Direzione Italia: una strategia per il centrodestra
Tra le iniziative di centrodestra più riuscite degli ultimi mesi, spiccano gli incontri della Fondazione New Direction e dei Conservatori e Riformisti di Raffaele Fitto, che il 4 novembre, il 17 dicembre, ed il 28 gennaio scorsi, hanno visto tre ampie sale congressi romane gremite di esponenti da tutta Italia. I tre appuntamenti, chiamati “La Convenzione Blu”, sono serviti a creare Direzione Italia, una nuova forza politica, inserita in un quadro di alleanze europee e internazionali molto credibile (ECR, AECR), già presente ad ogni livello istituzionale, con un buon programma liberale e liberista, per contendere l’elettorato del centrodestra. Ad essa, oggi, manca solo la notorietà. E dunque anche il giudizio degli elettori.
L’idea di fondo per trovare consenso al progetto è che vi siano un centro e una destra divisi e tra di loro incompatibili a livello dirigenziale, che però – a causa proprio di questa divisione – sono anche ritenuti inutili da una rilevante quota di elettori potenziali delle due aree. Con gli accordi per i governi Monti, Letta e Renzi, infatti, abbiamo visto formarsi schieramenti alternativi nelle alleanze e divergenti nei contenuti. Alcuni sono disposti a giri di Valzer col PD, altri sono contrari. Tutti sono borbottanti sull’Unione Europea, ma alcuni pro forma e altri per davvero. Tale divisione non è rimasta teorica, perché gli elettori l’hanno riconosciuta: FI-UDC da una parte, LN-FDI dall’altra, hanno mantenuto consenso, si sono divisi il campo, e sono oggi entrambi gruppi assolutamente incapaci di raggiungere, anche sommati, la percentuale più alta che raggiunse il PDL (40%). I voti mancanti, questo è il ragionamento, sono di chi li prende, e sono pari circa al 7%.
È proprio questa astensione di centrodestra quel che conduce ad esiti marcatamente tripolari nelle competizioni elettorali, generando l’ampio bacino di non voto nella presenza del quale i consensi percentuali del M5S e del PD sono così alti. Pure quando sono calanti i voti assoluti M5S (Pol ’13: 8.6 Mln, Eur ’14: 5.7 Mln) e sono invece crescenti quelli del PD (Pol ’13: 8.6 Mln, Eur ’14: 11.2 Mln) è infatti l’astensione degli elettori di cdx a mantenere più alta del dovuto la percentuale delle due forze. Così, alle ultime elezioni nazionali (Eur ’14), con un crollo in voti assoluti ben del 34%, il M5S perdeva solo 4 punti percentuali (cioè solo -20%), e il PD, con un aumento in voti assoluti che era del 33%, guadagnava addirittura 15 punti percentuali (cioè ben +37%). La differenza è nel rifiuto del centrodestra di partecipare alla competizione, che tra il 2013 e il 2014 è esploso, con un passaggio d’affluenza generale dal 75% al 57%, mentre nelle precedenti politiche ed europee era stato del 78% e del 65%, che è indicativo di 7 punti di astensione aggiuntiva sul secondo risultato.
Il bacino elettorale potenziale del progetto
Parliamo dell’area che una volta fu il Popolo della Libertà, e prima ancora era stato la Casa della Libertà, e che ora non è più, e che non ha la prospettiva di riesistere in breve. Tutto questo per le continue liti tra dirigenti, che sono ormai state introiettate come ordinarie e irrimediabili dagli elettori, ed hanno ammantato di inutilità e velleitarismo sia il sostegno all’area che i tentativi di reimpegnarsi per risolverne i problemi.
Il punto di rottura dell’accordo tra centro e destra originario è stato la disponibilità sistematica a governi non eletti concessa dalla nuova Forza Italia, che ha raccolto le critiche di Fratelli d’Italia e da quelli della Lega Nord. Le divergenze si sono poi rafforzate con un continuo dissidio sul ruolo guida delle istituzioni Europee sulle politiche economiche nazionali, programmaticamente condiviso da Forza Italia (parte del PPE, la forza più Europeista del parlamento Europeo) ma apertamente avversato da Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che hanno assunto posizioni euro-critiche e addirittura, per quanto riguarda la Lega Nord, radicalmente anti-europee, vista l’adesione al MENL, con il Front National francese che propone la fine dell’unità europea. Il patto del Nazareno ha poi suggellato uno scontro tra il centro composto da FI, NCD e l’UDC, e la destra composta da FDI e Lega, solo malamente temperato dalle oscillazioni erratiche di FI, che talvolta ha sostenuto, e talaltra ha attaccato, il governo Renzi (da ultimo, clamorosamente, sul referendum). Anche a livello ideale, tra queste due aree disomogenee c’è una divisione profonda, perché l’area europeista è tuttora più sensibile a temi pro-mercato e concorrenza di quella antieuropeista, che fa dello stato sociale e delle regole protezionistiche contro la competizione globalizzata le sue bandiere.
