L’atto di recesso dal contratto, presentato in tribunale da Arcelor Mittal, e l’incapacità del Governo di trattenere il colosso franco indiano a Taranto è la cifra di un Paese con una politica industriale ridotta a slogan.
Il Governo italiano non sembra avere il polso dell’attuale contesto economico globale, succube del populismo di Cinque Stelle, che per ancoraggio agli originari gridi di battaglia concede un assist ad Arcelor Mittal per la fuga, ponendo un muro sullo scudo penale. Ma ancor più grave dell’incapacità di comprendere l’importanza strategica che rappresenta l’Ilva per l’intero settore siderurgico italiano, c’è l’arroganza di non ricorrere alla ricerca di una soluzione unitaria in Parlamento, come avvenne invece nel Conte I per il caso TAV su cui l’Aula si espresse trasversalmente.
In tempi allora utili, il senatore Adolfo Urso aveva messo in guardia il Governo dal rischio che avrebbe provocato il ritiro dello scudo penale. Se per Arcelor Mittal l’obiettivo è quello di affermare il proprio ruolo globale nel settore siderurgico, questo poteva essere raggiunto sia con l’acquisizione degli impianti di Taranto – strategici per livelli tecnologici e capacità produttiva – sia evitando che potesse finire in mano ad altri player internazionali del settore, portando alla chiusura il sito industriale. E se la soluzione più conveniente è la seconda, analizzava Urso, il ritiro dello scudo penale sarebbe stato per Arcelor Mittal l’alibi per battere la via più comoda: la fuga, figurando addirittura come parte lesa da un Governo che cambia le carte in tavola; lasciando all’Italia l’immagine di un Paese inaffidabile per gli investitori internazionali. Proprio in Aula, il senatore Adolfo Urso aveva chiesto spiegazioni al Governo sulla mancanza di un voto parlamentare, su indirizzo politico – industriale, riguardo lo scudo penale per l’Ilva e sottolineando il rischio del pericolo che tale atteggiamento avrebbe provocato. Ma a nulla sono serviti i moniti dell’Aula e addirittura la convocazione di Conte al Quirinale; nulla è riuscito a far comprendere al Governo il rischio di una debacle industriale e d’immagine e tanto meno l’inutilità di un ricorso al tribunale internazionale.
*Antonio Coppola, collaboratore Charta minuta