Gas naturale sfida per il futuro
In uno scenario internazionale mutevole, caratterizzato dal perdurare di notevoli margini di incertezze geopolitiche, si profilano nel mercato degli idrocarburi nuove variabili nella determinazione di prezzi e consumi.
Fattori chiave specifici fanno spazio a dinamiche interpretative un tempo trascurate a favore dei tradizionali “pilastri” macroeconomici di domanda e offerta. L’Oxford institute for energy studies sottolinea come la crescita della domanda di petrolio sia sempre più legata alla congiuntura economica globale e alle sue fluttuazioni imprevedibili che riducono l’impatto della volatilità dei prezzi. Questi ultimi risentono pesantemente delle variazioni connesse al consumo immediato e alle scelte dei consumatori. Ulteriori variabili dipendono dai cambi di policy energetica adottati dagli Stati produttori, dalla rinuncia acclarata ad una programmazione della produzione che abbracci il medio e lungo periodo e dalle perduranti crisi di natura politica e commerciale che scuotono il mondo, con un occhio allo spettro di una recessione incombente. Un capitolo a sé merita la comunicazione, legata in special modo ai tweet del Presidente degli Stati Uniti, in grado di incidere nel brevissimo termine in maniera sostanziale, vantaggio accresciuto dal fatto che gli USA si candidano grazie allo shale oil a diventare un esportatore netto di greggio e derivati. Se la presenza di tali indicatori di difficile previsione ha contribuito infatti ad accrescere la volatilità del segmento greggio, tale fenomeno non si è ripetuto in egual misura in quello del gas naturale che appare beneficiario di una certa resilienza e si candida ad un ruolo di primo piano nella prima metà del XXI secolo.
L’Agenzia internazionale dell’energia nel suo report annuale sul mercato del gas rileva come, dopo un altro anno record, la domanda globale di gas naturale si prevede in continua crescita per i prossimi 5 anni. Il trend è supportato dai consumi sempre più massicci ad opera dei paesi dell’Asia, beneficiari di una perdurante congiuntura economica positiva e dallo sviluppo del commercio internazionale su cui influisce il ricorso al gas naturale liquefatto che si avvia a rivoluzionare la filiera del midstream nel trasporto e nello stoccaggio.
La domanda è cresciuta ad un tasso del 4,6%, il più elevato dal 2010 e il gas naturale rappresenta quasi metà dell’incremento dei consumi di energia primaria in tutto il mondo. Un ritmo destinato a consolidarsi con un aumento del 10% nei prossimi cinque anni, raggiungendo oltre 4,3 trilioni di metri cubi nel 2024. L’uso industriale del gas naturale, sia come combustibile che come materia prima, si conferma in espansione ed è prevista l’incremento ad un tasso medio annuo del 3%, che equivarrà alla metà della crescita del consumo globale nel quinquennio. Il comparto produzione di energia d’altro canto rimane saldamente il maggiore consumatore di gas naturale, nonostante la crescita più lenta dovuta alla forte concorrenza delle energie rinnovabili e del carbone.
Il 40% di questi nuovi consumi si prevede imputabile alla Cina, il gigante asiatico trainato dagli obiettivi del governo ha avviato ormai da diversi anni un programma sistematico di miglioramento della qualità dell’aria con il passaggio dal carbone a nuove fonti di energia meno inquinanti. Tuttavia i consumi seppur in rapido aumento sono destinati a ridursi dal 18% del 2018 ad una media dell’8% nei prossimi 5 anni. Pesano in tal senso la progressiva riduzione della crescita della crescita economica su base annua, risultato di un rallentamento pianificato nel quadro della visione Made in China 2025, ma anche le incertezze della guerra commerciale in corso con gli Stati Uniti.
Anche altri Paesi Asiatici sperimentano un incremento della domanda di gas naturale. Pakistan, India e Bangladesh in particolare dovranno compensare l’impatto ambientale di un settore industriale in rapida crescita e di una massiccia urbanizzazione, spesso attuata senza i più elementari strumenti di pianificazione. In questi casi un valido aiuto alla sostenibilità dello sviluppo economico proviene dall’impiego del gas naturale, nel quadro di un’economia circolare, impiantabile con più facilità in scenari produttivi ancora in definizione.