Così, per quanto l’alleanza tra le due aree in alcuni Consigli Regionali, costringa Forza Italia, FDI e la Lega Nord a una convivenza formale, quel che rimane dell’alleanza è davvero sfilacciato e non percettibile nell’opinione pubblica. L’assetto elettorale prevedibile per le politiche sarebbe quindi al momento quello di due tronconi, con Forza Italia da sola da una parte, e la Lega e FDI alleati dall’altra. La prima dichiaratamente disposta a una maggioranza col PD dopo il voto e le seconde, determinate a fare opposizione proprio a tale tipo di accordo. Così del centrodestra rimarrebbe solo l’idea (condivisa tra gli elettori) che nessuna di queste forze creda in ciò che afferma, che nessuno di questi leader sia affidabile per gli elettori di altri partiti diversi dal suo, e che nessuno di questi movimenti abbia in sé la potenzialità per svettare sugli altri. Il quadro va infine integrato con un dato ulteriore: con un certo ritardo rispetto alle vicende dei capicorrente storici dei partiti, anche molti elettori ormai si sono fluidificati nella propria preferenza politica. Il voto è sempre più di opinione, salvo che per pochi esponenti estremamente radicati.
Resta però vivido il desiderio di moltissimi elettori di votare qualcosa non troppo diverso, a livello di coalizione e non di partiti, dalle esperienze vittoriose del 1994, del 2001 e del 2008, che attualmente non potrebbe venire mai offerto né da FI né da FDI-LN, date le premesse sopra esposte. E proprio questo porta quindi alla conclusione che esista una domanda elettorale specifica insoddisfatta per una offerta politica di centro-destra credibile, che potrebbe esprimersi tanto come voto a un simbolo nuovo operante in tal senso, tanto come maggior inclinazione al voto di una coalizione che contenga anche tale forza specifica oltre a quelle già note.
La proposta politica di Direzione Italia
Non tutte le offerte sono idonee a soddisfare una domanda politica. Il polo maggioritario formato da Berlusconi è definitivamente tramontato con lui; ma la pretesa di una offerta a vocazione maggioritaria non è mai stata dimenticata dagli elettori. Eppure nessuno dei partiti in campo intende considerare questa opzione e non può dunque soddisfarla. Per questo tutti mancano il bersaglio di quel 7% di delusi che esiste, e pesa moltissimo.
Se si vogliono quei voti, la logica dell’operazione Fittiana può – e dovrà – essere l’offerta di una nuova possibile scelta per un centro-destra omogeneo, che vada al di là di un partito, oppure che sia un partito ma – attenzione su questo – abbia una condizionalità d’alleanza molto spiccata delle proprie scelte. Per questo, quella di Fitto non può essere una corrente in uno dei movimenti esistenti, ma ha bisogno di una struttura parlamentare ed associativa di tipo partitico, che le consenta di esprimere una autonomia, e relazioni tra pari, proprio con riguardo alle alleanze.
Guai tuttavia a ritenere che questo basti. Gli elettori considereranno infatti l’offerta di Direzione Italia interessante, unicamente, se essa, nel giocare tra le alleanze, apparirà anche genuinamente vocata a ricollegare i due tronconi del centrodestra, che è proprio ciò che desiderano. Solo in via subordinata gli elettori potranno interessarsi a un progetto del genere se sarà schierato “contro” una metà del centrodestra – e questo potrà accadere solo se sarà davvero di solare evidenza che l’impossibilità di ricomporli non dipende da Fitto. Una ulteriore caratteristica, in tal caso, sarà necessaria: che Direzione Italia sappia decidere consapevolmente di interpretare la metà mancante della coalizione di cui fa parte. Ciò vale a dire che il movimento di Fitto dovrà avere una comunicazione conservatrice sul piano interno, ed euroscettica su quello internazionale solo se il partito sarà alleato con FI e l’UDC. Ed invece, se il partito sarà alleato con LN e FDI, allora la sua linea dovrà essere liberale ed atlantica, puntando assolutamente a bilanciare le posizioni degli alleati. Questo perché il suo scopo strategico, in ognuna delle due possibili collocazioni, dovrà essere quello di esercitare una complementarietà e un gioco di squadra, cercando di richiamare un elettorato ben diverso da quello già proprio degli alleati. Comune denominatore, in ogni caso, dovrà essere l’aggressiva difesa della libertà economica.
