Preghiere in piazza e moschee: la (vera) posizione della Chiesa
Non solo recessione. Le luci del Natale trascorso hanno evidenziato le ombre del mondo presente, insidiato dal terrorismo internazionale, e l’insicurezza dell’Occidente, stordito dai continui flussi migratori e in profonda crisi identitaria. Le cronache dei giorni di festa hanno registrato una significativa sequenza di eventi: la morte di Samuel Huntington, profeta del clash of civilizations, e l’ennesima guerra in Medio Oriente. Un giorno prima dell’Epifania, poi, a conclusione della marcia anti-Israele, la preghiera islamica in piazza Duomo a Milano con relative polemiche (“provocazione!”, “mancanza di sensibilità!”) e lettera di scuse alla Curia da parte delle comunità islamiche milanesi. Nel mezzo la “Notte santa”, celebrata e rappresentata con il tradizionale presepe. Un presepe che, a dire il vero, non è stato poi così tradizionale. Almeno in alcune parti d’Italia: alle porte di Milano, in una scuola, il Bambino Gesù è stato sostituito da un marziano sceso sulla terra con un disco volante; a Bergamo, un parroco lo ha tolto del tutto; a Genova e Sestri Levante, invece, nelle raffigurazioni della Natività sono comparsi minareti, moschee e il “muro di Betlemme”. A Venezia, il “presepe con la moschea” ha ricevuto il placet del cardinal Scola: «è chiaro che se vogliamo rispettare il presepe nella sua genesi, quando è venuto Gesù l’Islam non c’era. Ma da sempre c’è la tendenza ad attualizzare il presepe». E oggi, ha spiegato il Patriarca veneziano, bisogna fare i conti con il “meticciato di civiltà”. Molti fedeli non hanno comunque gradito e tra le gerarchie ecclesiastiche italiane è in corso una profonda riflessione sulla “questione moschee”.
All’inizio di dicembre, dopo l’arresto di presunti terroristi musulmani a Milano, il dibattito era stato provocato dall’annuncio da parte della Lega di una mozione parlamentare anti-moschee e di una proposta di legge molto precisa: moratoria sull’apertura di nuove moschee fino all’approvazione di una legge che ne disciplini la materia; potere alle Regioni sulla decisione di aprire o meno nuovi luoghi di culto e referendum tra i cittadini prima di avviare i lavori; edificazione di moschee ad almeno un chilometro di distanza da chiese e sinagoghe; iscrizione presso un registro ad hoc del Ministero dell’Interno degli imam e delle varie guide spirituali.
In merito, il Vaticano si è espresso con la sua consueta unità di giudizio, sempre disponibile al confronto tra le varie opinioni: sì all’apertura di nuove moschee in Italia, ma le autorità pubbliche devono verificare il corretto svolgimento delle attività religiose. «Il luogo di culto in quanto tale è sempre sorgente di comunione e dialogo – ha dichiarato monsignor Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura –, sede di una presenza spirituale autentica; d’altra parte questo non deve diventare un modello diverso. Se diventa qualcosa di diverso, infatti, la società civile ha diritto di intervenire e verificare». In altri termini, il luogo di culto ha una natura “spirituale”, ma attenzione agli abusi ideologici. Soprattutto nel caso delle moschee, delle quali il gesuita arabo Khalil Samir, in un articolo pubblicato sulla Civiltà Cattolica nel marzo 2001, sottolineò la “realtà multivalente” di “luogo di preghiera” e “decisione politica”. A Ravasi ha fatto eco il “collega” Jean-Louis Tauran, cardinale e presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo inter-religioso: «in tutte le convenzioni internazionali in cui si parla di libertà di religione c’è sempre una clausola in base alla quale le autorità dello Stato hanno il dovere di verificare che la libertà di religione esercitata da una comunità non metta in pericolo la libertà di altre comunità e che la sicurezza e l’ordine pubblico siano sempre garantiti».
Diverso è l’approccio del cardinal Tettamanzi, arcivescovo di Milano, che all’indomani degli avvenimenti di piazza Duomo ha fatto sapere di considerare la preghiera «un diritto inalienabile di ogni uomo, di qualsiasi religione» riconoscendo però come in quell’occasione alla preghiera si siano uniti «elementi estranei alla religione e alla spiritualità». Ed è ancora viva la sua polemica sul trasferimento della moschea di viale Jenner deciso in luglio dal ministro Maroni. Presentando il programma pastorale dell’anno, Tettamanzi ha menzionato l’articolo 19 della Costituzione: «non compete a noi della chiesa trovare spazi, fornire strumenti per il culto dei fratelli musulmani. Ma risolvere questo problema è un dovere istituzionale dettato dalla Costituzione, basato sul principio della libertà di culto e della libertà religiosa, che tutti i pontefici dal Concilio hanno definito “principio di ogni altra libertà”». Ben oltre il monito del titolare della Cattedra ambrosiana sono andati i Frati Cappuccini di Genova. Risale all’ottobre del 2006, infatti, la trattativa per la “permuta” di terreni della fondazione Sorriso francescano a favore della realizzazione di una moschea. Meno condiscendente è, invece, la posizione del cardinal Biffi, arcivescovo emerito di Bologna, teologo e predicatore della Casa Pontificia. Anni fa esortò i politici a gestire i flussi immigratori “privilegiando i cattolici”, “per salvare l’identità della nazione” italiana anche dalla “visione integralista della vita pubblica” dei musulmani. Insomma, Oltretevere si ragiona e si discute attentamente. La linea prevalente è quella dell’apertura cum judicio. Se la libertà di culto è un diritto sacrosanto riconosciuto a tutti gli italiani dalla Costituzione, anche i cittadini di religione islamica devono poterlo esercitare, senza collusioni con il fondamentalismo politico, nel rispetto delle leggi e nella pacifica convivenza con le altre fedi.