Meeting “L’Europa che vogliamo” – Roma 11 luglio – ore 9.30
A poco più di tre mesi dall’importante Forum dello scorso marzo sul “la sovranità tecnologica e l’indipendenza nazionale” la nostra Fondazione ha promosso un ulteriore momento di riflessione su due temi centrali per il futuro dell’Europa e delle sue aspirazioni ad affermarsi come blocco non solo geo-politico ma anche geo-economico di rilevanza mondiale, non inferiore al ruolo attualmente svolto ad esempio dagli Stati Uniti e dalla repubblica Popolare cinese.
Lo ha fatto con un convegno, seguito da un nutrito e qualificato uditorio e svoltosi lo scorso 11 luglio nella Sala capitolare del Senato, dal titolo “L’Europa che vogliamo”. L’evento, aperto da un intervento introduttivo del Segretario Generale di Farefuturo Sen. Matteo Gelmetti, si è articolato in due sessioni: la prima dedicata al futuro della politica industriale europea (“Verso una politica industriale europea ? ”) e, la seconda, al cruciale tema della gestione e controllo dei flussi migratori ( questioni rilevanti anche per il futuro della competitività europea) che dall’Africa si dirigono verso il nostro Continente , Italia in primis.
La nostra si conferma così Fondazione di prima fila e tra le più attente, in Italia, alle dinamiche intorno alle quali si sta giocando e si giocherà nei decenni a venire il futuro del nostro continente come area crescita e sviluppo condiviso. In una fase storica nella quale la globalizzazione degli scorsi decenni è in visibile crisi, e sempre più si sta andando verso un modello di confronto e concorrenza tra aree grandi aree macro-economiche come le due sopracitate ( Cina e Stati Uniti) per non parlare dei BRICS.
Dei temi al centro del primo “panel” hanno parlato nel corso della mattinata di lavori Adolfo Urso, Ministro delle imprese e del Made in Italy; Raffaele Fitto, Ministro per gli Affari europei le politiche di coesione e il PNRR, Flavia Giacobbe , direttrice della rivista Formiche; Paolo Quercia, docente di studi strategici presso l’Università di Perugia ; Beniamino Quintieri, professore di Economia e finanza presso l’Università Top Vergata.
Relatori del secondo “panel” sono stati: Bassam Rady A. Rady , ambasciatore in Italia della Repubblica Araba d’Egitto; il professor Andrea Margelletti , presidente del Cesi ( “centro Studi Internazionali”) ; Vittorio Emanuele Parsi , professore di relazioni internazionali presso l’Università Cattolica.
Le due sessioni sono state moderate, rispettivamente, dal professor Luigi Di Gregorio, direttore scientifico di Farefuturo, e da Mauro Mazza, direttore editoriale della nostra Fondazione mentre le conclusioni sono state tratte da chi scrive.
“Verso una politica industriale europea?”
Il tema è stato introdotto, con un intervento di alto profilo, dal Ministro Urso. Egli ha esordito rilevando come un’Europa che voglia pesare a livello internazionale anche sul piano economico e commerciale è obbligata a tenere conto, nelle sue scelte, del mutamento del quadro geo-politico complessivo determinatosi in questi ultimi anni, in particolare a partire dalla data dirimente ( 24 febbraio 2022) dell’aggressione russa all’Ucraina.
Tale necessità di adattamento al divenire del quadro internazionale vale ancor più, ha rilevato, per i singoli Stati membri. Con riferimento al nostro Paese ha portato ad esempio il “memorandum “ del 2019 con la RPC sulla Via della Seta. Osservando come, a livello politico, esso sia oggi ancor meno “presentabile/ giustificabile “ che al momento della sua sottoscrizione, non essendo in quell’epoca ancora emersa con l’attuale evidenza la forte vicinanza – nel segno di una comune visione autocratica ed espansiva – tra Mosca e Pechino .
Sul piano economico poi, ha sottolineato il Ministro, l’Italia non ha tratto alcun beneficio dall’intesa restando il nostro saldo commerciale nei confronti di Pechino fortemente deficitario . Mentre, ha proseguito, Francia e Germania “ non vincolati da accordi politici e strategici con la RPC” hanno dal 2019 a oggi migliorato il loro interscambio e la loro presenza economica in Cina.
