Piu’ infrastrutture tecnologiche per sostenere la ripartenza
Se si può trarre qualcosa di buono da questo periodo particolarmente buio e difficile per il nostro Paese e il mondo intero, è la consapevolezza di poter contare sulle tecnologie per sopperire almeno in parte al distanziamento sociale cui ci ha relegato questo maledetto virus. Grazie ai nostri smartphone possiamo continuare a mantenere il contatto, anche visivo, con i nostri cari, con gli amici e in generale con il mondo esterno al perimetro del nostro salotto. Un surrogato di vita reale che, però, di questi tempi è già molto. Non solo, la tecnologia consente oggi ai nostri figli di poter continuare le lezioni scolastiche, le verifiche e le interrogazioni a distanza. Di questo loro sono meno contenti ma per lo meno non perdono il contatto con la realtà e, soprattutto, non compromettono l’anno di scuola. Inoltre ci stiamo rendendo conto di quanto si possa fare anche in termini lavorativi
grazie alla connessione e grazie alle piattaforme di lavoro, di condivisione di strumenti e progetti; grazie insomma a quel cloud di cui tanto abbiamo sentito parlare negli anni scorsi e che, oggi, torna terribilmente utile. Certo nulla, soprattutto per noi italiani, potrà mai sostituire il contatto umano, una stretta di mano, una riunione in plenaria, un confronto diretto, però anche qui una riflessione sulla produttività si impone, per l’oggi e per i tempi a venire. Non sappiamo che mondo troveremo, quando tutto questo finirà, ma sappiamo che avremo un alleato in più, per affrontare la ripartenza, nella tecnologia. Non che prima non si sapesse, ma oggi è tutto plasticamente più chiaro e concreto. Ed ecco perché deve rimanere nell’agenda politica, pubblica ma anche nella società nel suo insieme, una chiara determinazione nel superare il gap che ancora esiste tra l’Italia e gli altri paesi europei, nonché tra l’Europa e il resto del mondo più evoluto, in materia di infrastrutture tecnologiche. Il Digital European Services Index (DESI), nell’ultimo rapporto risalente ad un paio di anni fa, collocava l’Italia nelle posizioni meno nobili per collegamenti veloci alla rete; oggi probabilmente la situazione è diversa ma resta una sorta di arretratezza storica e anche culturale del nostro Paese in questo ambito. Una arretratezza che riguarda sia le famiglie che le imprese, soprattutto PMI, queste ultime sempre concentrate nel fare ottimi prodotti ma sempre poco orientate sugli aspetti tecnologici di servizio, oggi imprescindibili. Anche in questo caso il Digital Economy and Society Index attestava, un paio di anni fa, il venticinquesimo posto delle imprese italiane in Europa; dietro di noi solo Grecia, Romania e Bulgaria, con ripercussioni importanti sulla competitività e sulla propensione all’export. Sempre in quel periodo, infatti, l’export nazionale via web rappresentava solo il 4% del totale, generando comunque un valore non trascurabile di 6 miliardi di euro. Questo ci può dare l’idea dell’enorme potenziale ancora inesplorato, se solo saremo in grado di mettere a regime l’accelerazione tecnologica forzata di questo periodo. Resta il tema delle grandi reti infrastrutturali, ancora carenti, sulle quali il Sistema Paese deve fare la propria parte. Del resto, se nel periodo della ricostruzione industriale italiana del secolo scorso, le infrastrutture materiali erano l’asset strategico, quelle tecnologiche possono e devono rappresentare un asset strategico in quella che si delinea come la più importante opera di ricostruzione economica di questo secolo, per rilanciare l’Italia del domani. Oggi siamo chiamati a ripensare il domani, non perdiamo la grande opportunità di rimanere tra i protagonisti del mondo che verrà, programmando fin da ora il futuro.