La Shari’a compatibile con la democrazia?
Il sistema islamico di giurisprudenza (la Shari’a) è uno tra i più seguiti ed applicati al mondo. Questa breve introduzione è mirata a far conoscere la magnitudine di questo corpus di conoscenza giuridica e l’impatto che ha avuto sulla civilizzazione in generale dal settimo secolo d.C. ad oggi. Pertanto il presente articolo, basato su una pubblicazione eccellente del già Vicepresidente della Corte Internazionale dell’Aia, di C. G. Weeramantry “Islamic Jurisprudence: an international perspective”, cerca di aprire qualche spiraglio di conoscenza su questo mondo vasto e sfaccettato, nella speranza di apprezzare la ricchezza ed importanza dell’universo della conoscenza legale e mostrare alcune delle molte interrelazioni tra la giurisprudenza e filosofia(e) islamica(che) ed occidentale(i).
Il diritto islamico è basato, come vedremo, sulla assoluta sottomissione al volere di Dio. Questo è un canone fondamentale della religione Islamica, e dal momento che il diritto islamico è basato sulla religione, ne consegue la stessa asserzione di base: il volere di Dio incorpora tutti gli aspetti della vita e quindi la legge li deve regolare tutti. Prima dell’islam l’Arabia (intesa come Medio Oriente, non come l’odierno Regno Saudita) non aveva alcun ordinamento, né statale né sociale, ed era governata dall’anarchia senza codice morale o sistema legale. Con il Profeta Muhammad (in occidente Maometto) attraverso le sue rivelazioni e il testo sacro islamico (il Corano) è radicalmente cambiato il sistema sociale.
Il Corano (da Qur’an, pronunciato “Kuur’an” che significa ‘recitazione’ in arabo) è stato direttamente dettato a Muhammed (Maometto) dall’Arcangelo Jabril – Gabri’eel (Gabriele), e come tale è considerato dall’intera comunità musulmana, senza eccezione (la Umma), la parola di Dio vera ed inequivocabile e la base dell’Islam sotto tutti i profili incluso quello giuridico, racchiudendo in esso norme del diritto personale (civile), penale e la completa normazione in materia di successioni È inoltre necessario tenere a mente il contributo in termini di civilizzazione e cultura che questo testo, diretta parola di Dio per l’Islam, ha portato all’intero mondo Islamico (circa il 25% della popolazione mondiale attuale, 1.8 miliardi di persone, pressoché un quarto dell’umanità).
Dal momento che l’esistenza di Dio è considerata oltre ogni dubbio (visioni agnostiche o atee non sono contemplate), il Suo potere illuminato, la Sua unicità oltre l’analisi, la disciplina centrale dell’Islam non era e non è la teologia o la metafisica, bensì proprio il Diritto, la Legge – la Shari’a. L’espansione territoriale della legge islamica dopo un secolo dalla morte del Profeta Muhammad coprì i territori islamici dalla Spagna alla Cina, le colonie arabe non fecero semplicemente espandere il territorio dell’Islam, ma anche la religione ed il diritto islamico.
A differenza del diritto romano che, espandendosi nei territori dell’Impero Romano e non includeva il credo enunciandolo, si adattò e si mescolò con le usanze locali, emergendo in sistemi giuridici particolari per ogni territorio come il diritto franco-romano, il diritto tedesco-romano, il diritto olandese-romano, nel diritto islamico il carattere di tale fusione era diverso, c’erano differenze o variazioni localizzate, pronunciando un timbro più forte perché derivato dall’unicità dell’Islam.
La disciplina centrale dell’Islam, che secondo i musulmani trascende tutte le altre, è la Giurisprudenza. Questo è dato dal fatto che i principi Coranici si applicano a tutti gli aspetti della legge e della vita stessa. Gli studiosi delle scienze sociali o umanistiche, particolarmente i giuristi o gli avvocati, dovevano compiere le loro ricerche e studi all’interno del Corano stesso, dal momento che i principi delle loro discipline – diversamente dai principi delle scienze naturali – sono contenuti al suo interno. Moderni studi giurisprudenziali hanno chiarito che nessun sistema legale raggiunge un certo livello di grandezza (intesa come estensione e seguito) se è statico e inerte e quindi incapace di sviluppo ed adattamento ai tempi. Il common law inglese si è sviluppato in secoli di decisioni giuridiche dei giudici, applicandoli ai casi concreti sia come binding precedent che come normazione ex novo. Il civil law o Diritto Romano d’altronde si è sviluppato grazie a centinaia di trattati scritti da eminenti giuristi nel trascorrere dei secoli. Il diritto indiano più precisamente indù non è stato raccolto in un testo, ma in una serie di testi di diversi gradi gerarchici o d’autorità.
