E se il modello riformista di Bergoglio fosse proprio Benedetto (XVI)? di Fernando Massimo Adonia
C’è inquietudine dentro e fuori le mura leonine. Nubi ben visibili si addensano sui Sacri Palazzi. È dai giorni della rinuncia, infatti, che il nome Ratzinger non rimbalzava con tanta insistenza sugli organi di stampa mondiali. Che sia quello di Joseph o del meno ingombrante George, il fratello a capo del coro della cattedrale di Ratisbona, pare indifferente. Intanto il meme dilaga e con esso i dubbi su questa stagione ecclesiale. Chiaro è che la vicenda dei presunti silenzi sugli altrettanto presunti abusi che le piccole voci avrebbero subito sotto gli occhi del fratello del papa bavarese sia un fatto di per sé notiziabile. Emerito o regnante che sia, quello di Benedetto XVI è un nome che continua a fare tremare le vene ai polsi. Per autorità, ovviamente. Ma anche per ciò che la sua opera continua a rappresentare persino tra i laici. Marcello Pera ne è certo: «È in corso un attacco, la Chiesa è sotto assedio». Per il già presidente del Senato il piano è chiaro: colpire il papa tedesco significa colpire il «bastone della dottrina cattolica».
Ma c’è anche chi, il bastone Ratzinger, lo sta usando per manganellare papa Francesco, il titolare effettivo della cattedra di Pietro. Le parole di commiato di Benedetto XVI per il cardinale Joachim Meisner e, prima ancora, quelle dell’introduzione all’ultimo libro di Robert Sarah, il neo prefetto della congregazione per il Culto divino, sono state strumentalizzate ad arte contro Bergoglio nel tentativo di delegittimarne il ruolo e ed elencarlo tra gli «antipapa». Difficile non pensare che l’inedita convivenza di due papi vestiti di bianco non suscitasse nel tempo bisbigli da comari o suggestioni apocalittiche.
La rappresentazione di una Chiesa divisa lacerata da destra a sinistra, calza però fino a un certo punto. Dopo quattro anni dal primo «buonasera» del papa argentino, c’è tuttavia da fare i conti con un primo risultato mancato: quello cioè che la rivoluzione francescana, al momento, è soltanto abbozzata. L’entusiasmo dei primi mesi e le edulcorazioni da luna di miele, stanno lasciando spazio alla gestione ordinaria del soglio pontificio e a una riflessione più meditata dell’agenda romana.
Le due novità più evidenti dell’attuale pontificato – escludendo il versante della comunicazione – portano il marchio indelebile di Benedetto XVI. I risultati sul fronte antipedofilia nel clero sono stati pensati, e già in parte incassati, sotto la duplice regìa del Ratzinger prefetto della Dottrina della Fede, prima; e di vescovo di Roma, poi. Screditarne il fratello – manco a dirlo – serve ad offuscare un’azione gestita con tanto rigore quanti erano gli imbarazzi da sgomberare. Ma è con il papato emerito che la faccenda si fa più pregnante e duratura. Lo ha ribadito anche Bergoglio, il fondatore del nuovo istituto è lui. Stavolta non si tratta del lascito testamentario figlio di un papato che nei fatti non si è mai interrotto; ma di una realtà in atto e destinata a implementarsi nel tempo.
Pare di essere tornati ai tempi di Augusto e della fondazione del principato. Perché partendo da zero o quasi, Ratzinger si è fatto promotore, garante, e modello per i papi emeriti del futuro. I quali, in un certo qual modo, saranno chiamati anche loro a vivere nel riserbo, in orazione, e nel servizio obbediente del Papa regnante. Questo sotto l’aspetto formale. Sul piano sostanziale, invece, Benedetto XVI ha disegnato delle traiettorie che investono anche il processo ecumenico. La presenza di due papi, e non di due vescovi di Roma – uno titolare e l’altro appunto emerito – ci dicono che quella di Pietro non è affatto una cattedra analoga alle altre.
Se il mandato petrino non è revocabile, come ha spiegato Ratzinger prima di rinchiudersi in preghiera, vuole dire che l’esercizio regale del ministero pontificio pone il suo titolare in una condizione spirituale non più avversabile. Non c’è un ritorno al privato, alla talare nera. Ma una condizione permanente di bianco vestita. Nonostante lo scoramento prodotto dall’annuncio di febbraio, l’atto del papa tedesco non ha prodotto un indebolimento della funzione papale, ma ne ha rinforzato il primato. Altro che crisi. C’è da chiedersi invece se le nuvole di questa stagione siano la spia di una grandezza che nessun chiacchiericcio può incasellare. Se non nel mistero, almeno.
*Fernando Adonia, collaboratore Charta minuta