Giulio Terzi: Le vie della seta per il neo-imperialismo della Cina comunista
Diplomatico dall’intensa carriera, già Ministro degli Affari Esteri, l’Ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata è osservatore privilegiato dei mutamenti geopolitici nel mondo.
D. Tra Est ed Ovest sembra tornare a prendere forma una nuova “guerra fredda”, qual è la sua visione della mappa geopolitica?
R. Giorni fa leggevo un rapporto sulla percezione del potere mondiale, sviluppato da una pluralità di centri di ricerca; una graduatoria basata su indicatori quali economia, crescita, soft power, capacità d’influire su Paesi terzi, potenza militare, nuove tecnologie. Gli Stati Uniti sono ancora al primo posto, la Russia emerge dal punto di vista politico-militare nonostante un’economia inferiore a quella italiana che corrisponde a circa un decimo di quella cinese, la Cina viene considerata da tutti gli osservatori come grande antagonista della potenza americana con un elevato ritmo di crescita ed un sistema Paese estremamente autoritario, minaccioso e temibile, che mira ad obiettivi imperiali. Per quanto riguarda la Russia, lo spirito di Pratica di Mare con cui si sperava di porre le basi per una vera “sicurezza cooperativa” in Europa – tra Est ed Ovest – si è rivelato, nei pochi anni seguiti a quell’incontro del 2003, una speranza incompiuta: a causa delle azioni di forza della Russia di Putin nel suo “vicino estero” e delle polemiche sull’allargamento della Nato verso Paesi che erano stati membri del Patto di Varsavia. Con la Cina, di “sicurezza cooperativa” non si è in realtà mai riusciti a discuterne in forma sistematica, nonostante l’attivazione di canali di comunicazione a livello militare tra Washington e Pechino. Diversamente da quanto avvenuto tra USA e Russia, e tra Nato e Patto di Varsavia sino a quando esso è esistito, nessuna intesa è stata raggiunta tra Cina e Paesi Occidentali in tema di limitazione di armamenti strategici e convenzionali, o per un regime di notifiche, verifiche, misure di fiducia che hanno invece caratterizzato, talvolta impedendo che degenerasse la “guerra fredda” tra Est ed Ovest, anche negli anni seguiti alla caduta del Muro di Berlino.
Nonostante gli sforzi fatti ancora durante la presidenza Trump di coinvolgere Pechino in un negoziato sulla limitazione delle armi strategiche, insieme alla Russia, Xi Jinping ha sempre fatto orecchie da mercante, interessato soprattutto ad accelerare il suo riarmo nucleare. Anche sotto questo profilo il degradarsi del rapporto tra Stati Uniti e Cina preoccupa, specialmente l’Europa, così esposta alle strategie espansioniste degli “assets” militari e strategici cinesi nei principali porti del Mediterraneo: chi garantisce che navi cinesi a Taranto, Vado Ligure o Trieste non operino per rafforzare lo spiegamento, strategico-nucleare incluso, della Marina Cinese? Quali trattati sulle verifiche abbiamo negoziato con Pechino, per escluderlo?
D. Il maturare di questo antagonismo sempre più evidente, tra Stati Uniti e Cina, come si connota e che altre differenze ha rispetto alla guerra fredda che vedeva l’Alleanza Atlantica da una parte e la Russia dall’altra?
R. La Cina si sta affermando in poco tempo come potenza globale. Nel giro di poco tempo potremmo assistere al consolidamento di una sorta di duopolio tra USA e Cina in campo economico, politico e militare. Un’altra differenza con la Russia protagonista della precedente guerra fredda, è che attorno alla Cina non c’è un’alleanza militare come quella che esisteva nel Patto di Varsavia e non c’è neanche un’alleanza di natura ideologica; ci sono esercitazioni militari congiunte, con la Russia, c’è un accordo di difesa con la Corea del Nord, ma non un collante come quello che aveva il comunismo russo nella primazia con i propri Stati satelliti. La Cina, da ormai vent’anni, utilizza una tattica diversa per espandersi verso il mondo esterno: il soft power. E mentre la Russia non ha mai realizzato un modello di sviluppo economico, la Cina ha un sistema Paese che le consente di crescere sempre di più economicamente, restando tuttavia profondamente arretrata sul piano della democrazia e dei diritti umani.
