiarire il rapporto di Fratelli d’Italia con il passato.
Se il fascismo aveva sostanziali pulsioni rivoluzionarie (pensiamo alla polemica con la borghesia o all’idea di una guerra rivoluzionaria contro le “demoplutocrazie giudaico massoniche”), la destra di oggi è atlantica, anche più del Msi, che ci mise alcuni anni per accettare, non sempre entusiasticamente, l’alleanza con i vincitori occidentali della seconda guerra mondiale.
Il fascismo era stato responsabile delle leggi razziali e la destra oggi considera aberrante ogni discriminazione razzista. Ancora: il fascismo era figlio delle avanguardie del primo Novecento ed era figlio della guerra, anzi di essa fu il prodotto più significativo: dalla guerra aveva attinto linguaggio e metodi (la divisa, la “battaglia del grano”, ecc.). L’attuale destra è figlia di oltre settant’anni di pace, con i relativi valori ormai sedimentati, in un’ottica internazionale dalla quale non si può più prescindere.
Certo, l’attuale destra ha il senso dello Stato, ma non quello di marca fascista (un partito che si identifica con lo Stato), quanto piuttosto quello della destra storica, che voleva le ferrovie statali quando la sinistra vi si opponeva, per la quale lo Stato era una comunità in regime di libertà politica.
E veniamo al Msi.
Al primo congresso (1948) emerse la linea del “Non rinnegare e non restaurare”, una formula comoda che permetteva alla base del partito, fortemente condizionata dal ricordo vivo del fascismo, di rinunciare a ogni ipotesi restauratrice. Che il Msi sia stato erede del fascismo è ormai assodato. Tuttavia, la moderna storiografia sul Msi ha messo l’accento sul fatto che per mezzo secolo (dal 1946 al 1994) questo partito non venne mai meno – neppure nei momenti più critici – all’accettazione del metodo democratico e del pluralismo politico, sia nella proposta politica, sia nelle dinamiche interne, che erano molto più democratiche rispetto a quelle che si riscontrano oggi in tutte le forze politiche.
Ciò che rimase per molto tempo, fu il richiamo nostalgico al fascismo: nel 1976, a trent’anni della nascita del partito, un suo importante esponente, Ernesto De Marzio, documentò il lungo viaggio dei fascisti nella e verso la democrazia, alla quale erano approdati con convinzione nonostante l’esperienza della dittatura.
Così, la nostalgia, con il passare degli anni e con il maturare delle vicende politiche, non si rivolse più alle strutture politiche del regime quanto al “vissuto” del fascismo, che continuava a rappresentare il senso dell’impegno politico dei protagonisti e della loro giovinezza. Una nostalgia che diventava semplicemente ricordo.
Tutto questo nella destra italiana di oggi non esiste più. Il fascismo è ormai consegnato alla storia e così il Msi, del quale, dall’inizio di questo secolo, finalmente la storiografia si sta occupando, anche attraverso la disponibilità di archivi e di documentazione che ha permesso agli studiosi di dedicarsi a quello che un tempo era tabù, e cioè la storia della destra e del neofascismo. Anche questo ha contribuito a fare uscire questo mondo dal mito per entrare nella storia, riducendo drasticamente il tasso di nostalgia.
Significativa la questione delle leggi razziali, sulla quale giova ritornare: la maggioranza del Msi aveva vigorosamente preso le distanze dalla legislazione fascista del 1938 ma una parte del Msi, gli “spiritualisti” legati all’insegnamento di Evola, mantenne una posizione per lo meno ambigua sul tema. Anche su questo tema il percorso si è compiuto e oggi Fratelli d’Italia è assolutamente e totalmente d’accordo nel condannare non soltanto la legislazione razziale fascista ma anche l’intero impianto dittatoriale del fascismo.
Ma vi sono altre caratteristiche della destra odierna che vanno sottolineate. In primo luogo, è da segnalare la forte attenzione al contesto internazionale. La svolta internazionale in senso conservatore che ha consentito a Giorgia Meloni di presiedere il Partito conservatore europeo è molto significativa e non è un caso che non sia sottolineata a dovere nella stampa radical, perché costituisce da sola il segno della diversità dal passato.
