La crisi del credito affossa il Sud
Ultimamente si torna a parlare di fusioni e acquisizioni bancarie, di alleanze e accordi. Dopo un periodo assai difficile legato ai crediti insoluti, il sistema italiano fa parlar di se con l’iniziativa partita dal gruppo Intesa San Paolo con l’offerta pubblica di scambio alla lombarda Ubi Banca, un istituto di medie dimensioni ubicato in una delle zone più ricche e dinamiche d’Italia.
La riduzione dei margini di intermediazione, la digitalizzazione, l’intervento massiccio della tecnologia nel mercato del credito, il costo zero dell’approvvigionamento presso la bce, che ultimamente ha iniettato enormi quantitativi di liquidità nel sistema del credito, ha ridotto fortemente il margine operativo degli istituti favorendo, contestualmente, fusioni e chiusura di sportelli di rete desertificando i territori, in particolar modo quelli del sud.
Questa tendenza sta procurando forti ricadute occupazionali ponendo in pre-pensionamento forza lavoro più anziana, meno motivata, meno propensa al cambiamento, più legata al vecchio modo di far banca per assumere giovani più incentivati al raggiungimenti di risultati commerciali.
In questo scenario si inserisce il rapporto idiosincratico tra banca e impresa, rapporto divenuto più conflittuale sia dal lato della domanda che dell’offerta.
Le difficoltà delle imprese incidono negativamente sulle banche, a causa delle perdite generate dal mancato rimborso dei prestiti, che pesano sul conto economico e lo stato patrimoniale. Il credit crunch attuale è l’effetto sia di fattori inerenti alla domanda sia di un irrigidimento dei criteri di offerta dovuto al nuovo scenario regolamentare. In tale situazione le imprese divengono più esposte agli shock dal lato dell’offerta di credito, poiché risentono di una liquidità fortemente deteriorata, trovando al contempo sempre più complicato ottenere prestiti. L’unica via praticabile per uscire dall’impasse sembra essere quella di restituire centralità all’aspetto relazionale, soprattutto nelle regioni meridionali, dove esso è stato in parte compromesso dal processo di consolidamento e dal conseguente aumento delle distanze funzionali.
Nel rapporto banca-impresa, e nel sistema del credito in generale, la geografia e le distanze svolgono infatti un ruolo di primissimo piano. La maggiore lontananza tra i centri strategici delle banche e il territorio rischia di accentuare i suoi effetti negativi in termini di minore coinvolgimento nelle vicende del tessuto economico, sociale e culturale locale, a danno soprattutto delle PMI, il cui merito di credito si basa essenzialmente su relazioni personali con il management locale e su informazioni difficilmente comunicabili.
Divengono dunque fondamentali le scelte organizzative e gestionali e il grado di autonomia concesso alle banche locali, il cui radicamento nel territorio risulta prezioso per la conservazione del patrimonio informativo locale. La crisi può essere, in tal senso, uno stimolo per rifondare su rinnovate basi il complicato rapporto tra sistema creditizio e tessuto produttivo, che deve evolvere in una visione di lungo periodo, in cui si persegua l’obiettivo di rafforzare la capacità competitiva delle banche, accompagnando al contempo le imprese nel percorso verso una struttura finanziaria più robusta ed equilibrata.
*Giuseppe Della Gatta, analista finanziario