Emerge inoltre la crescente influenza del Gas Naturale Liquefatto nella filiera del midstream. Trainato dalla costante offerta degli esportatori tradizionali come Qatar, Australia, Malesia e Nigeria a cui contribuiranno presto gli Stati Uniti in virtù del continuo rinvenimento di giacimenti di shale gas di cui si prevede lo sfruttamento nell’immediato. Nei trasporti marittimi internazionali il GNL è assurto al ruolo di alternativa credibile ai carburanti tradizionali, a causa di leggi sempre più restrittive sull’uso di derivati del petrolio contenenti zolfo che entreranno in vigore già dal 2020. Il gas naturale liquefatto infatti, non solo riduce del 20% le emissioni di CO2 ma porta a valori prossimi allo zero quelle di anidride solforosa e di polveri sottili. Inoltre la maggiore flessibilità negli approvvigionamenti, rispetto ai tradizionali gasdotti, permetterà di raggiungere un buon margine di incidenza nei consumi dei paesi importatori, a patto che i prezzi si mantengano sufficientemente bassi da non comprometterne la convenienza economica. Potenzialità di cui l’Italia sarà costretta a tenere conto visto il suo record poco invidiabile di trasporto gommato (oltre l’85%) e di inquinamento atmosferico delle aree urbane, che rendono opportuna una trasformazione della filiera merceologica verso fonti energetiche alternative. L’importanza del GNL risiede nella possibilità di un suo utilizzo in tutte le fasi del processo di spedizione delle merci e per efficientare la supply chain non si può prescindere dall’ottimizzazione e innovazione sostenibile delle modalità di trasporto. La riconversione a favore del gas naturale liquefatto nella logistica rappresenta dunque un vantaggio e un’opportunità di crescita nel lungo periodo, perché permette sia al fornitore del servizio che a quello dell’infrastruttura di stoccaggio e distribuzione di integrarsi reciprocamente all’interno di una filiera virtuosa.
D’altro canto dopo numerosi anni di declino gli investimenti pubblici e privati in questo settore hanno segnato un boom nel 2018 e si prevede che numerosi progetti pianificati negli anni possano supportare l’espansione del mercato globale. Anche in questo caso permangono le incertezze legate alla “guerra dei dazi” le cui ripercussioni sono acuite dal fatto che il trasporto del GNL si effettua via mare, ed è perciò collaterale agli andamenti del commercio internazionale.
La crescita del gas naturale non è frutto di una mera coincidenza o di una fase anticiclica del mercato. Gli sforzi sempre più ambiziosi richiesti agli Stati in materia di decarbonizzazione, formalizzati con la ratifica dell’accordo di Parigi del 2015, si inseriscono in un trend consolidato che interessa il futuro dei combustibili fossili: la grande disponibilità del già menzionato GNL, dello shale gas e del gas russo hanno provocato una contrazione dei prezzi a cui ha fatto seguito un incremento della domanda legato alla progressiva dismissione del carbone come fonte energetica. L’Italia ha programmato il phase-out al 2025 ma è ragionevole che mutati indirizzi di politica energetica possano influire a favore di uno slittamento al 2030, in leggero ritardo rispetto ai più stretti partner Europei, mentre rimane l’incognita Visegrad che si ostina a posporre gli impegni comunitari ben oltre il 2050. Sarebbe stato ragionevole agevolare una simile policy con il mantenimento, se non addirittura il potenziamento, dell’energia nucleare su scala Europea. Il frettoloso abbandono di quest’ultima ha infatti frustrato le ambizioni di disporre di un mix carbon free già nel medio periodo. Ai fattori sopraelencati si aggiungono i promettenti sviluppi in materia di stoccaggio e cattura del cosiddetto biogas e biometano, a lungo ritenuti una conseguenza inevitabile dell’impatto ambientale di agricoltura e allevamento intensivi. Oggi, con una crescita demografica impetuosa in Asia e Africa, diviene naturale volgere lo sguardo verso sistemi in grado di mitigare gli effetti negativi dell’industria alimentare e della zootecnia. L’obiettivo rimane quello di giungere ad un’immissione in atmosfera di CO2 sempre più “neutra”, resa tale da un reimpiego dei residui utili in una successiva filiera produttiva. Il tutto a favore della rinuncia ad un approvvigionamento energetico “tradizionale”.