Nel soffermarsi poi sulla sempre più assertiva politica industriale statunitense – che a sua volta risponde alla sfida sistemica rappresentata da Pechino – egli ha rilevato come la risposta europea alle misure protezionistiche dell’ amministrazione Biden non possa che essere unitaria . Non certo, ha opportunamente sottolineato , in chiave di contrapposizione al nostro grande alleato quanto, piuttosto, al fine di dare vita a una “seconda gamba economica “ dell’Occidente , competitiva sotto il profilo industriale e tale da condurre a termine a una vera e propria area di libero scambio euro-atlantica.
In Europa, ha ricordato il Ministro, la “politica industriale è stata di fatto concepita e dettata – sino alla nascita del governo Meloni- da Francia e Germania . Oggi , ha continuato, questa impostazione è finalmente superata e sta prendendo corpo un formato in cui ormai tre paesi ( Francia, Germania e Italia, “ che rappresentano insieme la terza potenza industriale su scala mondiale” ) si consultano regolarmente per decidere di concerto le grandi linee di quella che a loro avviso dovrebbe essere la politica industriale europea. E per sottoporre concrete proposte in materia alla Commissione Europea prima che questa presenti agli Stati i propri progetti regolamentari per i diversi comparti .
Vi sono dunque tutte le premesse, ha aggiunto , perché il nostro Paese divenga sempre più protagonista nella definizione della politica industriale europea e , più in generale , delle grandi linee della politica europea nei più diversi settori . Tale crescita di peso in Europa del nostro Paese e del nostro governo , ha concluso il Ministro, non potrà che essere agevolata dalla dinamica in atto di complessivo spostamento a destra /centro-destra 3 dell’elettorato europeo ancor più se essa – come tutto lascia al momento ritenere – troverà conferma in occasione delle elezioni europee del prossimo anno. Sotto tale profilo , ha concluso il Ministro, la Presidente Meloni ( e per ciò stesso il nostro Paese ) godono poi di un vantaggio particolare. Ella è infatti ( insieme con il Presidente Macron, la cui popolarità è però in calo nei sondaggi) la sola tra i “leader “ dei grandi paesi UE a essere al contempo capo di governo e alla guida di un partito europeo ( quello dell’ECR) col “vento in poppa”, e destinato a svolgere un ruolo di primo piano negli equilibri che caratterizzeranno la futura Commissione e il futuro Parlamento europeo.
L’Italia, il PNRR e l’Europa
Con un intervento anch’esso brillante e argomentato il Ministro Fitto si è, dal canto suo , soffermato sullo stato di avanzamento del PNRR . Pur non nascondendo le criticità di attuazione a tutti note, non tutte superabili in tempi brevi da parte di un Esecutivo in carica da meno di un anno, egli ha offerto un quadro complessivamente incoraggiante della situazione. Nel valorizzare anch’egli la “centralità” politica acquisita in Europa dal nostro Paese e dal nostro Primo Ministro, ha ricordato a titolo di esempio come nel Consiglio Europeo straordinario dello scorso febbraio l’Italia, proprio grazie all’insistenza della Presidente Meloni, abbia ottenuto risultati importanti su due versanti cruciali: 1) la protezione dei confini esterni della UE ( per la prima volta in quell’occasione, merita ricordare , il Consiglio ha messo nero su bianco che l’immigrazione è un problema europeo e ha bisogno, in quanto tale , di una riposta europea) ; 2) l’accettazione, da parte del Consiglio e della Commissione Europea, di una flessibilità ben maggiore di quella sinora ritenuta ammissibile nell’utilizzo delle risorse stanziate in sede di PNRR e di fondi di coesione. Tutto ciò, ha proseguito Fitto, offre al nostro Paese una grande opportunità per affrontare al meglio le nuove sfide cui siamo confrontati sul versante europeo e non solo: da quelle legate alla crescita e all’autosufficienza energetica a quelle connesse, appunto, all’immigrazione illegale.