Sul punto un approfondimento è opportuno: è chiaro che ognuno dei movimenti del centrodestra diviso presidia diversi elettorati e non solo il primo di riferimento. Tuttavia c’è un orientamento che è troppo nettamente secondario e ghettizzato in ogni forza dell’attuale centrodestra per non essere interessante per Fitto e Capezzone. Si tratta dell’orientamento liberista. Da una parte, perché esso è incompatibile con le posizioni di Tremonti e Brunetta, dall’altra perché lo è con quelle di Meloni e Salvini, ed in ogni caso perchè tale orientamento ha una rilevanza elettorale significativa in Italia, che è stata tradizionale fin dal PLI di Malagodi al 7%, passando per la grande Forza Italia del 1994, e ricordando anche quel momento di fortuna mediatica che nel 2013 portò Oscar Giannino vicino al 4% nei sondaggi. Si tratta di voti che esistono per davvero, ma la posizione liberale è davvero sottorappresentata, e lì possono stare molte opportunità utili per l’avventura Fittiana.
Nulla potrà giustificare, pertanto, l’assunzione da parte di Direzione Italia di posizioni stataliste o protezioniste, che catapulterebbero il partito in una posizione di identicità con forze molto più solide e molto più autorevoli nell’interpretare questi sentimenti di base del popolo, e tutto dovrà invece essere approntato per rimarcare, a ogni piè sospinto, la vena Thatcheriana e Reaganiana del progetto, la quale andrà imposta, per decisa regia politica, a chiunque ne dissenta. Ottima in questo si sta dimostrando l’azione di Daniele Capezzone; ma non ci sono solo elementi positivi, come nel recente e noto caso Flixbus, quando con un emendamento lesivo del mercato alcuni senatori del partito hanno compromesso l’immagine liberista, che è l’unica chance di acquisire voti che Direzione Italia ha.
L’impatto dell’organizzazione sul consenso
Nel mondo moderno c’è una rilevanza crescente delle condizioni in cui sono state decise le politiche che vengono sottoposte all’elettore “d’opinione”, ai fini del suo voto. Per questo, un ulteriore elemento di differenza in positivo per Direzione Italia, rispetto agli altri partiti del centro e della destra, può essere nella democrazia interna. E su questo si è cominciato benissimo con la Convenzione Blu, nella quale si è potuto votare ogni aspetto con l’uso di una App scaricabile, il che è un inedito assoluto. All’epoca sono state perfette le parole di Raffaele Fitto quando, richiamando la tradizione sbagliata di Forza Italia, in cui l’applauso sostituiva le votazioni interne, ha enunciato la volontà di costruire “un partito diverso, in cui il voto è obbligatorio e l’applauso è facoltativo”.
In ogni caso, il partito non dovrà perdere il riferimento territoriale, che è funzionale a garantire all’elettorato la sostanzialità della scelta. La non provvisorietà dell’impegno di chi ne fa parte e la visibilità del mettere le proprie carriere a rischio sono elementi determinanti della fiducia degli elettori, ma non sono sufficienti. Occorre che le realtà territoriali credano al progetto e si rendano visibili, dimostrando, con il seguire l’iniziativa nazionale, che la cosa ha una sua forza, che riscuote seguito, e che non è una mera lista civetta. In tema, tra i primi sponsor territoriali esterni al gruppo di Fitto – di là dal fatto quasi solo parlamentare, e comunque politicista, della componente Idea di Gaetano Quagliariello – vi sono una serie importante di liste territoriali attive nelle regioni italiane da molti anni, e in cerca di un riferimento nazionale forte che stanno dando fiducia a Direzione Italia, ricevendone altrettanta in cambio. Ciò è bene, anche perché è l’esatto contrario di quanto si è visto, ad esempio, dalle parti di Stefano Parisi, Corrado Passera e Luca di Montezemolo, laddove la spinta iniziale è stata elitista ed ha teso ad escludere sistematicamente chiunque non fosse “puro spirito”.
