La comunicazione in tempo di Coronavirus
Un aspetto interessante da analizzare in periodo di Coronavirus è senza dubbio la comunicazione. Sappiamo che l’uso che trascende in abuso o cattivo uso della comunicazione produce un difetto di informazione verso il ricevente. Questo fenomeno in tempo di coronavirus è accaduto più volte.
La comunicazione istituzionale come prevista dalla legge 150/2000 ha come obiettivo principale il gestire, sviluppare e migliorare le relazioni istituzione – cittadino mediante quelle attività che sono caratterizzanti del web. Ma la comunicazione istituzionale nel suo insieme non è solo quella che utilizza gli strumenti di comunicazione online, ma si avvale anche della televisione e della carta stampata approcciando allo stesso stile comunicativo. Con la comunicazione istituzionale si dovrebbe semplificare, informare, far conoscere l’ente e fornire servizi, richiedendo un feedback per ogni azione svolta. Se diamo massima estensione interpretativa al dettato normativo, è da evidenziare che la comunicazione istituzionale deve essere uno dei veicoli per la fornitura di servizi e sempre più spesso deve essere integrata con questi ultimi.
La comunicazione istituzionale deve contenere modulistica, dichiarazioni, comunicati stampa, FAQ, statistiche, info-grafiche, informazioni e soprattutto integrare il servizio istituzionale non virtuale. Differente dalla comunicazione istituzionale, c’è la cosiddetta comunicazione politica. Spesso chi ricopre un ruolo anche istituzionale scivola dalla comunicazione istituzionale a quella politica con molta facilità, commettendo un sostanziale abuso nella comunicazione grazie al suo ruolo. La comunicazione politica, a differenza di quella istituzionale è fatta di proclami, di proposte e di intendimenti, suggerimenti e obiezioni, volta principalmente a far convergere il maggior numero di consensi in chiave elettorale frutto delle azioni e proposte politiche avanzate dal singolo e dal partito che si rappresenta. Nel periodo del Coronavirus possiamo prendere a campione le tre figure che più si sono maggiormente distinte nei ruoli e nelle differenti tipicità della comunicazione. E’ indiscusso che la scena è stata suddivisa da un lato dall’On. Giorgia Meloni come leader di opposizione nel suo ruolo prettamente politico, ma con spiccata propensione al ruolo di statista ben supportata dai media e alla Camera e al Senato dalla sua squadra che ha saputo ben utilizzare la comunicazione in modo corretto e funzionale e, dall’altro lato, le altre due figure politiche ed istituzionali che, nella fattispecie dei ruoli istituzionali ricoperti, sono da identificarsi in Luca Zaia Governatore della Regione del Veneto e nel Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte. E’ proprio qui che desidero approfondire l’analisi mettendo a confronto i due comportamenti tenuti dai Presidenti mettendo in risalto luci e ombre della comunicazione istituzionale.
Veniamo subito al Governatore della Regione del Veneto Luca Zaia che con la sua chiarezza espositiva ha saputo dare indicazione ai cittadini del Veneto con precisione e dati alla mano. Nella comunicazione istituzionale sono fondamentali i dati di riferimento che possono essere statistici o di bilancio che, nella fattispecie, sono stati mostrati con cartelli ben visibili del dato oggettivo da comunicare. Il cittadino ha avuto subito contezza di ciò che è accaduto nella Regione del Veneto e di conseguenza ha ricevuto un’ulteriore informazione: gli è stata spiegata in modo puntuale l’ordinanza regionale. Una corretta comunicazione istituzionale deve essere effettuata in modo asciutto, sobrio e comprensibile, nello stile adottato dal Governatore del Veneto senza sottovalutare inoltre che tale comunicazione è stata fatta rivolgendosi alla totalità dei cittadini compresi i non udenti, con l’ausilio della traduzione nella lingua dei segni (LIS).
Questo è un aspetto che occorre tenere ben presente perché fa capire ai cittadini che quanto si sta comunicando è frutto di un lavoro serio e meditato. Ed ecco in antitesi l’analisi della comunicazione del Presidente del Consiglio: nelle sue comparizioni pubbliche non si ravvisa nulla che rasenti la comunicazione istituzionale. La prima cosa che invece balza agli occhi è come il Premier abbia improntato i suoi comunicati, ossia con un vero e proprio stile da auguri di fine anno: “abbiamo pensato, è successo, vedrete che andrà bene”. Certo che da una figura istituzionale non ci si aspetta un oroscopo alla Branco o Paolo Fox, nel quale si può interpretare tutto e niente sul futuro. In effetti, il discorso di Conte pieno di balbettii, di contraddizioni corrette dal “gobbo” come a teatro, di mancanza di dati, ha trasmesso solo ansia e disapprovazione.
I cittadini si attendevano invece dati, statistiche, proiezioni certe, uso dei termini precisi e non interpretabili che, al contrario nella loro vaghezza hanno lasciato alla libera interpretazione ingolfando le mail istituzionali di domande di chiarimento (FAQ) alle quali dovevano dare urgente risposta. Ne abbiamo avuto ampia prova con l’indeterminatezza della sola parola “congiunti”, un termine che ha scatenato dubbi ed incertezze nei cittadini al punto tale che il termine “congiunti” è stata la parola più ricercata su Google nelle 48 ore a seguire la conferenza stampa. Ma non è tutto qui, la comunicazione del Premier, oltre a non avere avuto uno stile istituzionale, è stata caratterizzata dalla peggior qualità di comunicazione politica, perché tale è stata. Giuseppe Conte ha giustificato l’operato senza mai scendere nel concreto, perché mancante di quella concretezza caratterizzante la comunicazione istituzionale, perché il suo intervento è stato un mero annuncio del DPCM ancora da emanare. A questo punto una considerazione sorge spontanea: “tenuto conto che la comunicazione in tempo di coronavirus è stata gestita in modo tutt’altro che professionale, si potrebbe invece dire, in stile confessionale del ‘Grande Fratello’, non oso pensare come siano state gestite le altre attività istituzionali”.
Caro Giuseppe, alla sua conferenza stampa di pessimo livello comunicativo Totò risponderebbe con un: “ma mi faccia il piacere”.