Otto ragioni per il NO MES
MES è l’acronimo italianizzato di European Stability Mechanism, ovvero di un’istituzione finanziaria internazionale istituita con un Trattato firmato da tutti i 19 membri della cosiddetta ‘eurozona’, ovvero i Paesi aderenti all’Unione Europea che hanno adottato come moneta comune l’euro. I 19 paesi si sono impegnati a contribuire al fondo comune in misure diverse: l’Italia vi partecipa con un impegno finanziario complessivo di 125 miliardi circa di euro, in parte già versati nelle casse dell’istituzione con sede a Lussemburgo.
Alle origini è dunque un Trattato, entrato in vigore nel 2012 allo scopo «di fornire, laddove necessario, l’assistenza finanziaria agli Stati membri della zona euro» e specificamente a quegli Stati (art. 3) che si trovino in «gravi difficoltà finanziarie» e che quindi potrebbero contagiare anche gli altri paesi mettendo a rischio la stabilità monetaria dell’eurozona. Prima dell’entrata in vigore del MES il Consiglio Europeo ha così novellato l’art. 136 del Trattato di Lisbona sul Funzionamento dell’Unione (TFUE): «Gli Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità dell’intera zona euro. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità».
A fondamento giuridico del MES non è dunque solo il Trattato intergovernativo (di fatto un trattato internazionale) che lo ha istituito, ma lo stesso Trattato di Lisbona come modificato con decisione 2011/199/UE. Il Trattato in vigore è dunque parte integrante, specificamente per quanto riguarda la «rigorosa condizionalità» cui sono soggetti i prestiti, del Trattato di Lisbona. In due parole: per modificare la ratio del MES occorre modificare, a partire da una proposta del Consiglio Europeo (iter complesso), il Trattato che fonda l’Unione Europea.
Prima verità: il MES è giuridicamente in vigore oggi come dieci anni fa, secondo quanto stabilito nei Trattati (di Lisbona e del MES).
A cosa serve il MES? A garantire la stabilità finanziaria della zona dell’euro, in quanto la moneta è unica per tutti i 19 paesi che l’hanno adottata. È interesse di tutti i paesi della zona euro che nessun paese che ha adottato l’euro fallisca, nel senso che possa innescarsi una «crisi di fiducia» verso l’euro. Il MES, in quest’ottica, è parte di una strategia più complessa e si integra con altri strumenti tecnici previsti e istituiti, come il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’unione economica e monetaria (TSCG) approvato anche dall’Italia.
Seconda verità: il MES è un meccanismo complesso, che non può essere modificato nella sua struttura e nella sua ratio giuridica, ma solo in via temporanea per impreviste necessità esterne all’area euro.
Il MES non è soltanto un meccanismo endo-europeo, ma prevede anche, sempre al fine della stabilità finanziaria e quindi monetaria, la possibilità che lo Stato in difficoltà si rivolga contemporaneamente al Fondo Monetario Internazionale. I prestiti erogati dal MES e dal Fondo Monetario internazionale costituiscono in testa al MES e al FMI la figura di creditore privilegiato, in primis addirittura il FMI. Uno Stato che chieda il finanziamento MES dovrà obbligatoriamente rimborsare prima il FMI, poi il MES e solo dopo per esempio gli investitori istituzionali e i privati.
Terza verità: la cosiddetta Troika non può giuridicamente essere esclusa perché è formalmente prevista nel Trattato.
