Macron, l’ultima illusione europeista
Il dibattito in merito all’Unione Europea e al futuro della moneta unica ha ormai raggiunto un insostenibile livello di ideologizzazione, nel quale sono state inevitabilmente trascinate anche le elezioni francesi. L’unico paradigma usato per analizzare le questioni continentali si basa sulla dicotomia tra europeisti e sovranisti: un’improvvida reductio che sta progressivamente impoverendo le discussioni, e pretende molto banalmente di ricondurre a tali etichette qualsiasi politico o proposta programmatica. La sfida tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen, che ha visto prevalere nettamente il primo, è stata dunque l’ennesima occasione per uno scontro frontale tra europeisti e sovranisti: ma come spesso accade, i militanti hanno visto nei rispettivi front-man molto più di ciò che realmente rappresentano.
Il neo-presidente della Repubblica francese è divenuto il nuovo paladino dei liberali italiani nonché di Matteo Renzi, che nel confermare l’italica abitudine di salire sul carro del vincitore, ha equiparato il 69,2% dei voti ottenuti alle primarie del Partito Democratico, al 65,1% dei consensi raccolti da Macron alle presidenziali. Meno male che il populismo è l’anima dei sovranisti, e non della parte sana dell’opinione pubblica che tifa per Bruxelles. Invero, al di là delle facili ironie e delle solite sbornie mediatiche fatte di bandiere europee e inno alla gioia, c’è davvero molto poco di liberale in Macron, i cui piani potrebbero essere molto più pericolosi per gli equilibri europei rispetto a quelli di Marine Le Pen.
In primo luogo, il neo presidente – che si definisce ed è stato definito “progressista liberale” liberale di sinistra”, “social-liberale”, neologismi quanto mai curiosi – non è esattamente l’archetipo del liberale classico. Le parole di fuoco usate in campagna elettorale contro i nazionalismi e contro il sovranismo del Front National stridono con il suo programma. Come ha evidenziato Gilbert Casasius, politologo e professore di Studi europei all’Università di Friburgo, Macron è contrario al nazionalismo economico statale, ma propugna una visione palesemente protezionista dell’Europa, imperniata su due direttrici. La prima è il cosiddetto Buy European Act, una proposta che punta a limitare gli investimenti stranieri riservando l’accesso per gli appalti pubblici europei alle sole imprese, la cui produzione di beni e/o erogazione di servizi avvenga per almeno la metà sul territorio dell’Unione Europea. La seconda consiste in misure anti-dumping in seno all’Unione Europea, ovvero dazi doganali europei. Insomma, non proprio un trionfo del liberismo.
In secondo luogo, Macron si propone di rilanciare l’asse Parigi-Berlino, invocando una maggiore collaborazione tra i due Stati in funzione europea. Tale visione, ancora saldamente ancorata all’idea di un’Unione trainata dal motore franco-tedesco, poteva essere adeguata trent’anni fa. Nell’Unione odierna, dove il clima fra i membri non è esattamente idilliaco e dove la governance sconta un cronico deficit di trasparenza e democraticità, è fallace pensare all’ennesima, privata cabina di regia. Le idee di Macron, in verità, riguardo l’integrazione europea e le sue istituzioni, appaiono quanto mai confuse.
In terzo luogo, infatti, il neo-presidente auspica una maggiore integrazione politica tra i 19 Paesi che adottano l’euro, mediante la creazione un apposito euro-parlamento composto dai rispettivi deputati di appartenenza già presenti nell’attuale, affiancato da un ministero dell’Economia unico per l’Eurozona che tiene le redini di un bilancio comune. A proposito di asse Parigi-Berlino, i cristiano-democratici tedeschi hanno già espresso la loro totale contrarietà nei confronti di queste riforme. D’altronde, in un periodo in cui si parla di snellire la governance, il piano di Macron di moltiplicazione istituzionale appare fuori luogo e molto confuso. Senza dimenticare, inoltre, i palesi problemi di legittimità che un tale ministero porterebbe con sè.
Ritenere, dunque, che schivato il “pericolo” sovranista rappresentato da Marine Le Pen – la quale, è opportuno sottolineare, ha ridimensionato l’uscita immediata dall’euro nel proprio programma politico – la strada per l’Unione Europea e per l’euro sia tutta in discesa, è davvero illusorio. Macron non “salverà” l’Unione, al contrario assisteremo a uno scontro frontale tra il nucleo fondativo dell’Unione e i Paesi dell’est, in particolare Ungheria e Polonia, soprattutto riguardo l’immigrazione. L’Italia ha atteso (ancora attende?) un fantomatico “salvatore”, e s’è visto quanto bene abbia fatto al Paese questa attesa: i problemi strutturali dell’Italia sono sempre gli stessi e, anzi, si sono ingigantiti. L’Unione Europea e i suoi sostenitori stanno facendo il medesimo errore: non esiste alcun salvatore né alcuna bacchetta magica. Le criticità del progetto europeo non spariranno grazie a Macron, così come un’elezione di Marine Le Pen non ne sarebbe stata la pietra tombale.
Un consiglio non richiesto a ciò dovrebbe e potrebbe essere un centrodestra italiano: basta rincorrere i programmi “esteri”, si elaborino proposte programmatiche innovative e realistiche. Si trovi, insomma, una quadra. Ma una quadra che derivi da una cultura di governo, che è la sola, vera cosa di cui ha disperatamente bisogno l’Italia, ma forse tutta l’Europa. Servono statisti, non imbonitori ideologizzati.
*Federico Cartelli, collaboratore Charta minuta