Il Ministro ha poi ricordato , riprendendo un punto importante in precedenza toccato dal collega Urso, come con il governo Meloni l’interazione dell’Italia con le istituzioni europee ( a cominciare dalla Commissione ) sia marcatamente mutato. Si sta infatti affermando dalla fine dello scorso anno a Bruxelles un ruolo dell’Italia e dei nostri rappresentanti molto più incisivo nella cruciale fase “ascendente” della normativa comunitaria , quella cioè destinata a prendere successivamente corpo nelle proposte che la Commissione è chiamata a sottoporre di volta in volta agli Stati membri negli ambiti più disparati di competenza UE.
Una fase cioè – dal nostro Paese sino a epoca recente relativamente trascurata a differenza di quanto fatto da sempre da Francia e Germania cosi come da altri paesi membri di peso – e nella quale è ancora possibile inserire nei progetti di Regolamento formule che tengano “ ab initio” conto dei nostri interessi e delle nostre aspirazioni. Formule che sarebbe estremamente difficile ( e in molti casi praticamente impossibile ) vedere inserite nel testo di un Regolamento o di una Direttiva una volta adottato dal Collegio dei Commissari per la sottoposizione al Consiglio. Abbiamo infatti introdotto, ha precisato il Ministro, un 3 nuovo metodo con nostre proposte che giungono in maniera articolata e precisa alla Commissione prima che questa metta nero su bianco i propri progetti di regolamento. E’ l’approccio che abbiamo seguito – ha indicato a titolo di esempio- in campo farmaceutico e di modifica del quadro finanziario pluriennale.
Nel tornare, in chiusura, al delicato e complesso tema del PNRR, egli ha osservato come le iniziali proposte italiane di utilizzo dei fondi previsti per il nostro Paese erano l’espressione di un fase storica precedente l’invasione russa dell’Ucraina. Sviluppo che ha determinato ,ha voluto ricordare, il superamento di molte delle priorità inizialmente definite a beneficio di altre rivelatesi in tutta la loro urgenza e rilevanza solo dopo l’aggressione russa al vicino Paese. Valga per tutte la necessità , ormai unanimemente riconosciuta, di un progressivo affrancamento dell’Italia dal ricatto energetico russo. Obiettivo al cui raggiungimento il governo Meloni sta assiduamente lavorando anche attraverso una revisione delle pertinenti sezioni del PNRR “, al fine di dare una risposta di sistema sul versante dell’ efficientamento energetico”. Sul tema del PNRR è brevemente intervenuto anche il Segretario Generale della Fondazione , Senatore Gelmetti. Egli ha ricordato come il rapporto con l’Unione europea debba costituire e stia di fatto costituendo tema centrale. per il nostro attuale esecutivo . E ciò in quanto, ha osservato con formula efficace , “ l’Europa può essere piuma o può essere ferro” . Tutto dipende, ha rilevato, dall’approccio adottato. I fondi del PNRR, ha osservato , rappresentano infatti in larga misura un prestito. Quindi, ha concluso, se una parte importante della loro gestione viene delegata dallo Stato ai Comuni gli interventi che questi ultimi porranno in essere, a valere sui fondi in parola, dovranno generare adeguato valore aggiunto per il nostro Paese. Altrimenti sarà per l’Italia un serio problema ripagare i prestiti.
I “ fondamentali “ di una politica industriale europea
Venendo ad aspetti di natura più tecnica, il Professor Quintieri ha rilevato del suo intervento come la politica industriale sia realtà complessa e multidimensionale. Normalmente, ha aggiunto, si usa distinguere tre livelli: quello del quadro regolatori, quello dei fattori produttivi e quello delle politiche settoriali. E’ su questi tre livelli che vanno giudicate le politiche industriali europee valutato in che misura soddisfino l’interesse nazionale. In termini più generali, ha poi osservato come un rafforzamento del peso dell’Europa sulla scena internazionale non possa prescindere da un suo rafforzamento interno anche in termini di concreta capacità di competere sui mercati internazionali , attraverso appropriate politiche industriali. Ne deriva , ha proseguito, che “ la cessione di un pò di sovranità nazionale a favore della UE non implica di per sé una minore capacità di difesa dell’interesse nazionale “poiché questo è anzi più tutelato, per i motivi di cui sopra, da una qualche cessione di sovranità. Come quella che ha consentito ad esempio, più di recente , l’emissione di debito comune ( che ha permesso tra l’altro il lancio del vasto programma “Next Generation EU”) per affrontare la crisi determinata dalla pandemia nonché sostenere l’economia e i servizi ai cittadini .