Il consorzio italiano del biogas sottolinea come il settore in Italia possa ambire a coprire un potenziale produttivo di gas rinnovabile stimato nel 2030 in 10 miliardi di metri cubi di biometano, dei quali 8 miliardi provenienti da matrici agricole e 2 miliardi ottenibili da particolari tipi di rifiuti organici, da fonti non biogeniche e dai processi di gassificazione. Un simile obiettivo sarebbe praticabile già da adesso, destinando circa 400.000 ettari di superficie agricola utilizzata (SAU) a colture di primo raccolto, valorizzando i prodotti di scarto della zootecnia e i sottoprodotti dell’industria agroalimentare.
Appare chiaro che la produzione di biometano è solo uno degli anelli di una catena ben più complessa che, partendo dalla pianificazione dell’uso del suolo, influenza numerose componenti della produzione di beni provenienti dal settore agricolo. L’industria agroalimentare anche per questo si candida a pieno titolo a diventare meta di investimenti a favore dell’efficientamento energetico e della produttività, e se il legislatore rinuncerà ad adoperare una troppo annacquata lungimiranza, sarà compito dei privati fornire il propellente adatto all’economia circolare. Con l’obiettivo di collegare il mondo delle campagne a quello industriale e post-industriale, perseguendo una policy di un impatto il più possibile neutro sull’ambiente.
Rimangono positive inoltre, sia in termini occupazionali che di crescita economica, le conseguenze di uno sviluppo della filiera di produzione, stoccaggio e distribuzione del biogas su tutte le attività produttive. In particolare l’industria e i trasporti beneficerebbero, nell’ottica di economia circolare, di una fonte energetica del tutto identica al tradizionale gas naturale, con il prezioso vantaggio, anche in termini geopolitici, di una maggiore indipendenza dalle importazioni dai paesi produttori.
Tale fattore sarebbe destinato ad acquisire una certa influenza nel medio e lungo periodo, se combinato con politiche di incremento degli investimenti in ricerca e produzione degli idrocarburi nel territorio nazionale. Per il mantenimento della produzione domestica attraverso lo sviluppo delle risorse energetiche del Paese, gli operatori di Assomineraria hanno previsto un investimento per il periodo 2018-30 di circa 13 miliardi di euro e un impegno economico complessivo di circa 18 miliardi su progetti già definiti. Le attività offshore tuttavia sono in calo da diversi anni: nel 2018 sono stati estratti circa 5 miliardi e mezzo di metri cubi di gas naturale, a fronte di un miliardo di euro di investimenti attualizzati, in costante declino rispetto ai 9 miliardi di smc del 2008. Il contributo è comunque pari al 7,6% del fabbisogno energetico, con una riduzione del costo dell’energia stimato in un valore di circa 3,1 miliardi di euro. L’intera filiera upstream italiana ha totalizzato 3,9 miliardi di euro di fatturato nel 2018 e conta 7.000 addetti diretti e indiretti nella sola attività estrattiva, più circa 13.000 nell’indotto esterno al settore, che ha nel polo di Ravenna la sua realtà più significativa. Nell’area del Mare Adriatico centro-settentrionale si concentrano le ambizioni dell’Italia come mini-potenza energetica in un settore di importanza strategica, del quale i consumatori apprezzerebbero ancor di più i notevoli benefici apportati in presenza di gravi problemi di approvvigionamento energetico di idrocarburi.
Quella del gas naturale rappresenta infatti una sfida per il futuro, verso la transizione energetica, che il nostro Paese non può permettersi di perdere. In linea con i principali partner europei e mondiali, la classe politica e dirigente è chiamata ad uno sforzo in più per assicurare che gli obiettivi dei settori produttivi non solo combacino con quelli della tutela dell’ambiente, ma siano portati ad esprimere dal loro reciproco condizionamento, una spinta in più verso una crescita economica tangibile e sostenibile per le generazioni presenti e future.