L’esistenza di una soglia minima di lancio dell’offerta
Da ciò che abbiamo detto, se condiviso, emerge una conclusione impegnativa: quella che Direzione Italia non avrà successo alcuno se non soddisferà la condizione chiesta dagli elettori che dovrebbero votarlo, ovverosia la possibilità di percepire un riconoscimento della sua esistenza come forza politica da parte degli alleati, ed una visibilità conseguente dell’operare di un progetto Fittiano di riunificazione del centrodestra. L’altra ipotesi – quella di un efficace ruolo di bilanciamento di uno dei due tronconi – dovrà in altri termini comunque seguire a un tentativo, visibile a tutti, di riconciliare il centrodestra. Senza questa funzione, azzardiamo dire che non saranno mai possibili sondaggi positivi, perché l’elettore, prima di vedere un nuovo partito, e di tollerarne l’esistenza, oggi, tra le tante sue pretese, ha quella che di tale esistenza vi sia una ragione rilevante, non solo per gli esponenti del partito, ma anche direttamente per l’elettore votante.
Lo stesso fenomeno di Grillo non si pone contro ma perfettamente nel solco di questo schema: si nota infatti che il M5S è stato funzionale a distruggere i mini-partiti autoreferenziali nati in modo fungino negli ultimi 5 anni, che per la gente comune erano diventati inutili. Non è altro che il ruolo dello spazzino, del becchino, o del liquidatore, ed è sempre stato ben accetto nelle società umane. Ed è proprio tale autodistruzione che potrebbe essere il destino di Direzione Italia se essa dovesse mai venire percepita, in fase di test, come un progetto “pugliese”, aggrappato a piccoli potentati come una azienda di trasporto locale in mano a qualche amico.
Il punto fondamentale di affermazione per l’iniziativa di Fitto è dunque questo: dimostrare la capacità di farsi riconoscere da Salvini e dalla Meloni, nonché da partiti più piccoli, come quello liberale, ed al contempo di parlare con Berlusconi e Toti con l’obbiettivo di riunificare. Alcuni mesi, di qui al 2018, dovrebbero essere dedicati a questo. In un secondo momento, col fallimento di una iniziativa del tipo descritto, Fitto potrebbe riorientarsi all’obbiettivo di tenere i sostenitori già convinti, ma, in più, puntare a sottrarre qualcosa alla metà che rifiuterà l’unione. Ciò vale a dire: rappresentare l’euroscetticismo liberista se il movimento sarà con Berlusconi e i popolari, che invece vorrebbero mani libere dai vincoli di bilancio senza assumersi la responsabilità di proporre l’exIT, e rappresentare invece il liberismo atlantico, smorzando i toni antieuropei, se saranno con Salvini e Meloni che occhieggiano Marine Le Pen e Vladimir Putin. Per questo, ci sarebbe tutto il resto dell’anno, ed un anno caldo, denso di occasioni europee, e di momenti di visibilità.
È chiaro che questo scenario si scontra con una sola ipotesi, che ne farebbe venir meno il presupposto fondamentale, e cioè quella che Giorgia Meloni e Matteo Salvini non riconoscano il ruolo di Fitto, lo degradino a partitino essi stessi, e non accettino di presentarsi insieme con lui, né di replicare alle sue dichiarazioni o di considerarne le pressioni per incontri, convegni, e iniziative di riunificazione del centrodestra. Da parte della Meloni, ciò, va detto, sembra improbabile, visto che ha più volte incontrato Fitto in tantissimi convegni presentandosi con lui e dandogli rilevanza. Ma dal lato di Salvini, il discorso è diverso: il leader della Lega da molto tempo snobba gli appuntamenti che prevedono Fitto, o ne fissa di propri in concomitanza con i suoi. Questa cosa è pericolosissima, e dovrebbe indurre il leader di Direzione Italia a cercare un asse presto, e il prima possibile, con Giovanni Toti, che governa una regione insieme alla Lega e può condizionarla, perché questa freddezza sia superata.
