L’Occidente è sempre più sotto attacco? Smetta di subire e impari da Israele
L’Occidente ancora nel mirino. L’ennesimo attentato che ha scosso Londra nei giorni precedenti alle elezioni, e forse ancor di più quel moto irrazionale e convulso che ha investito la folla di Torino, mettono di fronte l’opinione pubblica ad alcune scomode, amare realtà. Realtà che è più saggio prendere di petto, anziché persistere in un infantile nascondino.
Il terrorismo islamico riesce, ormai, a colpire con drammatica regolarità in territorio europeo, nonostante i roboanti proclami istituzionali europei e mondiali che puntualmente vengono veicolati a caratteri cubitali dopo ogni carneficina. Le bellicose quanto vuote dichiarazioni d’intenti delle classi dirigenti non si sono tradotte in provvedimenti concreti e coraggiosi in grado di segnare una netta inversione di tendenza nei confronti di politiche che per troppo tempo hanno tollerato gli intolleranti. Nascosti dietro il feticcio della democrazia liberale, i predicatori d’odio hanno piantato indisturbati i loro semi malati, e ora raccolgono con soddisfazione un abbondante raccolto di morte. Perché se è vero che nel Medio Oriente l’offensiva militare nei confronti dell’ISIS registra dei notevoli successi – seppur con una variabile e imprevedibile frammentazione delle alleanze – i foreign fighters arrivati in Europa dalla Siria, dalla dall’Iraq e anche dalla Libia si sono ugualmente attivati, come marionette malate pronte a rispondere ai comandi del burattinaio.
Tuttavia, è necessario constatare che non si tratta solo di combattenti provenienti dal Medio Oriente e dal Nord Africa: spesso, infatti, sono giovani di seconda, terza generazione, che sono nati – e vivono da tempo – in Europa. Questi ragazzi sono il simbolo del fallimento di un modello d’integrazione che prevede tanti diritti e pochissimi doveri, e del lungo sonno di un Occidente che si è cresciuto in casa i suoi nemici, cullandosi nell’illusione di una pace perpetua. Un Occidente anestetizzato che senza battere ciglio ha consentito – e consente – a queste marionette di propagandare tranquillamente le proprie convinzioni malate e di fare proselitismo sotto la luce del sole. Come accaduto con uno dei terroristi di Londra, ripreso in un documentario mentre era bellamente intento a dispiegare il drappo nero dell’ISIS in un parco pubblico. O come successo prima della recente partita di calcio tra Australia e Arabia Saudita, dove i giocatori arabi non hanno rispettato il minuto di silenzio per le vittime di Londra, sotto gli occhi pigri della FIFA.
La domanda da porsi è la seguente: dinanzi a un’ideologia così feroce, quale arsenale valoriale può opporre questa società occidentale, smarrita e nichilista? Può opporre solo risposte prettamente emotive e indissolubilmente legate all’esibizionismo, a quell’ossessione per il sè che è la vera malattia dei nostri tempi. Largo a concerti, hashtag, marce e fiaccolate, spesso buoni per una passerella di stelle e stelline pronte a raccogliere le lacrime dei propri follower per convertirle in like. Queste adunate, maldestri tentativi di collettivizzare e condividere un dolore reale, non sono altro che che chiassose prove di alienazione dal problema. Sono riti stanchi e ripetitivi; e intanto, il problema che si voleva ignorare continua a crescere.
La piazza di Torino ha dimostrato che i terroristi hanno già raggiunto uno dei loro scopi: condizionare le nostre vite. E’ un Occidente a cui tremano le gambe molto facilmente: si diceva che non ci saremmo mai abituati a convivere con il terrorismo, in realtà lo stiamo già facendo. Abbiamo già accettato che il terrorismo sia parte dei nostri tempi. Abbiamo anche provato ad affermare che l’Islam non c’entra: invece c’entra, eccome. Perché se affermare che tutti i musulmani sono terroristi è esagerato, non è affatto esagerato asserire che anche questi terroristi rappresentano l’Islam. L’Islam non è solo terrorismo, ma è anche terrorismo. Ma le dispute fra i grandi intellettuali occidentali ci impedisce di condividere persino una tale banalità.
Quali soluzioni adottare, allora? La risposta non risiede certo in questo persistente atteggiamento passivo nei confronti del terrorismo e degli intolleranti. Israele ha insegnato al mondo che si può, sì, convivere con il terrorismo, ma di certo non per subirlo: che talvolta è necessario reagire con fermezza a una minaccia così spietata. Non solo con le armi e con il lavoro di intelligence, ma anche escludendo dalla nostra società, senza paura dei tribunali del politicamente corretto, coloro che diffondono un’ideologia malata e rifiutano di integrarsi.
*Federico Cartelli, collaboratore Charta minuta