Una cessione di sovranità per una politica industriale comune va anch’essa e per gli stessi motivi , ha concluso il Professore, nella direzione di una migliore tutela dell’interesse nazionale. La direttrice di Formiche Flavia Giacobbe ha , dal canto suo, osservato come la politica industriale di un Paese sia “zoppa”ove non sia riservata adeguata attenzione anche all’aspetto della “sicurezza economica”. La crisi pandemica prima e poi l’invasione russa dell’Ucraina rappresentano altrettante vicende che hanno rivelato, ciascuna a suo modo, le fragilità del nostro continente in assenza di una comune strategia per evitare la dipendenza da paesi terzi ( a volte ostili al modello occidentale e ai suoi valori, come nel caso di Russia e Cina) in settori cruciali. Non è un caso del resto, ha chiosato, che il nostro governo si sia visto più di recente obbligato in misura crescente a fare ricorso all’utilizzo del “golden power”. Ma è buona cosa si è chiesta , rispondendo negativamente , che ogni paese europeo faccia fronte singolarmente alle proprie difficoltà per assicurare per quanto possibile l’autonomia delle sue filiere di approvvigionamento ? Anche le attuali politiche di “de-risking” perseguite da vari Paesi europei nelle proprie relazioni commerciali con paesi terzi quali la Cina sarebbero certamente più efficaci se accompagnate da una effettiva autonomia tecnologica e industriale a livello europeo.
Il (nuovo) sistema internazionale
E’ l’aspetto sul quale si è concentrato nella sua esposizione il Professor Quercia. Egli ha esordito osservando come, tra qualche anno, il sistema internazionale che emergerà dalla guerra in Ucraina una volta terminata sarà molto diverso rispetto all’attuale. Con la globalizzazione vi è stata , in questi ultimi decenni, una grande redistribuzione di ricchezza e potenza a beneficio di attori non necessariamente vicini all’Occidente . Ne deriva che di tale redistribuzione di ricchezza e potenza l’Europa non può non tenere conto nel definire la propria politica industriale. Più nel dettaglio – ha precisato, soffermandosi sugli aspetti geo-politici – vi è ora un blocco di Paesi ( quelli dell’Occidente globale) che fanno circa i due terzi del PIL mondiale che hanno deciso di sostenere militarmente l’Ucraina e di imporre sanzioni alla Russia. Vi è poi, ha proseguito, un altro blocco di paesi ( che comprende la Cina e un’ampia area di paesi terzi che non possono / non vogliono schierarsi come India, Brasile e Sud-Africa per non citarne che alcuni . Paesi che , nel momento in cui si sta ridisegnando la globalizzazione , cercheranno probabilmente di vivere a cavallo tra diverse realtà senza effettuare una netta scelta di campo.
In tale contesto , per la nostra Europa diventa naturalmente essenziale tornare a fare politica industriale se non vuole correre il rischio di cadere nella de-industrializzazione. A tal fine – pur nella perdurante adesione ai principi dell’economia di mercato- sarà necessario un ritorno in pista dello “Stato- stratega”. Un soggetto cioè , quale dovrebbe/potrebbe essere l’Unione europea, in grado di porsi obiettivi di lungo periodo e di allocare le risorse necessarie a raggiungerli. Strategia vuol però dire, ha proseguito, essere pronti a pagare un prezzo politico anche elevato concentrando le risorse disponibili solo su taluni settori ; ma vuol dire anche disporre di criteri precisi per determinare che cosa è più “strategico” di altro . Scegliere di tornare a fare politica industriale diventerà dunque sfida centrale per i governi tanto a livello nazionale che europeo. Ciò che comporterà anche la necessità di scegliere tra diversi modelli di capitalismo a seconda del peso maggiore o minore che si vorrà accordare al modello dello Stato sociale.