Il potere di decisione, fino a quando è in vigore il MES, è nelle mani dei governatori (uno per paese aderente) e non dipende da lettere di questo o quel commissario. Ogni modifica deve essere adottata dai governatori, sia per quanto riguarda le condizionalità sia per quanto riguarda i tassi debitori ed altre eventualità relativa alla forma del prestito e alla sua quantità (anche in dipendenza dalle condizioni del singolo richiedente). Il Board dei Governatori (che sono poi i ministri delle finanze dei singoli paesi) ha effettivamente deciso, su invito della Commissione, l’8 maggio 2020, di destinare 240 miliardi di euro agli Stati membri che ne facessero richiesta per fare fronte alle necessità economiche in campo sanitario derivanti dalla pandemia di Covid-19 (il cosiddetto “MES sanitario”). Si tratta di una piccola parte di quanto il MES dispone sulla base di quanto gli Stati hanno già dato e devono ancora dare al fondo MES (compresa l’Italia, che contribuisce per il 17% circa). Senonché la delibera del Board è però oggettivamente ambigua, configurando una forma di cosiddetto “soft law”, in quanto da un lato dice che questo specifico prestito non è soggetto a condizionalità “macroeconomiche”, ma ribandendo, nello stesso testo, la vigenza dell’art. 13 del Trattato relativo alla «sorveglianza rafforzata» (Enhanced Surveillance) da parte della Commissione, la quale dovrà, ogni tre mesi, fare rapporto al Board del MES per consentire ulteriori prelievi dalla linea di credito.
Quarta verità: il MES ha destinato una parte dei suoi fondi (240 miliardi di euro) agli Stati che dovessero farne richiesta per esigenze connesse al contrasto al Covid-19 e in genere alla sanità, ma sull’uso di questi fondi sorveglierà in maniera rafforzata la Commissione Europea, restando in vigore la norma per cui si procederà ad autorizzare il prelievo a tranches mensili.
Aver destinato una parte del fondo in dotazione al MES alla sanità di quegli Stati che ne facessero richiesta non ha radicalmente modificato il Trattato in vigore. La decisione dell’Eurogruppo di destinare 240 milioni alla sanità si discosta oggettivamente dalla prassi consueta solo per un punto, perché concordemente hanno stabilito che tutti i 19 paesi hanno già i requisiti necessari per chiedere il prestito e non c’è bisogno di altri esami preliminari sulla capacità del singolo stato di restituire i soldi concessi.
Quinta verità: il MES dà i soldi a tutti sic stantibus rebus, ma nulla viene detto sulle future condizioni dei singoli Stati, nel senso che la concessione delle ulteriori tranches, sia pure a scadenze ravvicinate, dipenderà dai giudizi che verranno dati dopo l’espletamento della “sorveglianza rafforzata” da parte della Commissione.
La parte relativa ad ogni Stato verrà concessa in tranches mensili non superiori al 15% della somma complessiva stanziata su richiesta dello Stato, per cui nemmeno i soldi del MES (36 miliardi per l’Italia) sarebbero disponibili tutti e subito.
Sesta verità: i soldi – e questo non so quanti lo hanno capito – non vengono dati tutti, ma si stanzia il fondo di spettanza dello Stato dal quale lo Stato attinge mensilmente per un importo non superiore al 15% in base alle finalità decise e comunicate al Board.
Per avere i soldi gli Stati devono presentare al Board del MES un piano specifico relativo a dove, come e perché hanno bisogno di quegli specifici denari. La richiesta deve essere dettagliata. Qui si tratta di esplicitare, nero su bianco, che si vogliono comprare tot ventilatori polmonari per l’ospedale San Qualcosa di Pincopallino. Dubito che le regioni e lo Stato italiano, purtroppo, siano attrezzati tutti allo stesso modo.Si tratta da parte dell’UE di una logica e corretta richiesta: se vuoi i soldi per una ragione specifica devi dirmi quanti e a chi li dai.
Settima verità: i soldi sono non solo vincolati, ma soprattutto condizionati a specifiche destinazioni, non genericamente “sanitarie” ma concretamente identificabili.
Per suo compito istituzionale, però, il MES non è finalizzato ad aiutare finanziariamente gli Stati per le loro emergenze sanitarie, ma ad aiutare gli Stati in difficoltà finanziarie generali, come sarebbe se l’Italia non riuscisse a procurarsi a prestito sui mercati i soldi necessari per pagare poliziotti, pensionati, medici, professori ecc. Proprio per questo la “sorveglianza rafforzata” verrebbe a cessare nel momento in cui venisse a cessare l’emergenza sanitaria, ma nel senso che tornerebbero in vigore tutte le «rigorose condizionalità» previste dai Trattati e non solo (e questa è anche già qualcosa, anzi molto) la “sorveglianza rafforzata” pure prevista per il “MES sanitario”. Poiché tutti ci auspichiamo che il virus Covid-19 scompaia come quello della Sars del 2002, ove questo succedesse l’Italia si troverebbe a dover restituire i quattrini presi (ma forse nemmeno tutti perché tutti non ce li avrebbero dati per la nota ignavia di certe burocrazie locali e tra l’altro, certamente, alcuni di questi denari sarebbero andati “persi e spersi”) ad un «creditore privilegiato» (quindi prima che a tutti gli altri) secondo le norme in vigore del Trattato MES.