D. La Cina dove pratica la sua espansione e come attua il suo soft power?
R. Lo scacchiere è tracciato dalle Vie della Seta: basta vedere la carta geografica e registrare i corridoi ti terra e di mare dove Pechino ha deciso e imposto i suoi investimenti. L’approccio ha una natura predatoria ovunque il Partito Comunista Cinese decida di esser presente, anche se nella prima fase la Cina si presenta come Paese benefattore. C’è l’esempio di Paesi che si sono anche ribellati o hanno cercato di fare passi indietro, come il Myanmar, lo Sri Lanka, il Pakistan, dove la leva finanziaria per investimenti infrastrutturali è stata applicata con metodi di usura: nei momenti in cui si sono verificate condizioni d’insolvenza sui mutui concesso, la Cina ha tradotto le clausule d’insolvenza nell’appropriazione di enormi fasce di territori, o di spropositate concessioni minerarie, per valori esponenzialmente superiori al valore dei mutui non onorati. Un’altro esempio è l’Africa, soprattutto nelle aree minerarie, dove l’insolvenza cinese è stata pagata attraverso la concessione di miniere che valgono fino a cinquanta volte l’ammontare del mutuo elargito. Se il Piano Marshal è stato un piano di sviluppo generoso e destinato a Paesi democratici e liberi, la Via della Seta è stata concepita e viene attuata con il preciso obiettivo di arricchire le aziende cinesi statali o private integrate nel sistema del PCC, e di restringere la sovranità e l’indipendenza politica, economica, tecnologica delle democrazie occidentali. Con l’ascesa del presidente Xi, le vie della seta sono proliferate come elemento di espansione globale. C’è la via della seta terrestre: linee, snodi e stazioni ferroviarie costruite esclusivamente da cinesi, con manovalanza cinese, e tecnologia sottratta illecitamente ad aziende europee e dunque anche italiane. Lo stesso modello si ripete per la via della seta marittima su cui Pechino punta per affermarsi come grande potenza navale, per noi più inquietante perché tocca i porti di Taranto, Trieste, Vado Ligure. Particolarmente pericolosa è la via della seta informatica, su cui la Cina ha manifestato la propria volontà di dominio nelle attività e nelle regolamentazioni cyber, arrivando ad ottenere alla guida dell’ITU (l’Unione internazionale delle telecomunicazioni) Houlin Zhao che, per sua stessa dichiarazione è promotore degli interessi cinesi prima che degli interessi della comunità internazionale che in tale sede dovrebbe rappresentare. Pechino, inoltre, manifesta la propria volontà di dominio in tutti gli organismi internazionali dove riesce ad avere una guida diretta, come alla FAO con Qu Dongyu, o come all’OMS dove comunque trova una dominante capacità d’influenza attraverso un Direttore Generale etiope teleguidato da Pechino.
D. Qual è stato il momento in cui Pechino ha pensato di potersi esprimere prepotentemente verso l’esterno?
R. Con l’ascesa di Xi nel 2012, ai vertici del Partito Comunista Cinese, è emerso il convincimento che fossero maturati i tempi per investire pesantemente sulla marina militare. Un convincimento derivato sia dalle disponibilità finanziarie e tecnologiche raggiunte, sia dal visibile indebolimento della controparte (gli Stati Uniti e alcuni Paesi europei) assopitasi persino nelle più importanti aree strategiche dello scacchiere geopolitico. C’è un punto di svolta che si è materializzato in rapporto al convincimento della Cina: l’inizio della crisi siriana nel 2012, nel 2013 e nei primi mesi del 2014. Nel 2012, Paesi occidentali come gli Stati Uniti, Francia, Inghilterra, in parte l’Italia, seppur preoccupati dalla crisi siriana non mostravano reattività nei confronti di Bashar Al-Assad che utilizzava ripetutamente le sue armi chimiche verso quelle fasce di popolazione siriana che si ribellavano chiedendo riforme democratiche. Una cruciale fase dove si è avvertita drammaticamente la mancanza di una posizione da parte dell’Occidente. La “Linea Rossa” dichiarata da Obama, contro l’utilizzo delle armi chimiche in quell’area, fu ripetutamente infranta nell’assenza di risposte chiare da parte di americani ed europei; soprattutto nell’estate del 2013 con le stragi di migliaia di siriani sotto le bombe chimiche sganciate dagli aerei russi in dotazione all’aviazione siriana. Si è così acceso un semaforo verde per il protagonismo militare di Mosca e Pechino. Lo dimostra la cronologia dei fatti. A inizio 2014 la Russia decide di attaccare la Crimea violando tutti gli accordi internazionali; contemporaneamente, o quasi, Pechino lancia un programma frenetico di militarizzazione per appropriarsi di una vasta fascia dell’Oceano Pacifico ricca di risorse economiche, in totale violazione della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare e senza volersi attenere alle decisioni della Corte internazionale di giustizia. Dinnanzi alle prove di debolezza, ancora, da parte dell’Occidente, la Cina capisce di poter dare avvio alla propria espansione imperiale.
D. L’Italia, nell’Alleanza Europea ed Atlantica, che posizione vive?
R. Nel nostro Paese ci sono alcune personalità di Governo che pensano di poter rassicurare sia una parte sia l’altra, ma nei fatti c’è una gran confusione. Non giova certo a darci un minimo di credibilità internazionale. L’Italia deve essere molto accorta nel rassicurare, non solo a parole ma con i propri comportamenti, i partner europei, gli Stati Uniti, e tutti gli altri, di non essere il cavallo di Troia della dominazione cinese, ad esempio sul tema di cyber: controllo e sicurezza delle reti informatiche, metadati, intelligenza artificiale, calcolo quantistico. Assistiamo nei fatti ad aperture e rassicurazioni – ad esempio sul 5G – ad aziende come Huawei e ZTE che sono impegnate da due leggi del Governo cinese (sulla sicurezza informatica del 2016 e sull’intelligence del 2017) a contribuire agli obiettivi del proprio Governo in quella che viene chiamata “intelligence economica”. Ad inizio mese, esattamente nello stesso momento in cui il Segretario di Stato statunitense, già capo della CIA, Mike Pompeo era a Roma e incontrava il Ministro degli Esteri italiano, Huawei lanciava con arrogante clamore un importante manifestazione pubblica: per inaugurare il centro di ricerca per la cyber security sviluppato in collaborazione con gli Enti pubblici e le principali università italiane impegnati nel settore. L’immagine che l’Italia da di sé, di ambiguità e sottomissione ai desideri del regime cinese, è davvero inquietante.