Non è tempo di piagnistei!
Non è tempo di piagnistei! Piero Bargellini, allora sindaco di Firenze, pronunciò questa frase nella Galleria degli Uffizi, con il fango sino alle ginocchia nel novembre 1966, quando l’Arno aveva tracimato facendo danni incalcolabili. Una frase semplice che provocò una svolta e si passò in poche ore dal dolore per il disastro nella Città del Giglio al lavoro entusiasta per la ricostruzione.
E’ una frase che vorrei ripetere, a gran voce, agli amici del centro destra. Basta con le geremiadi perché le proposte non vengono ascoltate da chi ha la responsabilità di governare. Le lamentale non fanno mai bene a nessuno e soprattutto non infondono coraggio ai potenziali elettori. Non bisogna neanche farsi soverchie illusioni su “gli stati generali dell’economia”, una passarella fuorviante inventata, pare, dalla fervida mente del portavoce della Presidenza del Consiglio, l’ing. Rocco Casalino.
Il centro destra dovrebbe cogliere con entusiasmo, invece, l’opportunità offerta su un vassoio d’argento dall’Unione europea (Ue). E’ in arrivo un vero fiume di denaro per facilitare il rilancio dell’economia italiana, con particolare riguardo alle piccole e medie imprese ed ai ceti più deboli. Gli aiuti, però, sono soggetti a “condizionalità”: la predisposizione di un programma non solo di come verranno spesi ma anche e soprattutto di come verrà rimessa in sesto l’economia.
Gli obiettivi di tale programma e, quindi, della “condizionalità” europea si possono, per il momento, dedurre dalle raccomandazioni al nostro Paese pubblicate dalla Commissione un paio di settimane fa. In breve, l’Italia dovrebbe assicurare: a) politiche di bilancio tali da permettere una ripresa economica a medio termine e la sostenibilità del debito della pubblica amministrazione; b) aumentare gli investimenti pubblici e privati; c) migliorare il coordinamento tra Stato centrale e Regioni; d) rafforzare la sanità; e) sostenere la fasce deboli più colpite dalla crisi; f) mitigare la disoccupazione con politiche attive del lavoro; g) rafforzare istruzione e formazione a distanza tramite strumenti digitali; h) fare giungere liquidità all’economia reale soprattutto alla piccole e medie imprese ed alle imprese innovative; i) porre l’accento su investimenti “verdi” e digitali; e soprattutto l) migliorare l’efficienza del sistema giudiziario e l’efficacia della pubblica amministrazione.
Sono obiettivi ineccepibili. Chiaramente il Governo ha difficoltà ad articolarli in un programma con contenuti e scadenze monitorabili (gli aiuti, infatti, verranno erogati a rate, a misura che il programma verrà attuato). Si pensi ad esempio alle profonde differenze tra Partito Democratico (PD) e Movimento 5 Stelle (M5S) emerse in queste ultime settimane su aspetti fondanti della giustizia e della scuola. Oppure alle divergenze sulle grandi opere.
Gli stessi “Stati generali dell’economia” sembrano un diversivo per ritardare una inevitabile resa dei conti su punti chiave del programma richiesto.
L’opposizione potrebbe redigere, e pubblicare, un programma in linea con gli obiettivi indicati. Non si dovrebbe produrre un voluminoso “libro dei sogni” ma un programma triennale di sviluppo dell’economia di 30-40 pagine, con alcune tabelle chiave e se possibile schemi di provvedimenti (decreti legge, disegni di legge, proposte di legge) condivisi tra i partiti del centro destra. Se il Governo non ne tiene conto, l’opposizione dovrebbe utilizzare la propria sponda al Parlamento Europeo per portarlo alle autorità dell’Ue. Che dovrebbero giudicare della solidità delle proposte del Governo (ove vengano presentate ed escano dalla nebuloso di questi mesi) e di quelle di chi oggi siede sui banchi dell’opposizione e si prepara a governare un domani non troppo lontano.