Ottava verità: finita l’emergenza sanitaria tornerebbe o potrebbe tornare proprio la famigerata Troika.
In conclusione, le ragioni per chiedere questo prestito a tasso quasi zero ci sarebbero tutte se l’Italia avesse un debito sovrano intorno al 100% del Pil, ma in questo caso, paradossalmente, non ne avrebbe bisogno perché si finanzierebbe a tassi negativi, come la Germania. Purtroppo il nostro paese si avvia a passi di gigante verso il 160% di debito sul Pil, mettendo seriamente a rischio la capacità dello Stato di rifornirsi sul mercato dei capitali anche per la totale insufficienza delle misure prese dall’attuale governo, che tutto ha fatto tranne che impedire il crollo della produzione di ricchezza. Chiedere il prestito perché l’Eurogruppo ha detto sua sponte che siamo tutti in grado di restituirlo non è sufficiente a garantire i mercati reali di qui a 12-18 mesi, quando, ad emergenza terminata, torneranno in vigore tutte le «rigorose condizionalità» previste dal Trattato vigente, rigorose condizionalità alle quali l’Italia, al momento, non sappiamo se sarà in grado di adempiere.
Il rischio è una ristrutturazione del debito imposta dall’Unione Europea, con manovre modello Grecia lacrime e sangue su stipendi e pensioni pur essendo le ragioni della crisi diverse tra il caso Grecia e un ipotetico “caso Italia”. Personalmente, infatti, ritengo che il rischio di una perdita di sovranità nazionale non dipenderebbe da ragioni prevalentemente finanziarie, ma da motivazioni politiche, specificamente nel caso – e solo nel caso – che al governo ci fossero forze politiche non gradite a Bruxelles. Chiedere i soldi del MES, oggi come oggi, potrebbe essere favorevole a condizione che al governo restino il Pd e i grillini, perché Bruxelles e Berlino ritengono che gli eredi di Berlinguer siano politici funzionali al discorso finanziario dell’Unione Europea (il famoso mercato “libero e senza vincoli” quale transizione allo Stato mondiale dei diritti umani preconizzato in buona o mala fede nei Trattati). Diverso il discorso se al governo dovesse andare una forza nazionale e fautrice della sovranità nazionale come, per esempio, FdI o la Lega.
In questa prospettiva lascia perplessi la posizione favorevole al MES di Forza Italia. Che gli eredi di Berlinguer siano oramai diventati in nome del “liberalismo”, servi del capitale internazionale è cosa nota. Mi chiedo se Silvio Berlusconi – se non altro perché lui è il capitale – possa avere la stessa prospettiva politica dei D’Alema, Gualtieri, Conte & Co.
In conclusione, le otto verità che abbiamo elencato dovrebbero se non altro suggerire un supplemento di riflessione ed anche un obbligo di informazione, perché tutto quello che abbiamo detto lo si può leggere o ricavare dal sito del MES. Certo, in inglese, come quanto segue, tratto proprio dalla pagine dell’Esm e che sigilla tutto quanto abbiamo fin qui detto: «Following the end of the COVID-19 crisis, euro area Member States would remain committed to strengthen economic and financial fundamentals, consistent with the EU economic and fiscal coordination and surveillance frameworks, including any flexibility applied by the competent EU institutions».
Giorgia Meloni dice che il MES è una “trappola”. Se non lo è, ha però certamente tutti i requisiti necessari perché qualcuno possa, a tempo debito, farla scattare.