Il Professor Parsi ha articolato le proprie riflessioni intorno fare al ruolo della “buona “ politica oggi e alle sfide/condizionamenti non sempre eludibili cui essa è confrontata in un momento , come l’attuale, caratterizzate da trasformazioni propone e di lungo periodo del contesto geo-politico a livello mondiale . Ha in particolare sostenuto che la Politica con la maiuscola deve oggi , da un lato, recuperare una capacità “di visione ” che è mancata negli ultimi anni in particolare nel nostro Paese ( ma non ha nascosto i segnali incoraggianti che , al riguardo, stanno invece fornendo il governo Meloni e la maggioranza di centro-destra che lo sostiene forte, anche, di un comune denominatore valoriale spesso assente nei nostri ultimi esecutivi) ; dall’altro , fare i conti con condizionamenti oggettivi superiori alle capacità di contrasto di qualunque volontà politica , “ anche la più illuminata”. Gli imponenti flussi migratori in atto in particolare dal continente africano verso l’Europa rappresentano, ha rilevato, uno di questi condizionamenti oggettivi, destinato a restare con noi per un lungo periodo. Che fare , si è chiesto, affinché questi flussi non alterino in maniera irreversibile il nostro modello sociale e stile di vita? Una risposta interessante e per molti versi promettente può essere a suo avviso offerta dal Piano Mattei cui sta lavorando il nostro governo e , ancor più, dalla visione che lo sottende. Una visione basata su un capovolgimento dell’approccio tradizionale al problema.
Una visione centrata cioè vale a dire non solo , e non tanto , sulla gestione dei flussi migratori in arrivo dall’Africa quanto, piuttosto, sul ruolo che l’Europa può svolgere per creare proprio nel continente africano condizioni di vita dignitosa e di benessere tali da disincentivare nel medio periodo le presenti dinamiche migratorie. Si tratterebbe in sostanza , ha concluso, di dar corpo a una visione non egemonica e non predatoria ( per riprendere una felice espressione del nostro Primo Ministro) che veda nell’immenso continente africano il naturale terreno di sviluppo delle capacità dell’Unione Europea di creare, a ridosso proprie frontiere, aree di crescita e benessere condiviso in uno spirito di stretto partenariato con i paesi beneficiari della sponda sud: da quelli della fascia saheliana al nord- Africa.
Venendo alle dinamiche interne europee, il professore ha espresso l’auspicio che il vento di centro- destra che sta soffiando sul nostro continente possa portare – oltre che a una crescente fiducia nelle proprie potenzialità in seno al campo conservatore – a una mutazione culturale in seno alle sue componenti “sovraniste “ ( diverso il discorso per il PPE e l’ECR saldamente acquisiti alla causa europea, pur se con talune residue differenze di accento) . Mutazione culturale tale, in sostanza, da far progressivamente recepire anche alle componenti in parola un dato di fatto . E cioè che il processo di unificazione europea non ha sottratto sovranità ai singoli Stati quanto, piuttosto, favorito un “flusso di sovranità” da questi ultimi all’Unione nel suo complesso . Flusso di sovranità che se ben gestito, in un mondo sempre più caratterizzato da una ruvida concorrenza tra grandi aree macro – economiche, può spesso fare la differenza tra la vittoria e la sconfitta a livello globale . A favorire tale evoluzione culturale in seno agli ambienti “sovranisti” dovrebbero rivolgere adeguata attenzione , ha concluso Parsi, i conservatori europei.
L’ Europa e la questione migratoria
Il tema migratorio al centro della seconda sessione ha costituito l’asse del costruttivo intervento dell’ambasciatore d’Egitto Bassam Essa Rady A. Rady. Questi ha tenuto a sottolineare l’importanza di un approccio collettivo, da parte europea e africana, alla questione . Nessun paese può infatti affrontare da solo, ha osservato, tematiche di tale portata . Serve invece un approccio corale e un’equa ripartizione degli oneri tra la parte africana e quella europea. In tale ottica ha ripetutamente auspicato una crescita degli investimenti infrastrutturali e industriali europei in Egitto e nel continente africano nel suo complesso onde si possa giungere – grazie anche agli effetti di crescita socio-economica in loco e di stabilizzazione che ne deriverebbero- a una situazione “win-win”.
