Ma il CNEL è già la task force Italia
Nell’epoca segnata dal virus che purtroppo ha stravolto la vite di centinaia di milioni di uomini e donne del nostro pianeta, è divenuto usuale il ricorso al linguaggio bellico nell’approcciare i discorsi che riguardano il contrasto del Covid-19. In Italia dall’inizio della pandemia non sono mancati appelli e messaggi che non abbiano richiamato nei termini e nelle citazioni storiche, la guerra e gli accostamenti all’ultimo conflitto mondiale. Tale linguaggio tuttavia non riesce a descrivere quella in maniera più realistica può essere classificata come una crisi sanitaria che giorno dopo giorno si sta tramutando in una crisi economica, come certificato dal Fondo Monetario Internazionale. Per fronteggiare quest’altrettanto grave minaccia, abbiamo assistito alla recente nomina dell’ennesimo comitato di esperti con elevate e qualificate competenze dovrà suggerire al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, le misure necessarie alla ripresa delle attività economiche e produttive. Il provvedimento però, ed è bene puntualizzarlo senza nessuna volontà polemica, si presta ad alcune considerazioni e valutazioni rispetto alla effettiva necessità di un altro gruppo di personalità, ancorché di altissimo profilo, che andrà ad accrescere la nutrita schiera di comitati e task force già costituiti e che rischiano di rendere ancora più macchinosi i processi decisionali, soprattutto a causa dell’assenza di un effettivo coordinamento. Osservando la mission dei 17 esperti guidati dall’ex amministratore delegato di Vodafone, Colao, appare difficile non coglierne le assonanze con l’organo costituzionalmente destinato ad occuparsi delle materie affidate alla task force per la fase 2: stiamo parlando del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. Proprio quel CNEL tanto vituperato e certamente poco amato organo ausiliario cui l’art.99 della Carta conferisce funzioni di consulenza e di proposta per il Governo e le Camere, il quale nonostante le alterne fortune vissute nel corso della sua esistenza repubblicana, sta resistendo da almeno un decennio, ad una serie di tentativi che ne decretino la scomparsa in quanto ritenuto, molto superficialmente, come un’inutile orpello o perché considerato come un eccessivo cedimento alla cultura corporativa. Eppure in una fase come quella che stiamo vivendo, così delicata anche per gli inevitabili risvolti economici e sociali, un strumento come il CNEL poteva risultare molto utile per sciogliere alcuni dei nodi che Giuseppe Conte dovrà districare nei prossimi giorni. Infatti nel disinteresse generale quest’ultimo, già da qualche tempo, stava offrendo dei contributi per affrontare la crisi, ad esempio con un approfondito documento di osservazioni e proposte al disegno di legge di conversione del decreto recante le «Misure di potenziamento del Servizio Sanitario Nazionale e di sostegno Economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza Epidemiologica da covid-19» in cui oltre a sottolineare correttamente come l’Italia sia l’unico Paese dell’Unione ad aver conseguito ininterrottamente per 29 anni un avanzo primario nel suo bilancio, consigliava l’emissione di titoli di Stato a lunga scadenza per finanziare il Sistema Sanitario Nazionale. Oppure l’iniziativa di analisi della situazione e delle conseguenze economiche nel breve e nel medio periodo, per fornire al decisore politico un quadro d’insieme riguardo il sistema produttivo, le ricadute occupazionali e gli strumenti da poter mettere in atto per sostenere l’economia, sia immediatamente che una volta esaurita l’emergenza sanitaria. Questa attività insieme all’avvio di uno stress-test sugli effetti della pandemia, in collaborazione con le parti sociali e articolato in dieci macro aree (dal sistema bancario all’infrastruttura digitale, dalla logistica all’agricoltura ed al turismo, passando per la scuola e l’industria) fa parte di un lavoro mirato a valutare l’impatto sul sistema Paese della crisi economica, tenendo ben presente che la pandemia ha completamente paralizzato i due pilastri sui quali l’Italia ha retto l’urto della grande recessione 2008-2015: le esportazioni e la filiera del turismo e dell’agroalimentare, che ha nella ristorazione interna ed internazionale il suo punto di forza. Soprattutto per tali ragioni risulta incomprensibile la mancata considerazione di un organo di rilevanza costituzionale, con ruoli e una struttura ben definite e consolidate, che ha tra le proprie attribuzioni quelle materie assegnate al neonato comitato per la fase 2. La presenza nel Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro delle rappresentanze delle forze sociali del mondo dell’impresa, del lavoro autonomo e del lavoro dipendente oltreché di alcune organizzazioni dell’associazionismo sociale e del volontariato, potrebbero senz’altro essere un valore aggiunto in grado di contribuire ad elaborare un vero e proprio progetto per l’Italia, di cui si sente tremendamente bisognio. Il Presidente del Consiglio dimenticandosi di questa camera dalla dottrina definita come “camera di compensazione” o “terza camera” in cui le istanze del lavoro incontrano quelle del capitale, ha forse perduto un’occasione per evitare quel pregiudizio che lo vorrebbe in difficoltà nel gestire situazioni delicate in cui sono necessarie notevoli capacità di sintesi e finalizzazione. Come è stato correttamente notato proprio dal CNEL, le azioni che si metteranno in campo nelle prossime settimane per far ripartire gradualmente il Paese dopo il lungo lockdown, lo disegneranno per i prossimi 10 anni. Pertanto non si può improvvisare oppure navigare a vista. E per tenere la rotta il CNEL potrebbe tornare utile al Governo.