Come si poteva mantenere e promuovere le relazioni nazionali ed internazionali in un contesto in continua espansione territoriale sulla base di tale testo inalterabile e non interpretabile oltre il senso originale del profeta Maometto? Il diritto islamico, è importante rammentare, ha da fare con due vasti aspetti di regolazione (o regolamento). In prima istanza c’è la serie (un insieme) di leggi che trattano dei doveri degli esseri umani verso Dio (Ibadat) – i cinque pilastri dell’Islam o arkan-al-islam (la professione di fede, la preghiera, il digiuno nel mese del Ramadam, la raccolta fondi o elemosina ai poveri e il pellegrinaggio alla Mecca, Makkah nell’odierno Regno dell’Arabia Saudita).
Questi temi vengono trattati per primi nelle raccolte dei fiqh (all’incirca dei ‘Codici della Shari’a’ o raccolte di leggi islamiche). Seguono le leggi generali, e successivamente le specifiche norme che regolano le relazioni umane (mu’amalat) come le nozze, il divorzio, e le successioni (quindi all’incirca equivalenti a Codici Civili). Riflessioni interessanti sulle similitudini tra i giuristi islamici e i giuristi del diritto romano si possono trovare negli studi di eminenti studiosi europei. Il diritto islamico è universale e pone tutti (la comunità umma) ad un eguale livello di sottomissione a Dio. Non esiste discriminazione in base alla religione, razza, sesso eccetera, almeno a livello formale. Ci sono svariate hadith o tradizioni che regolano questo istituto di eguaglianza, gli unici limiti sono il caso dei dhimmi, non-mussulmani che vivono negli Stati islamici, soggetti a un numero di ‘limitazioni di stato’.
Anch’essi godevano comunque di un largo riconoscimento dei diritti, soprattutto se ritenuti ahl-al-kitab ovvero popoli del libro come i cristiani, gli ebrei ed un numero di altri appartenenti a religioni monoteiste (norma contenuta esplicitamente nel Corano). Il governo dell’umma (la comunità mussulmana) dipende quindi dai principi di consultazione (parlamento shura – ripartito in majlis i aam – rappresentanti del popolo e majlis i khass- dei dotti) e nessun sovrano ne era al di sopra. Il potere può quindi cambiare di mano, se è Allah a volerlo, facendolo o ad ogni modo lasciandolo accadere. La teoria di Stato e di governo chiaramente delinea che il potere di governo non dovrebbe riporsi esclusivamente nelle mani di un individuo o di una classe dirigente, ma del popolo. Dal momento che però la sovranità nell’Islam non esiste, o meglio, non è terrena, non può appartenere al popolo.
Le principali differenze con il diritto pubblico occidentale, sia civil law che common law, sono numerose ed evidenziate soprattutto dalla differenza nell’approccio e nella mancanza di istituzioni di diritto pubblico. Si può vedere come esso non sia un diritto basato meramente sui testi, benché la sua fonte principale sia il Corano, perché l’importanza della giurisprudenza e dell’interpretazione in varie forme (siano esse fonti o scuole) è determinante.
A ben vedere i due sistemi giuridici hanno in comune la regolamentazione di usi e consuetudini formalmente senza distinzione di razza e sesso ma hanno una visione diversa per quanto riguarda l’applicazione pratica del diritto stesso: il diritto occidentale regola la sola vita terrena, il diritto islamico la vita pratica (sfera esteriore) come conseguenza di quella sfera interiore che viene regolata dalla legge divina. Per quanto concerne la compatibilità con la Democrazia, insita nel ‘Sistema-Occidentale’, alcune nozioni di base possono essere estrapolate direttamente dalla fonte suprema della Shari’ia che poi è equipollente al rango costituzionale (v. Regno Saudita), cioè il Corano, ad esempio le nozioni: della fratellanza e della solidarietà, della dignità umana, del diritto della donna della privacy, degli abusi del diritto, delle libertà individuali, dell’eguaglianza dinnanzi alla legge, la presunzione di innocenza, l’indipendenza giuridica, la supremazia del diritto, la sovranità limitata, il fare del bene, la tolleranza ed infine o meglio al vertice, della partecipazione democratica – il majlis come si è detto è appunto un ‘parlamento’ già esistente anche se in svariate forme, pressoché in ogni Stato musulmano.
Grazie ad una più approfondita analisi delle fonti di diritto islamico, è evidente che la Democrazia è insita anche nel Sistema-Mondo Islamico, e non è esclusiva del Mondo Occidentale.
*Davide Garbin, collaboratore Charta minuta