Nel precisare che l’Egitto è pronto a fare la sua parte – favorendo anche programmi di formazione in loco di mano d’opera specializzata che potrebbe poi trovare occupazione in Europa in un contesto di migrazione legale e ben governata – ha auspicato che tali temi ( in primis quello della crescita condivisa) possano costituire componente centrale del vertice Italia- Africa del prossimo autunno . Vertice che egli ha suggerito , con richiamo indiretto al titolo del Forum oggetto del presente articolo, di intitolare “L’Africa che vogliamo”. Il successivo intervento de direttore del CeSI, Professor Margelletti ° ( si è già detto delle riflessioni sul tema migratorio svolte dal professor Parsi) è iniziato con un appello al realismo e un invito alla nostra opinione pubblica e classe politica a guardare ai problemi – da quello migratorio a quello del corretto approccio al multilateralismo e ai temi europei – con la necessaria maturità, uscendo dagli schemi di un dibattito prevalentemente ideologico ( “ dovremo decidere che vogliamo fare da grandi, anzi se vogliamo diventare grandi”).
Con specifico riferimento alla questione dell’immigrazione clandestina ( interessanti le sue considerazioni sulle megalopoli che stanno nascendo in Africa, anche come conseguenza della desertificazione in atto, e sulla massa di “sradicati” e potenziali futuri migranti che colà vivono ), egli ha senza giri di parole posto in rilievo il sistema economico parallelo che prospera nel continente africano in particolare nell’Africa sub-sahariana e nei paesi di transito verso l’Europa. Ha osservato trattosi di sistema parallelo , purtroppo ben radicato in molti paesi africani, che genera reddito e consente ai trafficanti di esseri umani di mantenere le proprie famiglie e , in taluni casi, le proprie milizie. Va dunque individuato un percorso per porre fine a tale sistema di economia in nero con gravi ricadute, appunto, anche sul terreno delle migrazioni illegali.
Vanno dunque create in Africa le condizioni perché quanti hanno sinora trovato i propri mezzi di sostentamento nel sostegno alla migrazione clandestina verso l’Europa di masse di africani indigenti possano, progressivamente, trovare in loco fonti alternative e legali di reddito e di occupazione . Fonti di reddito che consentano di porre termine , in prospettiva, all“economia parallela” appena citata e alle reti di trafficati che di quest’ultima vivono . Sotto tale profilo , ha aggiunto, l’Europa deve fare la sua parte non a parole ma con concreti e ben articolati investimenti produttivi sul suolo africano . L’economia ( parallela) “si combatte con l’economia e l’Europa , se vuole davvero risolvere il problema, deve mettere mano al portafoglio”.
I prossimi appuntamenti di Farefuturo
Proseguendo nell’opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e degli ambienti più qualificati alle principali tematiche internazionali di interesse per il nostro Paese , la nostra Fondazione ha già in calendario due rilevanti appuntamenti per il prossimo mese di settembre. Il primo ( che si terrà nella mattinata del 18 settembre nella Sala Zuccari del Senato) è rappresentato da un forum organizzato in partenariato con due prestigiose espressione del mondo conservatore americano, l’”International Repubblican Institute” e la “Heritage Foundation” che saranno entrambi presenti ai più alti livelli. Il Forum ( dal titolo” Europa- USA-2024: Sfide transatlantiche”) costituirà l’occasione per uno scambio di vedutetra figure particolarmente qualificate sulle importanti scadenze elettorali del prossimo anno in Europa ( rinnovo del Parlamento europeo) e negli Stati Uniti ( elezioni presidenziali del prossimo novembre). Il secondo ( previsto per il pomeriggio del 27 settembre , sempre in Sala Zuccari) avrà ad oggetto le tematiche connesse alle criticità e a un possibile percorso di stabilizzazione dell’area sub-sahariana , con la prevista partecipazione tra l’altro di nostri esponenti politico / istituzionali di alto livello e degli ambasciatori di Francia, Mauritania e del Niger. Esso avrà per titolo: “ G5 Sahel. Cooperazione , sicurezza, , sviluppo e ruolo dell’Europa nel nuovo scenario euro-africano”. Tutto ciò a conferma della volontà e impegno della nostra Fondazione per sempre più accreditarsi come autorevole e propositiva “think-tank” anche a livello europeo , in presa diretta col rapido divenire della realtà geopolitica internazionale e con le sue molteplici ricadute sul piano nazionale e non solo.