LIBERTA’
Pubblichiamo l’intervento di Jousha Wong alla lezione sulla “liberta” della Scuola di formazione della Fondazione Farefuturo che si è tenuta mercoledì 18 in collegamento con la Sala Nassyria del Senato e sulla piattaforma zoom con gli studenti del Corso FormarsiNazione
Ho il privilegio oggi di condividere con voi alcuni dei miei pensieri e riflessioni sulla libertà, dopo otto anni di attivismo sociale a Hong Kong. Un movimento partito l’anno scorso dalla richiesta per il ritiro della legge sull’estradizione che si è trasformato nella lotta per la democrazia e la libertà. Questa città godeva di un prestigio globale come l’economia più liberale del mondo, ma ora il famigerato governo autoritario ha portato via la nostra libertà di elezione, la libertà di manifestare, la libertà di espressione e di idee.
A volte, non possiamo fare a meno di mettere in discussione la causa per cui stiamo combattendo, il valore della libertà. Data la prospettiva piuttosto desolante, perché dovremo continuare in questa lotta? Perché dobbiamo amare la libertà? Cosa possiamo fare per salvaguardare la libertà a casa e stare attenti agli attacchi alla libertà? Nel rispondere a queste domande, spero di poter ripercorrere con voi tre episodi dell’anno trascorso.
In questo 2020, non si sono più viste delle proteste così frequenti nei media, in parte a causa della pandemia, ma soprattutto a causa del governo autoritario. Mentre il mondo è impegnato a combattere la pandemia, il nostro governo ha approfittato del virus per esercitare una morsa sempre più stretta sulle nostre libertà. Con la messa in atto delle leggi di emergenza, le assemblee pubbliche a Hong Kong sono state vietate. Recentemente è stata vietata anche una manifestazione a sostegno della libertà di stampa organizzata da giornalisti. Mentre molte persone potrebbero chiedersi se è la fine all’attivismo di strada, ora nella nostra lotta per la libertà abbiamo di fronte un’altra realtà: i tribunali e il carcere.
Combattenti per la Libertà nelle Aule giudiziarie e in Carcere
Parte dell’enorme prezzo sostenuto nella lotta per la libertà e la democrazia a Hong Kong è rappresentato dall’aumento delle vittime giudiziarie. Ad oggi, più di 10mila persone sono state arrestate da quando ha iniziato il movimento, oltre cento di loro sono giù rinchiusi in carcere. Dei 2.300 manifestanti attualmente perseguitati, 700 rischiano condanne fino a dieci anni per accuse di rivolta.
Per contestualizzare queste cifre, voglio raccontarvi la vita di un giovane nell’Hong Kong di oggi. Provo un forte sentimento di umiltà nei confronti dei tanti manifestanti e studenti ancora più giovani di me, la cui eccezionale maturità viene dimostrata nelle aule di tribunale e in prigione. Quella che si pensa sia vivere una normale vita universitaria è ormai impensabile, perché è molto probabile che il tuo vicino di casa o il coinquilino che oggi ti ha cucinato il pranzo verrà sbattuto in carcere domani.
Faccio delle visite in carcere un paio di volte al mese per parlare con gli attivisti che stanno affrontando accuse penali o stanno scontando pene detentive per il loro coinvolgimento nel movimento. Non è solo una parte di routine del mio lavoro politico, ma è diventato la mia vita da attivista. Da quando è iniziato il movimento, le visite in carcere sono diventate anche la vita quotidiana di molte famiglie.
Ma è sempre un’esperienza estremamente spiacevole passare uno dopo l’altro i cancelli di ferro prima di entrare nella stanza dei visitatori, parlare con qualcuno che è privato della libertà, per una nobile causa disinteressata. Come attivista che ha scontato tre brevi pene detentive, capisco che la banalità delle quattro mura non è la cosa più difficile da sopportare in carcere. Ciò che è più insopportabile è il controllo del pensiero e delle idee in ogni singola parte della nostra routine quotidiana imposto dal sistema carcerario. Riduce la tua capacità di pensare in modo critico e se non ti sei preparato bene, il peggio ti convincerà a rinunciare a ciò per cui stai lottando. Tre anni fa, quando ho scritto la prima pagina delle lettere dal carcere, le quali in seguito si sono trasformate in una pubblicazione intitolata “Unfree Speech”, ero allarmato per l’ambiente della cella carceraria. Quelle lettere furono scritte in uno stato di privazione della libertà e dove la censura era evidente. Ci porta ad interrogarci: oltre ai vincoli fisici come le sbarre di una prigione, cosa ci fa continuare nella lotta per la libertà e la democrazia?
Sostegno reciproco agli Attivisti dietro le quinte
Il sostegno a questo movimento è rimasto invariato in questi 17 mesi. Ci sono delle parti molto belle nel movimento che continuano a rivitalizzare i modi in cui contribuiamo a questa città, invece di fare soldi da soli nel cosiddetto centro finanziario globale. In particolare, sono la fraternità e l’assistenza reciproca tra i manifestanti che ho amato di più.