Il Msi già alla fine degli anni Quaranta aveva preso posizione favorevole sull’Europa (quando ancora il Pci ne era nettamente contrario), ma si trattava di un’Europa ancora comprensibilmente legata al ricordo della seconda guerra mondiale. Gli incontri di Malmö e di Roma dei primi anni Cinquanta avvenivano con le forze eredi degli sconfitti del ’45. Nel 1978, alla vigilia delle prime elezioni europee, Almirante costituì l’Eurodestra, con Fuerza Nueva, il partito di Fraga Iribarne, già ministro di Franco, con il Parti des Forces Nouvelles di Tixier-Vignancour, collaboratore di Pétain a Vichy, e con l’Epen, il movimento vicino ai colonnelli greci. Nelle successive elezioni europee (1984), il Msi aderì al gruppo di Jean Marie Le Pen che aveva ottenuto un lusinghiero risultato. L’alleanza con il mondo conservatore britannico è cosa evidentemente molto diversa e costituisce un inizio ormai stabilizzato, non una continuazione, di un percorso assolutamente innovativo rispetto alla tradizione missina.
Un‘altra importante differenza con il recente passato è di natura psicologico-politica: l’assenza di quel mito della “riserva indiana” che, assente nel fascismo, ha caratterizzato per molto tempo il Msi. In particolare, ci si riferisce a quella estrema prudenza nello stabilire rapporti con l’esterno per evitare il rischio di compromettere la propria identità. Il fenomeno, tipico dei “vinti”, fu periodicamente presente in tutta la storia missina: si pensi alla difesa del “fascismo movimento” da parte di Almirante nel dialogo con Pannella nel 1982 e al rifiuto di intese con Craxi qualche anno più tardi.
Valide o meno che fossero le ragioni di quei “no”, esse rappresentavano il timore di commistioni, di perdere cioè la purezza ideale delle origini. Altra conseguenza del mito della “riserva indiana” è il volere fare tutto da soli, la convinzione di essere i soli degni di risolvere la crisi italiana. Il Msi di Almirante lo era, orgogliosamente; quello di Michelini e di De Marsanich credeva invece nelle alleanze. Fratelli d’Italia è nato in un’alleanza, il centro-destra, e quindi è “nato plurale” e cioè consapevole che, come si conviene in democrazia, la politica è la risultante di diverse posizioni e la ricerca del compromesso ne è il sale. L’alternativa è tra politica e testimonianza.
La politica è compromesso e bisogna però saperlo fare, ricordava recentemente Marcello Veneziani.
Se il Msi, dopo avere tentato per un po’di fare politica, decise di dedicarsi esclusivamente alla testimonianza, la destra odierna ritengo che voglia, anzi debba, fare politica.
D’altra parte, non era mai successo, nella storia dei 76 anni di Repubblica, che un partito di destra che non nasconde le proprie origini missine, giunga a rischiare di diventare il primo o il secondo partito in termini di voti. Anche con la coalizione berlusconiana del centrodestra, Alleanza nazionale ebbe risultati notevoli ma sempre inferiori al partito del Cavaliere. Ora la situazione si è rovesciata. Fratelli d’Italia è il primo partito del centrodestra e forse il primo d’Italia.
In queste condizioni corre l’obbligo di governare, non di fare testimonianza.
Ma questo porta a un’ultima considerazione. Alla luce dei risultati, si può ipotizzare la presenza di alcuni milioni di cittadini che votano un partito perché fascista o neofascista? dopo quasi ottant’anni? e dopo altrettanti nei quali la comunicazione di massa ha presentato il fascismo unicamente come violenza, incultura, razzismo, prevaricazione dei ceti più deboli?
Allora, negli anni Quaranta e Cinquanta, contro il Msi scattava la delegittimazione in quanto fascista. Aveva un senso. Oggi una delegittimazione della destra parlamentare per la difesa della democrazia non ha molto senso, visto che esiste un’ampia legislazione a tutela della democraticità e del pluralismo dello Stato. Se ci sono problemi la si applichi. Altrimenti si torna alla fumosa strategia delle tre autorizzazioni a procedere contro Almirante che non approdarono mai a un tribunale della Repubblica finché la quarta arrivò in Tribunale quando il presunto imputato era già defunto.
Giuseppe Parlato
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