La storia condivisa (il discorso di Violante)
Com’era bella la libertà quando potevi uscire senza che qualcuno in divisa ti chiedesse chi sei, dove vai, come e perché. Ma niente paura, la libertà è solo momentaneamente sospesa per la guerra al coronavirus. La democrazia è salda… anche se il Parlamento è quasi chiuso.
La democrazia. Oggi voglio rinfrescarmi il concetto con un libro di Luciano Violante, magistrato coraggioso e anche politico di rango della sinistra: “Democrazie senza memorie” edito da Einaudi, 2017.
Violante scrive che la democrazia non si trova in natura: è un prodotto artificiale, frutto della ragione e del desiderio di libertà. Se non è curata, alimentata e potenziata, appare inevitabile la sua crisi di fronte all’apparente maggiore efficacia del dispotismo . Inoltre, stiamo vivendo un cambiamento d’epoca, segnato dalla crescita della globalizzazione e dalla digitalizzazione: le politiche pubbliche dei diversi Stati sono interdipendenti; le grandi migrazioni hanno messo in crisi il senso di identità di milioni di persone; la quarta rivoluzione industriale cambierà i processi produttivi e le relazioni sindacali; crescono le diseguaglianze; la sfiducia nelle élites esperte anima populismi e nazionalismi etnici. È dunque necessaria una nuova cultura politica per sostenere la democrazia”.
Parole preziose quelle di Luciano Violante in questo periodo di confusione, di smarrimento non solo per colpa del virus. Sempre più aspro appare oggi lo scontro politico ed esistenziale. E da qualche parte viene rinfocolato quell’odio che contrappose gli italiani in una guerra civile. Non può essere che ci siamo ridotti così.
Sembra così lontano e dimenticato il discorso che Luciano Violante tenne nell’aula di Montecitorio il 9 maggio 1996, nel giorno del suo insediamento alla presidenza della Camera:
”Mi chiedo – disse Violante – se l’Italia di oggi non debba cominciare a riflettere sui vinti di ieri. Non perché avessero ragione, o perché bisogna sposare, per convenienze non ben decifrabili, una sorta di inaccettabile parificazione tra le due parti. Bisogna sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e della libertà. Questo sforzo, a distanza di mezzo secolo, aiuterebbe a cogliere la complessità del nostro Paese, a costruire la Liberazione come valore di tutti gli italiani, a determinare i confini di un sistema politico nel quale ci si riconosce per il semplice e fondamentale fatto di vivere in questo Paese, di battersi per il suo futuro, di amarlo, di volerlo più prospero e piiù sereno. Dopo, poi, all’interno di quel sistema, comunemente condiviso, ci potranno essere tutte le legittime distinzioni e contrapposizioni”.
Dai banchi della destra si alzò Mirko Tremaglia, un ex ragazzo di Salò, uno che a 17 anni aveva scelto la Repubblica Sociale. Si avvicinò al Presidente della Camera e gli espresse il suo apprezzamento: “Quando queste parole vengono da un avversario politico – gli disse Tremaglia – sono importanti, ma sono straordinariamente importanti quando vengono dal Presidente della Camera con la solennità del primo giorno di investitura. Dopo 50 anni è un segnale di notevole valore per la pacificazione che abbiamo sempre chiesto nel rispetto di coloro che hanno combattuto da una parte e dall’altra, che sono caduti da una parte e dall’altra”.
Correva l’anno 1996. L’Italia sembrava avviata verso una storia condivisa. Si cominciava , non solo a destra, a chiamare Patria quello che prima veniva chiamato Paese. Si andava rafforzando in quegli anni un desiderio di unità contro la sfida secessionista allora cavalcata dalla Lega Nord. In meno di un quarto di secolo dopo, quante cose sono cambiate. In peggio. E ci avviamo a celebrare il 25 aprile fuori da una storia condivisa.