Guerra in Ucraina Cosa (e se) cambia
A leggere i commenti di molti giornali itaiani, sembrerebbe che le elezioni di Mid Term abbiano premiato Joe Biden, penalizzato Donald Trump e incoronato il giovane Ron DeSantis come astro nascente del partito repubblicano, se non addirittura come “uomo nuovo” della politica americana. In realtà, è presto per valutare l’evoluzione futura del confronto tra repubblicani e democratici.
Più immediati sembrano invece gli effetti sulla politica estera, in particolare per quello che riguarda la guerra in Ucraina. Non è certo privo di significato il fatto che i vertici militari russi abbiano atteso l’esito delle elezioni americane per annunciare il ritiro delle forze schierate nel capoluogo della provincia di Kherson, centro nevralgico del conflitto e porta d’accesso al Mar Nero e alla Crimea. Molti hanno interpretato questa mossa come un segnale di disponibilità da parte russa ad avviare trattative per giungere a un cessate il fuoco. E sarebbe davvero una svolta nel conflitto che si protrae del 24 febbraio scorso ai confini con l’Europa.
Ma andiamo per ordine e soffermiamoci prima sulla politica interna americana. Non c’è dubbio che queste elezioni abbiano rafforzato la posizione di Biden, nel senso che l’avanzata dei repubblicani è stata più contenuta del previsto. La temuta “onda rossa” (è il colore del Grand Old Party) non c’è stata e, al momento in cui scriviamo, non sappiamo ancora di quanto potrà essere la maggioranza repubblicana alla Camera dei Rappresentanti, mentre al Senato, se analoga maggioranza ci sarà, potrà contare su uno o al massimo due parlamentari in più.
Il motivo di questo mancato sfondamento è dovuto probabilmente al bisogno di stabilità di una parte crescente dell’elettorato americano, che da quasi due anni è sottoposto alle ondate di stress provocate da Donald Trump. La sconfitta dei candidati più direttamente sponsorizzati dall’ex presidente significa che in questo momento di crisi internazionali e di tensioni interne l’opinione pubblica statunitense tende alla neutralizzazione dei conflitti sociali e politici.
Ciò non significa però che sia in atto la rinascita del partito democratico, dove stentano a imporsi figure forti e carismatiche. E ciò a differenza di quanto accade ai repubblicani, all’interno dei quali si sta invece facendo strada il giovane DeSantis, che è stato trionfalmente rieletto governatore della Florida e si appresta alla rincorsa per le primarie del 2024.
Il fatto è che il partito repubblicano riesce ad approfittare della forte polarizzazione della società americana, dove si assiste allo scontro sempre più forte tra la tendenza al multiculturalismo e all’antirazzismo, da una parte, e le spinte conservatrici e identitarie dall’altra. Gli esponenti del Grand Old Party riescono a intercettare l’avversione di larghi strati dell’opinione pubblica per gli eccessi della sinistra, a partire dall’avanzata della cultura “woke” e del radicalismo in favore delle minoranze etniche. Lo stesso DeSantis presenta un profilo ultraconservatore e si appresta a valorizzarlo nella competizione interna al partito repubblicano che partirà tra poco meno di un anno e mezzo.
Ma in questo momento, come si diceva prima, c’è voglia di stabilità. E il primo a beneficiarne è il presidente in carica.
Il primo effetto di questa stabilizzazione è rintracciabile sul fronte della politica estera. E veniamo alla svolta possibile nella guerra in Ucraina. L’amministrazione Usa può ora spingere il presidente Volodymyr Zelensky ad accettare un onorevole compromesso, senza che una tale pressione appaia, agli occhi dell’opinione pubblica Usa, un gesto di cedimento dettato dalla sconfitta elettorale, circostanza che sarebbe stata ovviamente insostenibile per l’amministrazione Biden.
La verità è che sono tutti stanchi del conflitto in svolgimento dal 24 febbraio scorso alle porte dell’Europa.
Sono stanchi gli americani, che in un anno di crisi economica globale e di inflazione galoppante, hanno dovuto spendere decine di miliardi di dollari in armamenti diretti all’Ucraina. Sono stanchi i russi, che hanno subito migliaia di morti al fronte, con tutte le inevitabili, pesanti ripercussioni sociali e politiche. Sono stanchi i cinesi, che si sono fatti due conti e hanno capito quanto possa essere pregiudizievole per i loro commerci una perdurante situazione di conflitto globale. Sono stanchi gli europei, che subiscono le conseguenze sociali ed economiche della penuria energetica. L’unico che non appare stanco è Zelensky, il quale non vuole rinunciare al ruolo di “eroe mondiale”.
Ora però si sta forse avvicinando la fine dei giochi. La diplomazia segreta (ma che segreta non è più da qualche tempo) tra Usa e Russia ha individuato in una vittoria ucraina a Kherson l’evento propiziatorio di un cessate il fuoco capace di salvare la faccia a tutti. Salvarla agli ucraini, che potrebbero negoziare partendo da posizioni di forza. Salvarla, a loro volta, ai russi che potrebbero mantenere la Crimea e qualche porzione di Donbass.
I più miti consigli chiesti a Zelensky corrispondono ai più miti consigli imposti a Biden dalla situazione politica mondiale. L’amministrazione Usa sembra ormai aver capito che la soluzione del conflitto non può essere la destituzione di Vladimir Putin e l’affermazione di un diverso regime a Mosca, come invece vorrebbe Zelensky. Il presidente ucraino, con l’appoggio della Gran Bretegna e dei Paesi dell’Europa dell’Est, punta alla sconfitta totale della Russia sul campo. Ma non sarebbe una soluzione molto raccomandabile. Al di là del rischio di escalation atomica, ci sarebbe il non lieve effetto politico di accentuare la dipendenza di Mosca da Pechino, cosa che dispiacerebbe non poco a Washington.
Ecco dunque che arriva, tempestivo, l’annuncio del comandante in capo delle forze russe in Ucraina, Sergej Surovikin del ritiro dal capoluogo della provincia di Kherson e del ripiegamento di 40mila soldati sulla riva Est del Dnipro. «Capiamo – ha detto – che non è una decisione semplice, ma preserverà la vita dei nostri uomini».
È una mossa che probabilmente Mosca aveva in serbo da un po’ di tempo. Ma proprio ora, che hanno visto Biden uscire indenne dalle elezioni di Mid Term, lo hanno fatto sapere al mondo.
Intendiamoci, non è automatico che si vada effettivamente verso un cessate il fuoco. Questa ritirata potrebbe anche significare che i russi vogliono riprendere fiato al fine di scatenare una nuova offensiva. La cautela d’obbligo. Ma rimane il fatto che, in questi ultimi tempi, sia avverta un po’ ovunque l’azione di un nuovo, temibile stratega militare: il generale Stanchezza.
Se gli americani non vogliono più stress in casa, allo stesso modo non sopportano più lo stress d’importazione che arriva dai confini orientali dell’Europa. Se ne riparlerà probabilmente all’imminente G20 in programma in Indonesia.