Nuova maturità, dalla buona scuola alla scuola buonista
Dopo quasi cinquant’anni i sessantottini hanno vinto: il sei politico, con ogni probabilità, diventerà legge. La riforma, quella che doveva disegnare la tanto decantata buona scuola, invero certificherà la scuola buonista: che chiude un occhio, che dà una spintarella, che riflette la parabola discendente, che ormai dura da anni, di questo Paese alla deriva. Il decreto legislativo sulla valutazione, infatti, apporterà rilevanti – e peggiorative – modifiche all’esame di maturità a partire dal 2018. I cambiamenti più importanti sono tre. Il primo è che sarà molto più facile, per gli studenti, essere ammessi all’esame di Stato, in quanto non servirà più avere almeno la sufficienza in tutte le materie, bensì basterà la media del sei compreso il voto di condotta. Il secondo comporta una revisione della distribuzione e dell’attribuzione del credito scolastico: l’esame “peserà” di meno nell’economia della carriera scolastica, e verrà diminuito dagli attuali 75 a 60 punti (risultante dalla somma delle due prove scritte, di 20 punti ciascuna, e di altri 20 punti per l’esame orale). Il terzo, infine, prevede l’abolizione della terza prova scritta. Insomma, una vera e propria rivoluzione: della mediocrità. Perché è proprio la mediocrità che viene riconosciuta, dopo tante lotte, a inalienabile diritto acquisito da esibire sull’altare dell’egualitarismo.
Seguendo un trend ormai costante, il sistema scolastico italiano sembra aver rinunciato a parole d’ordine quali merito e competenza: piegato alla gerontocrazia, inchinato a un collettivo appiattimento verso il basso della preparazione, incapace di rapportarsi in modo proficuo con il sapere globalizzato, l’Italia è il Paese della certificazione e dell’autocertificazione, dove ciò che conta non sono le referenze ma l’autoreferenzialità, e l’illusione del credersi bravi vale più del dimostrare d’esserlo. «Lasciate che i nostri figli crescano alti, e alcuni più alti degli altri, se saranno in grado di farlo», sosteneva Margaret Thatcher. Anziché creare i leader di domani, creiamo persone deboli, già abituate a dribblare gli ostacoli anziché superarli: ad avere, pigre, la strada in discesa, senza conoscere il piacere di una salita. La riforma dell’esame di maturità è solo l’ultimo tassello di un mosaico che ha persino messo in discussione la possibilità di bocciare alle elementari: come riporta l’Ansa, il ministro della Giustizia Andrea Orlando aveva chiesto di inserire esplicitamente tale divieto in uno dei decreti attuativi. La formula finale riporta che “l’alunno possa essere non ammesso solo in casi eccezionali e comprovati”: insomma, anche la bocciatura a quanto pare è considerata vintage dalla scuola buonista. Il diritto alla mediocrità chiama il diritto alla promozione: perché bisogna rispettare l’italica tradizione di appendere al muro pezzi di carta in molti casi vuoti, necessari per dare all’ignoranza di Stato il crisma della legalità. Intanto, i test PISA mostrano che i problemi cronici del sistema scolastico – come, ad esempio, il persistente divario territoriale di preparazione – rimangono insoluti.
La vera riforma di cui avrebbe bisogno il Paese è l’abolizione del valore legale del titolo di studio. Si tratterebbe di un grande atto di saggezza, ma soprattutto di libertà, in nome di una vera concorrenza tra atenei. La scuola non può continuare essere un ammortizzatore sociale distributore di certificati d’autostima. Occorre rimettere l’individuo al centro del percorso formativo, e donargli una rinnovata consapevolezza. In un mercato del lavoro sempre più competitivo, occorre sgomitare, dimostrare doti caratteriali e gestionali, creatività, inventiva, risolutezza. Accanto al percorso scolastico, occorre sviluppare attitudini che nessun istituto può né potrà mai insegnare. È illusorio pensare che un titolo di studio, magari ottenuto col massimo dei voti, possa rappresentare un passepartout per un’automatica e completa realizzazione professionale. L’arricchimento culturale deve andare di pari passo con una personale maturazione delle abilità individuali.
E’ opportuno ricordare le parole dell’unico liberale dell’Assemblea Costituente, Luigi Einaudi, che si batté – invano – per un’altra visione della scuola: «Libertà d’insegnamento ed esami di Stato sono concetti incompatibili. Esame di Stato vuol dire programma, vuol dire interrogazioni prestabilite su materie obbligatorie; vuol dire certificato rilasciato da uomini investiti legalmente di un pubblico ufficio in nome di una determinata autorità pubblica detta Stato, certificato il quale attesta che il tale ha subìto certi dati e non altri esami su certe materie prestabilite in regolamenti emanati da quella certa autorità. […] Finché non sarà tolto qualsiasi valore legale ai certificati rilasciati da ogni ordine di scuole, dalle elementari alle universitarie, noi non avremo mai libertà d’insegnamento».
*Federico Cartelli, collaboratore Charta minuta