Quel messaggio millenario da San Pietro
L’immagine grandiosa e biblica del Papa in una Piazza San Pietro deserta ha commosso tutti, anche chi fino alla settimana scorsa aveva criticato Francesco per le sue interferenze antisovraniste, per le insistenze sugli gli immigrati, per le sue interlocuzioni con Scalfari o persino con Fabio Fazio.
Nello scenario di Piazza San Pietro non c’era solo o non cera più Francesco, c’era il Papa, il vicario di Cristo che innalza il Santissimo Sacramento, carne e sangue di Dio fatto uomo. Immagine che molti hanno sentito come potenza e forza della Chiesa, della fede e dell’uomo. Altri come fragilità umana di fronte alla violenza della natura, come un grido disperato nella solitudine sotto la gelida luce della sera e sullo sfondo una città muta e lontana.
Una benedizione urbi et orbi fuori dai canoni tradizionali, l’offerta del Santissimo, della speranza, al mondo che ha fede o semplicemente a chi la benedizione accetta. Una benedizione muta e solitaria che ha avuto come colonna sonora il suono delle campane e in lontananza le sirene delle ambulanze. Non il rituale della tradizione di Santa Romana Chiesa, non le parole che tornano alla memoria, quelle delle solenni cerimonie Urbi et Orbi di Giovanni Paolo II il Santo di fronte alle grandi folle, ai milioni di giovani: “Benedictio Dei omnipotentis Patris et Filii et Spiritus Sancti discendat super vos et maneat semper”.
Ma la forza della Chiesa, antica di duemila anni di storia, va oltre il Papa regnante, va oltre le parole e forse anche oltre le immagini. Raggiunge e tocca il cuore del mondo, la società, anche la nostra che sta attraversando un momento difficile e che in prospettiva intravede stagioni ancora più drammatiche.
Sono già lontani i giorni delle bandiere al vento e dei canti ai balconi. Il tempo passa e l’entusiasmo si affievolisce. La paura si sta tramutando in rabbia. Tanta gente sente solo il peso dei divieti, mentre ancora mancano attrezzature necessarie a salvare vite umane, non solo respiratori, mancano addirittura le mascherine.
Non c’è chi non tema per il suo lavoro o per quello dei figli quando tutto questo sarà finito. Il futuro è drammatico e il presente non lo è di meno. Non tutti possono vivere tranquilli aspettando lo stipendio o la pensione accreditati in questi giorni di fine mese sui propri conti. Negozianti, artigiani, lavoratori di tanti settori che ogni giorno devono trovare come guadagnare il pane quotidiano sono prossimi alla disperazione. Se il governo che ci hanno affibbiato contro la volontà della maggior parte degli italiani non riesce al più presto a trovare il modo per aiutare chi ha bisogno e sono tanti, il rischio di una tensione sociale, già registrata in alcune aree del Paese, diventa concreto.
Cercano di correre ai ripari con pannicelli caldi, anticipo di fondi ai comuni e 400 milioni per buoni spesa. Iniziativa insufficiente che alimenta una speranza che potrebbe tramutarsi entro due settimane in delusione e amarezza. Il governo promette. Dobbiamo fidarci di Conte, di Casalino e compagni?
Attenti alla rabbia del popolo. Anni fa, nel 1972, il governo di allora mandò i carri armati a Reggio Calabria per mettere fine alla rivolta. Nel 2020 i blindati potrebbero servire solo a difendere i palazzi dei potenti dalla collera di un popolo