È questa la prima volta per la destra italiana
Certo, nella storia italiana recente ci sono stati il 1994, il 2001 e il 2008, altrettante occasioni storiche di cimentarsi nel governo del paese. Con qualche variante, quella coalizione di centrodestra che gli elettori italiani chiamarono più volte alla prova più impegnativa, era stata inventata, costruita e determinata – soprattutto nel ’94 – dalla creativa genialità di Silvio Berlusconi. Forte di un grande persponale carisma, dell’esperienza imprenditoriale di successo, della popolarità quale presidente vincente nel calcio e della potente macchina mediatica a disposizione, sbaragliò il campo e portò un’inedita (e improvvisata; e un tantino sgangherata) alleanza alla guida del paese. Anche nelle due successive occasioni, l’impronta del leader fu profonda e indelebile, caratterizzante, a tratti irrefrenabile. Eppure, grazie a quella sua prorompente forza innovatrice, la destra italiana si trasformò rapidamente in destra di governo. Dall’Msi ad Alleanza nazionale e infine alla confluenza nel Pdl, ultimo atto di una stagione comunque intensa, che la destra ha vissuto da co-protagonista, ma sempre – necessariamente – uno e più passi indietro rispetto al più grande, indispensbile – egemone; e ingombrante – alleato.
Stavolta è tutto diverso, ogni cosa è mutata. È questa la prima volta, in assoluto. Perché nel 2013 è cominciata un’altra storia, sulle ceneri di Alleanza nazionale, sul rapido declino della leadership incarnata per oltre vent’anni da Gianfranco Fini. Perché Giorgia Meloni e un gruppo di dirigenti del Pdl (scontenti, a disagio, determinati a ricominciare) pensarono che fosse giunto il momento di scommettere sul futuro. E venne un Nuovo Inizio, rischioso e ma necessario. Soprattutto per tentare di riprendersi e (tornare a) rappresentare valori, idee e battaglie che altri avevano impugnato, con la disinvoltura (ma anche con l’approssimazione) del neofita che individua terreni fertili per accrescere consenso e voti, credibilità e prestigio.
La storia, poco meno di dieci anni, l’abbiamo vissuta come una splendida corsa: in salita, spesso in solitaria, ma con la determinazione che Giorgia Meloni ha saputo trasmettere all’intera clase dirigente di Fratelli d’Italia. Ha resistito alle tentazioni di prendere scorciatoie, di lasciarsi conquistare dalle sirene tentatrici del ritorno al governo. Ha scelto di attendere, ha voluto che fossero gli italiani a scegliere il momento, a cogliere l’occasone, a mettere la destra italiana nelle condizioni di scrivere la storia del futuro. L’occasione è arrivata prima e, insieme, dopo ogni previsione. Prima perché pareva praticamente scontato che il governo Draghi sarebbe arrivato a fine legislatura nonostante contrasti e lotte intestine a una maggioranza larga quanto spuria, nata per l’emergenza Covid e faticosamente sopravvissuta quasi esclusivamente per la convergenza di palesi interessi e di tacite paure. Ma è arrivata anche dopo, rispetto alle previsioni di chi immaginava l’ascesa di Draghi al Quirinale e, entro pochi mesi, la fine consensuale della legislatura.
Nel frattempo, nel corso degli ultimi mesi, tutte le indicazioni e i sondaggi settimanali confermavano la medesima tendenza, incremetando i consensi per Fratelli d’Italia e indicando una tendenza ulteriore al rialzo che – secondo taluni osservatori – potrebbe essere stata la vera (e malcelata) causa della repentina rottura e dello scioglimento delle Camere.
Insomma, ci siamo. Dalla prevalenza della Democrazia cristiana nell’aprile 1948, è la prima volta che un preciso filone culturale e politico italiano si accinge ad essere premiato da un vasto consenso elettorale. Mai è stato così per la sinistra – Pds, Ds, Pd – nella seconda Repubblica. Mai, finora, era stato così per una forza radicata nella storia italiana, con ascendenze nobili e importanti (come approfondisce splendidamente, in questo numero di Charta Minuta, lo storico Giuseppe Parlato) dalla destra storica a quella missina, che scelse di vivere e di agire dentro il sistema democratico. È una prima volta perché, dopo Alleanza nazionale, la destra può diventare forza di riferimento, trainante ed egemone, di un governo di svolta nel segno delle necessarie riforme, in un’Italia in cui ai diritti si antepongano i doveri; e gli interessi e i desideri siano preceduti da senso d’identità comunitaria e responsabilità sociale. (Della potenmzialità riformatrice della nuova legislatura si occupa Luigi Di Gregorio)
È la prima volta che una forza politica, senza bisogno d’attendere indicazioni dalla gerarchia cattolica, ingaggia battaglia contro le degenerazioni di un pensiero, tendenzialmente totalitario, che nel nome di pretesi diritti individuali calpesta la dignità della persona e ne umilia l’umanità, com’è palese nella pratica ignobile dell’utero in affitto, vero crimine da reprimere anche a livello internazionale. (Del rapporto politica/cattolici si occupano il contributo di Riccardo Pedrizzi e l’intervista con monsignor Vinzenzo Paglia, a cura di Stefano Girotti).
È la prima volta che l’Italia potrà agire e operare senza ambiguità in un contesto internazionale – tra Europa e Atlantico – che la veda co-protagonista e non più comprimaria, forte di una certa idea dell’Unione e del rapporto chiaro e stabile nell’alleanza Nato, che la guerra in Ucraina spinge a ridefìnire e rafforzare. (Della politica internazionale dell’Italia che verrà si occupano Gabriele Checchia e Aldo Di Lello)
È la prima volta che, in modo sguaiato e indegno, molti media hanno affrontato il racconto pre-elettorale con un bagaglio di faziosità menzognera indegno di un paese civile e di una democrazia matura. In fretta è stato dimenticato il principio avversari non nemici e, nella foga comiziale, è stato calpestato anche l’elementare principio di salvaguardia degli interessi nazionali, con alcuni leader politici che si sono esibiti in sguaiate interviste alla stampa estera all’insegna della democrazia in pericolo in caso di vittoria della destra. (Della pessima prova fornita da molti media, in specie televisivi, si occupa Fabio Torriero)
È la prima volta che anche in Italia una donna potrebbe assumere la massima responsabilità di guida politica. Dopo Margareth Thatcher a Londra, dopo Angela Merkel a Berlino, in contemporanea con la neo-premier britannica Liz Truss. E che da noi la svolta buona arrivi davvero, dopo anni di marchingegni parlamentari e di inciuci di palazzo, dipende solo da noi.
di Mauro Mazza
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