Più forza alla sfida culturale
Da “eretici” lettori di Antonio Gramsci non dobbiamo dimenticare, particolarmente oggi, sull’onda del risultato elettorale, l’importanza della “battaglia delle idee”. Almeno per la parte che riguarda la teoria del potere culturale, Gramsci offre spunti ineguagliabili (di metodo, ovviamente), per capire non solo come si sia mossa la vecchia sinistra alla conquista del potere culturale, potere che, in parte, continua ad essere una sorta di sua ultima ridotta, ben radicata nelle università, nella Scuola, nelle case editrici, nei mass media, nel mondo dello spettacolo, nelle diverse articolazioni culturali locali e nazionali. articolazioni culturali locali e nazionali.
Ci dice Gramsci: attenzione lo Stato non si regge solo – come voleva la vulgata marxista-leninista – su un apparato di coercizione ma anche grazie all’attività del potere culturale, all’adesione degli spiriti ad una concezione del mondo che consolida e giustifica il potere politico.
Sulla base di questa consapevolezza, il filosofo sardo teorizza la strategia dell’”egemonia culturale”, in grado di guadagnare la società a valori alternativi a quelli imperanti e di farla vacillare sulle sue basi.
Di fronte a questa vera e propria “guerra culturale”, è evidente che non si può pensare di lasciare tutto al caso, ma vanno sviluppate le doverose contromisure. In che modo? Organizzando la cultura, là dove – usiamo la terminologia gramsciana – la “guerra culturale” è in atto. E mai come oggi, anche sull’onda del successo elettorale del centrodestra, a guida Giorgia Meloni. Vincere sul piano dei voti è certamente importante, ma non sufficiente, laddove la sfida politica va anche sostanziata sul campo delle visioni lunghe, dei principi inalienabili, delle suggestioni collettive, capaci di dare ulteriore forza e radicamento al risultato delle urne.
Ci si attrezzi perciò – è il nostro invito e la nostra “provocazione” – in modo metodico allo scontro culturale, si affinino , da destra, le tecniche di comunicazione, si veicolino idee piuttosto che invocare censure, si accendano emozioni e suggestioni piuttosto che lamentarsi di un potere culturale egemonizzato da sinistra, si organizzino campagne d’opinione piuttosto che subire quelle altrui. In questo senso possono essere decisive le Fondazioni (come Fare Futuro) luoghi di confronto e di elaborazione non legati alla quotidianità politica, ma fucine di progetti per un futuro che non sia scritto sull’acqua o limitato alla gestione delle emergenze.
Sia chiaro: noi non crediamo che l’egemonia culturale debba prevaricare la maggioranza politica e parlamentare. E tuttavia, proprio per evitare che quest’ultima subisca – come è già accaduto nei decenni scorsi – l’assedio mediatico e culturale, lanciamo la provocazione e chiediamo le doverose contromisure: “leggiamo” Gramsci ed attrezziamoci di conseguenza, a cominciare dal territorio, dall’associazionismo non omologato, dagli insegnanti non allineati, dagli uomini e dalle donne culturalmente liberi, dai giovani creativi, dal movimentismo diffuso soprattutto nella “Rete”. Diamo voce e strutture a questo mondo, diamogli strumenti ed “organizzazione”, spazi e voce. Ne va della difesa del pluralismo reale, che non può essere solo quello politico, legittimato dal consenso delle urne.
Quindi cultura dell’appartenenza e dell’identità, ma anche cultura che sa “mettersi in gioco”, che sa misurare le proprie capacità verso una realtà in continua trasformazione, cultura che sa interpretare, ma anche innovare, evitando di svolgere una semplice opera di “testimonianza” o, nei casi migliori, impegnata in una rilettura critica della realtà, sulla scia di una nobile tradizione anticonformista, che individuava proprio nella modernità il “vulnus” rispetto al vecchio-vero Ordine.
La vera sfida è l’azione creativa: la capacità-possibilità non solo “denunciare” i limiti di un mondo in trasformazione, ma anche di informarlo alle nostre idee, di “viverlo” attraverso la reinvenzione letteraria, poetica, artistica. Non parlo, per caso, di capacità-possibilità. Se infatti gli eccessi di una “lettura” troppo spesso politologica hanno determinato il primo aspetto (la capacità), le indubbie contingenze critiche non hanno certo favorito l’espandersi della presenza creativa (le possibilità).
Occorre allora cambiare il terreno di gioco. In particolare: cinema, televisione, teatro, arte, musica. cultura di massa, cultura popolare, non necessariamente dequalificata, che certamente condiziona il sentire collettivo, che “orienta” le opinioni, che può “informare”, cioè “dare forma”, ad una collettività, anche intorno a nuovi modelli identificativi o meglio ancora al recupero di un’identità profonda.
Pensiamo all’idea di Patria, insieme alla ricchezza delle culture locali, al senso del Sacro, al valore del Bello. Consideriamo questi elementi come i fattori costitutivi della nostra Storia, quella che ci parla agli angoli dei nostri borghi, dall’alto dei mille campanili, nelle piazze, nelle feste, nei riti dell’Italia profonda. E proviamo a mettere tutto questo patrimonio in confronto dialettico con la realtà contemporanea: radicamento vs. spaesamento; pathos vs. disincanto; partecipazione vs. egoismo; comunità vs. burocrazia; sacro vs. materialismo; merito vs. egualitarismo; bellezza vs. degrado e così via. Vi troveremo più di un’ipotesi di lavoro, nel segno di un’idea di cultura “alta”, intorno alla quale avviare una profonda opera di ricostruzione nazionale.
Se la sfida politica e di governo è aperta, quella culturale è apertissima e non meno importante. Bisogna esserne consapevoli ed agire di conseguenza, coniugando finalmente scelte contingenti e grandi prospettive d’assieme, buon governo e visioni lunghe: una partita a tutto campo insomma, nella quale il centrodestra, guidato da Giorgia Meloni, ha le carte in regola per vincere anche la sfida delle idee.