Le campagne elettorali viste da Hollywood
Comprendere le elezioni Usa attraverso il cinema
Recensione a
Luca Mencacci
The best man. Le campagne elettorali viste da Hollywood
Rubbettino 2016
Lettura consigliata particolarmente in quest’anno che, al netto di quali saranno le conseguenze e la persistenza dell’epidemia di Covid-19, culminerà nell’elezione del Presidente degli Stati Uniti d’America. L’autore, docente di Scienza Politica e Analisi delle Politiche Pubbliche all’Università Guglielmo Marconi, indaga la produzione cinematografica hollywoodiana di genere elettorale e pur con il sostegno di solide basi scientifiche, non nega tuttavia come il processo elettorale, per sua natura intrinseca, presenti una sua singolare «cinematografibilità». Nelle dense pagine del saggio infatti, il lettore troverà alcune chiavi di lettura e spunti efficaci che il cinema di Hollywood fornisce per comprendere le dinamiche elettorali d’Oltreoceano. Evitando sia l’approccio sociologico quanto quello storico, Mencacci tenta un’operazione culturale complessa indagando la democrazia statunitense attraverso alcune categorie che costituiscono i capitoli del volume. The best man permette così di avventurarsi nei labirinti di una materia ostica per la scienza politica contemporanea, attraverso la cultura popolare dei film che ne hanno raccontata la storia dal secondo dopoguerra ad oggi. Una serie di titoli cinematografici, che in questo periodo di clausura obbligata dall’emergenza sanitaria possono risultare ut, ili al lettore, permettono di affrontare, tra gli altri, l’irresistibile richiamo al cambiamento attraverso l’analisi di Last Hurrah (1958) di John Ford interpretato dal mostro sacro Spencer Tracey che pone l’accento sulle macchine elettorali (political machines) caratterizzanti la politica statunitense, oppure sul ruolo decisivo acquisito sin dagli anni ’80 del novecento dagli spin doctor, come fatto nel film Power (1986) di Sidney Lumet ed interpretato da Richard Gere nei panni dell’esperto di marketing politico e consulente d’immagine. Del resto il candidato, come mostra egregiamente anche The candidate (1972 premio Oscar per la sceneggiatura) con l’inossidabile Robert Redford come protagonista, è un prodotto come gli altri, che deve sottostare a precise regole e a determinate dinamiche, abbandonando l’ingenuo idealismo, per raggiungere il successo. Non manca neanche il thriller fantapolitico, The Manchurian Candidate (2004) di Jonathan Demme, rifacimento di un film del 1962, in cui il protagonista Denzel Washington tenta di contrastare una pericolosa multinazionale che attraverso il lavaggio del cervello vuol far giungere alla presidenza degli Stati Uniti un proprio uomo, per indagare il sempre vivo, quando si parla di Stati Uniti, filone complottistico. Così di film in film e di capitolo in capitolo sarà possibile per il lettore (e perché no anche spettatore se deciderà di associare la visione di qualche pellicola richiamata nel libro) sedersi comodamente in poltrona e, per utilizzare la citazione di Alexis De Tocqueville riportata nell’introduzione «cercare l’immagine della democrazia stessa, con le sue inclinazioni, il suo carattere, i suoi pregiudizi e le sue passioni, allo scopo di apprendere che cosa dobbiamo temere o sperare nel suo sviluppo»