Economia di prossimità e tutela del made in Italy
Con il termine Economia di prossimità o di vicinanza indichiamo, genericamente, ciò che è prossimo, ciò che si trova nelle vicinanze, quindi sia luoghi che persone. Quando parliamo di economia di prossimità, quindi, non possiamo che riferirci a tale intreccio di relazioni funzionali in termini economici. L’emergenza coronavirus avrà una ripercussione sociale ed economica che potrebbe determinare un ripensamento delle relazioni interpersonali con comportamenti razionali che potrebbero reinventare l’organizzazione delle scelte che ci spingono ad effettuare determinati comportamenti negli acquisti. Si parla di una riduzione del PIL del 9% con una incidenza notevole sia nella riduzione delle esportazioni dell’agroalimentare che del turismo. Il modello economico sociale che potrebbe assorbire questa parte della produzione è sicuramente quello dell’economia di prossimità. Il tradizionale ruolo sociale del piccolo commercio di vicinanza è una forma di economia comunitaria per produrre coesione e inclusione, anche rispetto all’immigrazione. C’è una connotazione organica per i legami interpersonali che si consolidano tra chi li frequenta fondata sulla similarità di classe. La prossimità avrebbe la capacità di ravvivare e rafforzare le relazioni di vicinato nell’ottica della partecipazione al bene comune, della lotta agli sprechi e alla creazione di servizi legati alla condivisione e alla reciprocità.
Questo modello economico è di fondamentale importanza nel panorama economico mondiale, specialmente per l’Italia perché tali realtà rappresentano il grosso dello sviluppo del Paese. Le piccole imprese hanno un peso notevole anche solo per una questione prettamente numerica, visto che rappresentano circa il 90% delle aziende attive sul territorio in particolar modo per quanto riguarda l’agricoltura e l’alimentare. Ci si fida di più del vicino che si conosce e diffidiamo da ciò che arriva da lontano, da estranei. Questo forse è anche una sorta di legittima difesa, che in epoca di crisi si diffonde maggiormente come forma di autotutela.
I vantaggi dei prodotti a chilometro zero ad esempio spesso superano di gran lunga gli svantaggi. Il primo vantaggio di una spesa a chilometro zero è per la propria salute: si sa da chi si stanno acquistando i prodotti e si sa come li ha realizzati. In più sono freschi, appena raccolti, niente maturazioni in celle frigorifere e nessun bisogno di conservanti. Attività commerciali e artigianali, dalla tintoria al panettiere al bar, che danno lavoro e fanno circolare risorse sul luogo, in sinergia con scuole, giardini, servizi pubblici, e contribuiscono a generare identità di territorio, sicurezza e coesione sociale.
L’eliminazione di tutti i passaggi intermedi fa poi sì che non se ne debba più sostenere il costo. Significa quindi che, il più delle volte, comprando a chilometro zero si risparmia. Naturalmente, il vantaggio maggiore lo si regala all’ambiente: abbattimento delle emissioni di anidride carbonica, niente spreco di acqua o energia per la lavorazione, il confezionamento e la conservazione del prodotto e in più l’eliminazione degli imballaggi di plastica o cartone. Chilometro zero non significa ovviamente che si debba dimenticare qualsiasi altro prodotto che non venga coltivato dietro casa, ma che si decida di basare le nostre abitudini alimentari soprattutto sui prodotti del nostro territorio e che si consideri maggiormente il resto come un’eccezione.
Il modello microeconomico in generale darebbe quindi modo di valorizzare il territorio e di instaurare un contatto diretto tra il cittadino e la propria comunità di appartenenza. Darebbe l’occasione di valorizzare il ruolo delle piccole imprese agricole che sono il cuore pulsante della nazione, soprattutto dopo il flagello del coronavirus che rischia di uccidere, oltre a migliaia di cittadini, anche un già traballante sistema economico. Valorizzare e acquistare il “made in Italy” rimane uno dei pochi metodi a disposizione per dare una possibilità all’Italia di uscire fuori da una recessione che potrebbe farsi molto lunga.
Tante le iniziative legati alla tutela del made in italy nel nostro Paese. Una è quella di Pam. L’idea è di promuovere prodotti realizzati da piccoli produttori italiani, a sostegno delle piccole produzioni regionali attraverso le quali si vuole crescere.
Il primo prodotto con cui partirà è lo zucchero “orgogliosamente italiano” a marchio Pam nato in collaborazione con Italia Zuccheri e le sue 7000 aziende agricole. E’ un prodotto di filiera 100% italiano (coltivazione di barbabietole, raccolto e produzione). Ne seguiranno altri, ogni settimana, di tutti i settori alimentari, dall’ortofrutta alla carne, dal pesce allo scatolame. Per almeno un anno sarà il motivo dominante della nostra comunicazione e della nostra responsabilità rispetto al nostro Paese.
L’economia di prossimità rivitalizza il tessuto economico locale a patto che sappia rinnovarsi in sinergia con le nuove tecnologie digitali riuscendo a rimanere inclusiva. Un certo ritorno al locale riattiva forme economiche collaborative di reciprocità su basi etiche e comunitarie che, se supportate dalla digitalizzazione, e messe in rete, possono diventare premessa per la diffusione del welfare di prossimità. Forme economiche non più considerate antiquate o superate ma, anzi, che poggiano su aspetti moderni capaci di creare forte capitale sociale collettivo. Le stesse tecnologie sviluppano un concetto di prossimità diffusa e non necessariamente legata ad uno specifico contesto locale. Possono fare da mediazione tra le piattaforme digitali che rappresentano le strutture proprietarie e gli utenti che rappresentano i destinatari finali e territoriali. Per le piccole imprese, il territorio offre gli strumenti per ridurre la complessità del processo produttivo, abbassando le barriere all’ingresso nell’attività economica. Dal punto di vista delle conoscenze, è il luogo dove queste conoscenze si accumulano, si rinnovano, si creano, si condividono e si scambiano.