La rinunciabilità della forma partito, ma non delle primarie
Se la prima proposta di Direzione Italia dovrebbe essere riunificatrice, è il caso di iniziare dall’esame di fattibilità di una riunificazione. Partendo col dire che – essendo tutt’ora più che probabile che la legge elettorale non cambi – al momento proprio nulla fa ritenere fondata l’ipotesi che il centrodestra presenti liste uniche. Nonostante, ad esempio, l’operato di Giorgia Meloni vada precisamente in questo senso, infatti, all’ipotesi fa da contraltare un pugnace Silvio Berlusconi, che con la sua uscita pubblica per Zaia premier ha cercato la lite con Salvini, per spaccare ancora il centrodestra e consegnarlo sconfitto a Renzi. L’ex Cavaliere, inoltre, continua a non voler parlare di primarie di coalizione per una lista unica. La somma di queste due posizioni offre così uno scenario nel quale la lista unica non si farà, perché LN e FDI da sole sono troppo lontane dal 40% e non hanno alcun interesse a farla solo nel proprio troncone. Ma questo per Direzione Italia non è del tutto negativo, giacché consente di discutere di riunificazione, ma non impone ancora di rischiarne il prezzo: la difficoltà di presentare un proprio simbolo, e la conseguente debolezza nelle trattative per i seggi migliori, che colpisce ogni partito che non si sia mai misurato col voto.
D’altra parte, è ancora vero che l’ipotesi di un centrodestra riunificato potrebbe riemergere, nel caso vi fosse un ritorno al mattarellum. In tal caso, nello scenario di una riappacificazione FI/LN-FDI forzata dalla necessità di porre un simbolo unico sulla scheda, ad essere pregiudicata per Direzione Italia non sarebbe solo la capacità di trattare, ma la stessa esistenza del suo movente politico primario: la domanda elettorale per una forza di mezzo, che verrebbe meno in caso di maggioritario, poiché la coalizione forzosa, riproponendo tutte le forze divise, sarebbe di per sé sufficiente a esprimere quella mediazione riunificatrice desiderata dagli elettori. In tale ipotesi, che è certamente il caso peggiore per il partito, vi potrebbero però essere elezioni primarie per il capo della coalizione, necessarie per decidere a chi spetti lo scettro, nelle quali anche la defezione di una forza piccola potrebbe rivelarsi costosa.
In caso di lista unica, quindi, il gioco di Direzione Italia sarebbe ancora possibile solo attraverso le primarie, e andrebbe pensato non più sul partito ma intorno a Fitto, per creare le condizioni idonee a consentire un efficace endorsement all’autorevole esponente campione di preferenze nel sud Italia (284.000), che potrebbe venire dato al candidato di Berlusconi, a Matteo Salvini, oppure a Giorgia Meloni, e che risulterebbe molto rilevante in una elezione che andrebbe a coinvolgere prevalentemente, o quasi solo, i militanti-votanti più attivi sul territorio. Azzardiamo che, se ci fosse una cornice del genere, nella quale contassero davvero i radicamenti territoriali, proprio la giovane leader della destra Italiana, con il partito più piccolo della coalizione, potrebbe addirittura vincere le primarie se fosse appoggiata da Fitto, perché anche la Meloni ha una militanza molto radicata in alcune zone d’Italia, ed un’alleanza tra due campioni di organizzazione del consenso li porterebbe a mobilitare decisamente molti militanti. Ciò garantirebbe, in ultima analisi, lo stesso Fitto, sui seggi per il partito nella lista unica.
Questa opportunità dovrebbe portare Direzione Italia a continuare la sua battaglia per le primarie e nello specifico a cercare di ottenere che esse seguano il modello americano, prevedendo una serie di tappe in sequenza, e non quello francese dell’unico election day. Se ci fossero votazioni regionali, infatti, sulla base del calendario, Fitto potrebbe puntare a una propria candidatura prima dell’endorsement, perché si potrebbe vedere meglio l’impatto in termini di delegati del suo partito in tutte quelle realtà popolose del sud in cui il movimento è più forte, e se poi a quel punto, dopo lusinghieri risultati nel sud, vi fossero votazioni successive almeno in alcune regioni del nord, non si potrebbe escludere una crescita inattesa. In ciascuna delle opzioni aperte, nulla sarebbe precluso ed a quel punto, in sede di trattativa per i collegi, nessuno potrebbe più discutere il ruolo di una nuova forza politica di centrodestra, destinata ad avere una sua rappresentanza nazionale.
*Giovanni Basini, collaboratore Charta minuta