La Destra vive benissimo senza Bannon
Che si scansino Sydney Sonnino, Giovanni Gentile, Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto, il Benedetto Croce fino agli anni Venti, Giuseppe Rensi, Julius Evola, Giuseppe Prezzolini, Giuseppe Maranini, Augusto Del Noce, Gianni Baget Bozzo, Elémire Zolla, e tanti altri (non cito viventi). A destra non li si è mai letti, in compenso si sarebbe assorbito solo un autore: Steve Bannon.
E’ la curiosa tesi di un commento di Ezio Mauro (L’ultradestra e lo stregone di nome Bannon, “Repubblica”, 20 agosto) secondo il quale la destra italiana (per Mauro la destra è solo “ultradestra”) già priva di cultura, a parte Gianfranco Fini, dopo la svolta sovranista sarebbe al grado zero, solo social e suoni gutturali. E, appunto, Bannon.
Non siamo certo interessati a riprendere il tema della “cultura di destra in Italia”, meno interessante di uno studio sulle condotte sessuali degli istrici. Il dibattito ricorda infatti, per tono, tristezza e risultati, analoghi mesti in casa di sinistra, dove è da decenni che si chiedono dove sia andata la loro cultura, in effetti morta da tempo: ciò non impedisce loro però di occupare le casamatte del potere culturale. Per non dire nulla certo, ma intanto le occupano.
Invece di discutere su cosa sia la cultura di destra, con relativo piagnisteo sulle cause della sua minorità, sarebbe assai meglio studiare e scrivere: insomma buttarsi in acqua a nuotare invece di chiedersi se sia preferibile lo stile crawl o quello rana.
Per questo scopo può essere utile Bannon? La risposta è no. Intendiamoci, Bannon è una figura che potrebbe essere definito un intellettuale, prendendo il concetto in senso gramsciano, cioè estensivo. A questo proposito raccomandiamo il recente bel libro che gli ha dedicato Benjamin Teitelbaum, uno specialista degli studi sulla destra radicale: War for Eternity: Inside Bannon’s Far-Right Circle of Global Power Brokers. Ne esce il ritratto di un organizzatore culturale, che ha avuto un ruolo nella costruzione della campagna di Trump ma poi non è riuscito ad esercitarne uno equivalente, soprattuto nel tentativo di esportare il modello in Europa, Forse perché non era esportabile: chi lo vide alla Festa di Atreju a suo tempo capì subito che Bannon era del tutto immerso nella realtà statunitense ed americana.
E per quanto noi si ritenga il legame con gli Usa fondamentale per difendere l’Occidente (purché anche loro lo vogliano!) siamo anche convinti che le tradizioni politiche statunitensi mal si impiantino sul terreno europeo, e segnatamente latino e mediterraneo.
Quindi la caduta di Bannon, che magari caduta non sarà, non ha alcun effetto né sulla politica del nazional conservatorismo o sovranismo (qui non è luogo per illustrare la differenza tra i due concetti) né tanto meno sul suo orizzonte culturale: semplicemente perché Bannon in sé non aveva offerto nulla sul piano teorico, non essendo quello il suo obiettivo.
L’eventuale caduta di Bannon segna però anche simbolicamente la nuova fase in cui stiamo entrando. Dopo quella rivoluzionaria, diciamo cosi, apertasi nel 2011, con il culmine toccato nel 2016, le forze politiche conservatrici mondiali sono radicalmente mutate: il partito repubblicano Usa è ormai trumpiano, a parte qualche sparuto nostalgico neocon passato con Biden ostaggio della ultra sinistra. I conservatori inglesi hanno ben poco a che vedere con quelli di Maggie – e si legga a tal proposito il libro di uno degli ideologi del nuovo conservatorismo, Nick Timothy, Remaking One Nation: Conservatism in an Age of Crisis.
Anche Fratelli d’Italia e la Lega, intendiamo quello salviniana, sono nati nella stagione post 2011 e rafforzatisi in quella post 2016: quelle date costituiscono una cesura e uno spartiacque da cui non si può tornare indietro. Si può solo andare avanti. E da questo punto di vista la fase 2016-2020 è stata rivolta alla distruzione e alla contestazione, più che alla edificazione. Ed era giusto cosi. Oggi però è arrivato il momento di fornire il nazional conservatorismo o sovranismo una cultura di governo. Un compito a cui la lezione di Bannon non appare molto utile.
Anche perché lo schema bannoniano dell’andare oltre la destra e la sinistra e dello scontro tra globalisti e populisti, ammesso abbia funzionato per un momento, oggi pare alle nostre spalle, mentre riappare il clivage destra / sinistra , cioè conservatori vs progressisti, come un segno di riallineamento interno al sistema.
Dove questo porterà, ancora non si può dire: ma, ad esempio, rileggere, anziché Bannon che di libri non ne ha mai scritti, molti degli autori citati all’inizio, può aiutare a capire.