L’altra faccia della liberazione. Le marocchinate
Leggo stamane sui giornali che il virus non fermerà le celebrazioni del 25 aprile. Pd, Cgil, ANPI e pure le Sardine invitano per sabato alle ore 15 ad affacciarsi a finestre e balconi per cantare “bella ciao”.
Mi preparo spiritualmente all’evento. Intanto per restare in tema il mio diario dei giorni del coronavirus si sofferma oggi sull’altra faccia della liberazione, con tre volumi che ricordano una tragedia italiana per troppo tempo nascosta e dimenticata. “Le marocchinate” di Stefania Catallo; “Cronaca di uno stupro di massa” di Emiliano Ciotti e, appunto, “L’altra faccia della liberazione” un libro di Simone Cristicchi e Ariele Vincenti tratto da un loro lavoro teatrale.
Il libro della Catallo riporta le testimonianze di sei delle ventimila donne che nel 1944, nella zona del Basso Lazio, subirono stupri e vessazioni da parte dei goumiers al seguito della Quinta Armata del generale Juin. Molte morirono per le malattie contratte, alcune si suicidarono, altre finirono in manicomio, altre – scrive l’autrice – emigrarono per sfuggire a un contesto diventato insostenibile.
“Aspettavano i liberatori ma arrivò l’inferno” racconta Emiliano Ciotti, che è presidente dell’Associazione nazionale che tutela i diritti delle donne stuprate, delle marocchinate. Nel suo libro un’ analisi precisa e dettagliata dei fatti, confermati da testimonianze, denunce, atti penali e amministrativi, con una descrizione dei luoghi teatro della tragedia. Un lavoro frutto di una capillare ricerca su quindicimila fascicoli all’Archivio di Stato.
Nel libro di Cristicchi e Vincenti trovi racconti ispirati a storie vere e basati sulle ricerche condotte dai due autori. Lo scenario è quello dei terribili giorni successivi allo sfondamento da parte degli Alleati della linea Gustav. Apparentemente la guerra era finita, ma non per le popolazioni delle zone tra la Ciociaria e il confine abruzzese. Lì fu vissuta l’altra faccia della liberazione. Le truppe marocchine, alle quali era stato affidato il compito di entrare nella rocciosa difesa tedesca, ottennero il “diritto di preda” contro la popolazione civile. 50 ore di carta bianca, 50 ore in cui fecero razzia di tutto:oro, case, donne.
Trai primi a dare una veste letteraria a quella tragedia umana fu Alberto Moravia con il romanzo La Ciociara, nel 1957, che narra la storia di Cesira e della sua figlia adolescente Rosetta. Moravia tentò di cogliere quell’idea di speranza negli angloamericani per la liberazione dai nazisti tradita poi dal disincanto e dalla tragedia. In una chiesa abbandonata, davanti a un’immagine capovolta della Madonna, Cesira e la figlia vengono violentate da un gruppo di soldati marocchini appartenenti all’esercito francese. Nel 1960 il romanzo divenne un film diretto da Vittorio De Sica. La magistrale interpretazione di Sofia Loren diede a La Ciociara un rilievo internazionale. Il centro del messaggio neorealista nel romanzo e nel film non costituì tanto un atto d’accusa all’esercito di liberazione quanto una descrizione della guerra emblematica fonte degli orrori che comunque risalgono alla responsabilità di chi la guerra ha originato,
l’Italia ufficiale dimenticò per anni la tragedia delle popolazioni del Lazio, quella piaga chiamata con un brutto termine le marocchinate. Memoria scomoda.
A rompere il muro di silenzio in televisione fu un documentario di Giovanni Minoli nel 2004. Da allora altri filmati e numerose interviste alle vittime si sono succeduti in servizi trasmessi anche RaiStoria.
Al di là del silenzio delle istituzioni una parte intellettualmente sana della nazione ha ricostruito nella pubblicistica e nei servizi giornalistici la tragedia di quelle violenze sessuali di massa.
Il 25 aprile prossimo sarà celebrata la festa della liberazione. Nessuno però ci parlerà degli altri “liberatori” e delle migliaia di vittime di quella violenza di massa nei paesi e nelle campagne del Lazio, di quelle donne contagiate da sifilide e da altre malattie veneree, di quelle donne che rimasero incinte, di quelle che abortirono, delle tante che si suicidarono.