Negri: l’Italia ha perso ogni peso politico internazionale
Raggiungiamo telefonicamente Alberto Negri senior advisor sul Medio Oriente e Nord Africa dell’ISPI per capire come l’Italia abbia reagito nei confronti del vertice di Abu Dhabi tra al-Sarraj e Haftar.
L’attivismo della Francia rischia di isolare l’Italia. È di pochi giorni infatti l’annuncio dell’ONU sull’accordo tra al-Sarraj e Haftar sulle elezioni. Lei crede siamo arrivati davvero alla svolta in Libia?
Credo che dobbiamo partire da una considerazione: all’attivismo della Fracia corrisponde quasi sempre una passività dell’Italia basti vedere che nelle settimana precedenti quando il generale Haftar ha preso il controllo dei pozzi dell’ENI nel Sud della Libia, nessuno qui ha fatto neanche una dichiarazione come se fosse un non evento. Chiaramente la passività italiana conduce a delle svolte. L’Incontro di Abu Dhabi che c’è stato tra al-Sarraj e Haftar è il primo e probabilmente ci sarà un altro incontro a Parigi. In questo incontro negli Emirati, non sono state indicate le date dell’elezioni e questo significa che forse Haftar ha ancora spazi di manovra per guadagnare ulteriore terreno. Bisogna però capire anche quali sono i progetti di Haftar e della Francia. Se il loro progetto è arrivare a un compresso con Serraj questo è possibile. Ma probabilmente non è tanto semplice con le altre fazioni di Tripoli. Non è detto che i francesi in qualche modo vogliano arrivare ad un accordo con Sarraj che escluda le altre fazioni per poi avere campo libero di dare il via libero ad una vera e propria azione militare anche nei confronti della capitale libica.
L’Italia e il suo rapporto, a volte privilegiato, con le tribù libiche è sempre stato considerato un nostro vantaggio in questo Paese. Lei pensa che il nostro governo abbia giocato bene le sue carte ?
Da quando è scoppiata la questione libica nel 2011, sento in Italia sempre lo stesso ritornello: siamo il paese più informato sulla Libia. Strano però che quando fu deciso il bombardamento della Libia nel 2011 nessuno ci abbia fatto neppure una telefonata. Talaltro fu presa una decisione fatale perché dopo i bombardamenti franco-inglesi e statunitensi non ci siamo limitati in qualche modo a contenere i danni ma ci siamo addirittura accodati ai bombardamenti della NATO. Quindi dire che abbiamo dei rapporti privilegiati oggi, sembra anche un po’ paradossale, quasi ironico. Noi eravamo il Paese che aveva il miglior rapporto con Libia. Eravamo il suo principale partner commerciale. Avevamo l’interfaccia con Gheddafi. Ma allo stato attuale dire che abbiamo un rapporto privilegiato con Libia mi sembra abbastanza limitante, forse anche ottimistico. A Tripoli non va dimenticato che non ci siamo solo noi come potenza straniera, e ciascuna di esse fa il suo gioco come ad esempio la Turchia. Senza considerare che l’ascesa del Generale Haftar ci ha in un certo senso, confinati con un governo tripolino che pur essendo riconosciuto dalla comunità internazionale in realtà nelle mani di Saraj è una sorta di ectoplasma.
Dalla nostra ex-Colonia oltre ad arrivare buona parte del nostro fabbisogno energetico, arrivano anche numerosi clandestini. Lei pensa che con le annunciate elezioni la situazione umanitaria possa migliorare?
Diciamoci la verità. Sulle elezioni non c’è ancora nessun accordo sulla data e non sappiamo neanche il modo con cui saranno svolte. Ho l’idea che questa sia una dichiarazione più politica che non effettiva. In realtà il flusso dei migranti si è fermato con la misura della chiusura dei porti. Che ha in qualche modo contribuito a rallentare il fenomeno. Un provvedimento che naturalmente è stato giudicato dalle parti politiche in maniera molto diversa a volte opposta. Forse non è una soluzione perché noi siamo come Italia a capo di quella famosa Operazione “Sophia” che prevede tra l’altro perfino incursioni a terra sulla costa libica per contrastare il traffico dei migranti. Ne ha vista qualcuna lei? Io non ne ho mai vista nessuna! Come sempre quindi, noi usiamo un atteggiamento difensivo, calcolatorio del problema dei migranti ma non attacchiamo l’origine del problema. Questo infatti, non è un problema soltanto italiano ma di tutta l’Europa. Inoltre ritengo che sia inaccettabile avere dei campi profughi in Libia che sono dei veri e propri lager. Questo è un problema che si riproporrà periodicamente per noi e per tutta la comunità internazionale. Anche perché è bene ricordarlo a otto anni dalla caduta di Gheddafi, la Libia non ha ancora riconosciuto la convenzione di Ginevra sui rifugiati. Questo significa che chiunque entra in territorio libico, anche se ha diritto alla protezione umanitaria, è automaticamente considerato un clandestino. Quindi l’Italia e tutta la Comunità Internazionale dovrebbero premere perché la Libia aderisca a questa Convenzione Internazionale.
Quali spazi di manovra oggi per il nostro Governo per garantire nono solo la sicurezza energetica ma sopratutto la sicurezza nazionale che è a rischio visto il caos libico?
I nostri governi, non soltanto questo, hanno fatto quello che potevano fare sul fronte dei migranti cercando di tamponare l’effetto di una delle più devastanti ondate migratorie che si siano mai viste nel Mediterraneo dal dopoguerra in poi. Da questo punto di vista i governi italiani stanno lavorando e hanno lavorato. Ma il problema è un altro: L’Italia ha perso ogni peso politico internazionale. Quindi non è più in grado di indirizzare, in qualche modo, quello che accade oggi in Libia. La cosa è stata evidente anche dopo il vertice EU-Lega Araba di Sharm el-Sheikh, Praticamente il generale al-Sīsī (presidente dell’Egitto) è stato investito del ruolo di custode del Sud del Mediterraneo. Con il quale però il nostro Paese è in rotta di collisione per il caso Regeni. Ma anche sulla Libia essendo al-Sīsī, sostenitore di Haftar ed interessato ad avere un’influenza molto estesa in Cirenaica. Quindi noi non affrontiamo solo la Francia nel rebus libico. Oltretutto non affrontiamo quello che è il problema fondamentale. In Libia non c’è solo il problema delle risorse energetiche, il problema è la questione politica. Infatti l’avanzata di Haftar sostenuta dal fronte Russia-Francia-Egitto significa che si punta a quei “fratelli mussulmani” e a quei gruppi islamisti che sono molto attivi in Tripolitania e nella stessa capitale. Perché questi sono risultati perdenti dalle “Primavere Arabe”. Quindi un vasto fronte internazionale vuole eliminarli definitivamente dall’area. Questo è il problema politico. In Libia non c’è soltanto un problema di migranti, di petrolio ma c’è anche questo problema prettamente politico che l’Italia evita di affrontare ed esaminare.
L’Italia decidendo di non affrontare i nodi politici all’origine della questione libica rischia nuovamente di ritrovarsi al seguito di accordi fatti da altre potenze. Ricordiamo che la Fondazione Farefuturo ha organizzato un meeting giorno 5 marzo prossimo, di approfondimento dal tema “Francia VS Italia: addio Libia?”. Sarà certamente un’occasione importante per approfondire questi temi complessi ma che riguardano la nostra sicurezza nazionale.
*Intervista con Alberto Negri senior advisor Ispi, di Mario Presutti, collaboratore Charta minuta