G7 Taormina, tra vecchie liturgie e (troppe) fratture: un fallimento annunciato
G7 Taormina: un fallimento annunciato, e non c’è da sorprendersi. Il documento finale – tradottosi in un’infelice opera di equilibrismo lessicale – rispecchia l’attuale incapacità, da parte di quelle che dovrebbero essere le potenze occidentali, di trovare una sintesi vincente dei propri egoismi. E nonostante la superficiale chiave di lettura proposta dalla maggior parte dei media italiani, che indicano – ovviamente – in Donald Trump il principale colpevole dell’impasse, un’analisi più attenta mostra una scacchiera diplomatica dove l’Occidente non riesce davvero, ormai da anni, a giocare la partita in modo unitario.
L’Italia, priva da tempo di una leadership credibile, si è ridotta a giocare un ruolo meramente cerimoniale, limitandosi a fornire uno splendido teatro dove i “grandi” del mondo hanno bisticciato come pargoli che Paolo Gentiloni ha provato, con scarsi risultati, a riportare a più miti consigli. Mai come in questa circostanza, il G7 è parso una stanca e inconcludente liturgia, che anziché gettare basi comuni – quanto mai urgenti per affrontare le impegnative sfide del presente e del futuro – ha messo a nudo le linee di frattura non solo fra l’Atlantico e l’Europa e tra l’Europa e l’Estremo Oriente, ma anche all’interno dello stesso Vecchio Continente.
Donald Trump è stato l’ingombrante catalizzatore di queste divisioni, ma al tavolo dei “grandi” non era seduto alcun statista, ma solo droghieri interessati ai propri interessi di bottega. Angela Merkel, che ambiva a trasformare il G7 in una comoda passerella verso le elezioni federali di settembre, ha trovato un duro avversario nel presidente americano, che ha dato battaglia in particolare sulle tematiche legate al commercio e all’ambiente. Una discussione definita dalla stessa cancelleria “vivace e franca”, ma che ha portato all’annullamento delle rispettive conferenze stampa nonché all’amara constatazione di un confronto “molto insoddisfacente” in merito agli accordi sul clima. La leadership tedesca rientra ammaccata da Taormina, non senza qualche compiaciuto sorriso nelle capitali europee.
Theresa May, che a causa dell’attentato che ha colpito Manchester si è intrattenuta solo un giorno per poi ripartire alla volta di Londra, ha mostrato un atteggiamento ambiguo, figlio della necessità di barcamenarsi tra il lungo addio della Brexit, le elezioni imminenti – che hanno visto un inaspettato crollo dei Conservatori nei sondaggi – e le relazioni oltremanica, ancora in fase di studio. Shinzo Abe è parso più preoccupato d’ingraziarsi l’alleato americano considerati i fronti caldi con la Cina e la Corea del Nord; l’esordiente Emmanuel Macron ha cercato un asse generazionale con l’altrettanto giovane Justin Trudeau, e ha osservato con una punta di soddisfazione il malumore di Angela Merkel.
La formula, in sostanza, cosiddetta del “6 contro 1”, ovvero di un vertice segnato da un muro contro muro fra Donald Trump e il resto del gruppo, non regge; ed è poco lungimirante pensare che sia sufficiente tifare in modo infantile contro il presidente americano per sedersi dalla parte della ragione. L’atteggiamento poco ortodosso e rozzo, quasi fumettistico, con il quale Trump ha condotto il G7 dovrebbe suonare come una sveglia nei confronti del Vecchio Continente, ormai assuefatto all’inconcludenza dei vertici e alla stasi decisionale. Per quanto sgradevoli, i modi burberi del tycoon rappresentano una sberla ad un’Occidente frammentato e smarrito, che ormai ha paura persino di definirsi tale per non incappare nella scomunica di qualche intellettuale del politicamente corretto.
Una frammentazione che si riproduce anche ai tavoli, dove troviamo capi di Stato ma anche rappresentanti delle istituzioni europee come Juncker, a suggellare l’eterno dilemma dell’Unione Europea che non ha ancora deciso cosa vuole fare da grande, perennemente indecisa tra il superamento degli Stati nazionali e un ripensamento delle proprie strutture. Le divisioni vanno superate non tanto per opporre un’unità di intenti contro Donald Trump, ma al contrario per rilanciare su di una base di parità le relazioni euro-atlantiche, che mai come ora sono necessarie affinché l’Occidente sia compatto, anche dal punto di vista diplomatico, nel fronteggiare le minacce alla pace e alla sicurezza a livello mondiale. Cosa pensa di fare, da sola, questa Europa, mentre tiene il broncio verso Washington?
(Foto Ansa)