Man mano che vengono arrestati più manifestanti, le persone offrono aiuto e assistenza con tutto il cuore: assistiamo alle udienza in tribunale anche se non ci conosciamo, facciamo frequenti visite in carcere e scriviamo lettere ai manifestanti detenuti. Durante i principali festival e le ferie, le persone si radunavano fuori dal carcere per cantare slogan in modo che i detenuti non si sentissero soli e scollegati. Questa è per me la parte più toccante perché ho vissuto l’esperienza diretta della vita in prigione.
La coesione, la connessione e il legame tra i manifestanti sono la pietra angolare del movimento. Allo stesso tempo queste virtù hanno conferito tanto potere al pubblico di massa che potrebbe non essere in grado di combattere coraggiosamente nei momenti di escalation delle proteste. Non è possibile catturare queste scene con le telecamere, ma sono sicuro che sono alcune delle parti più importanti del movimento di Hong Kong di cui spero il mondo si ricorderà. Credo che questo sostegno reciproco trascenda la nazionalità o il territorio perché la libertà non cambia valore in luoghi diversi.
Più recentemente, a fine agosto, dodici attivisti di Hong Kong, tutti coinvolti nel movimento lo scorso anno, sono stati rapiti dalla guardia costiera cinese mentre fuggivano per cercare rifugio politico a Taiwan. Tutti loro sono ora detenuti segretamente in Cina, con il più giovane avendo solo 16 anni. Sospettiamo che siano sottoposti alla tortura nella loro detenzione e chiediamo aiuto a livello internazionale, con la campagna #SAVE12 su Twitter. Ed è sorprendente vedere persone in tutto il mondo alzarsi insieme in solidarietà con i dodici manifestanti detenuti. Sono commosso dagli attivisti in Italia, che conoscevano a malapena questi attivisti di Hong Kong, ma che hanno persino preso parte ad uno sciopero della fame il mese scorso per chiedere il loro rilascio immediato. Questa forma di interconnessione ci mantiene lo spirito per continuare la nostra lotta per la libertà e la democrazia.
Comprendere il Valore della Libertà nella Battaglia universitaria
Un anno fa, in questo giorno, Hong Kong era presa da scontri violenti con l’assedio della polizia all’Università politecnico. E’ un giorno che non dimenticheremo mai ed è una ferita che sanguina ancora nel cuore di molti abitanti di Hong Kong. Un giornalista presente nell’università in quel momento mi disse una volta che la scena che aveva vissuto poteva solo ricordargli il massacro di Piazza Tiananmen 31 anni fa a Pechino. Praticamente non vi erano vie di uscita tranne che per i pericolosi scarichi fognari.
Quel giorno, migliaia di persone, vecchie o giovani, si sono riversate nei distretti vicini all’università prima dell’alba, cercando di salvare i manifestanti intrappolati all’interno del campus. Anche questi rinforzi hanno affrontato un grave pericolo, poiché la polizia ha fatto irruzione in ogni angolo delle piccole strade e dei vicoli, arrestando molti. Tra gli oltre 800 arrestati in quel singolo giorno, 213 persone sono state accusate di rivolta. Di sicuro queste persone sapevano che ci sarebbero state delle ripercussioni. E’ la coscienza che li ha spinti a scendere in piazza indipendentemente dal pericolo, la consapevolezza che dobbiamo resistere alla brutalità e all’autoritarismo e, infine, lottare per le libertà che sono garantite nella nostra costituzione. Come disse una volta il mio caro amico Brian Leung: “Hong Kong appartiene a tutti coloro che condividono il suo dolore”. Credo che il valore della libertà sia esemplificato dalla nostra compassione verso chi amiamo, così tanto che siamo disposti a sacrificare la nostra propria libertà.
Difendere la Libertà dietro le Sbarre
Non vi è dubbio che c’è un prezzo terribile da pagare nel resistere al governo di Pechino e Hong Kong. Ma dopo aver scontato alcune brevi pene detentive e aver affrontato la continua minaccia di molestie, ho imparato ad amare la libertà che ho per ora, e dedicherò tutto ciò che ho per lottare per la libertà di coloro a cui è stata spietatamente negato.
I tre episodi che ho condiviso con voi oggi – l’aula giudiziaria, le visite ai detenuti, e la battaglia dell’università continuano a ricordarmi del fatto che la lotta per la libertà non è ancora finita. Nei prossimi mesi, dovrò affrontare un massimo di cinque anni in carcere per assemblea non autorizzata e fino ad un anno ridicolo per aver indossato una maschera in protesta. Ma le sbarre di una prigione non mi fermeranno mai nell’attivismo e nel pensiero critico.
Vorrei solo che durante la mia assenza, voi potete continuare a stare a fianco del popolo di Hong Kong, indipendentemente dalle elezioni sfortunate, seguendo da vicino gli sviluppi, gli arresti su larga scala ai sensi della legge nazionale sulla sicurezza o la sorte dei dodici attivisti in Cina. Sfidare i più grandi violatori dei diritti umani è modo essenziale per ripristinare la democrazia della nostra generazione, e per le generazioni che ci seguiranno.
Grazie
*Joshua Wong, leader del movimento di protesta a Hong Kong