Rapporto Oxfam: la disuguaglianza economica diventa slogan
Il rapporto Oxfam – disponibile qui – ogni anno mette in fila, con criteri alquanto discutibili, numeri e dati sulla disuguaglianza. Al di là delle buone intenzioni, tale studio serve più che altro a foraggiare i professionisti dell’indignazione. L’obiettivo reale è demonizzare il capitalismo, attraverso massicce dosi di slogan a effetto. «È necessario un profondo ripensamento dell’attuale sistema economico che fin qui ha funzionato a beneficio di pochi fortunati e non della stragrande maggioranza della popolazione mondiale». Parole apparentemente nobili, e senz’altro efficaci nel far crescere i già smisurati sensi di colpa degli occidentali.
Tuttavia, la visione tetra e disfattista presentata dal rapporto Oxfam non corrisponde al vero. Al contrario, è solo un’interpretazione mistificatoria e ideologica della realtà. Il titolo stesso del rapporto, «Un’economia per il 99%», suggerisce un’idea esagerata e parziale della disuguaglianza economica. Secondo Oxfam, viviamo in un mondo sempre più ingiusto e indifferente ai bisogni dei più poveri. Non è così.
Come riporta Truenumbers, il numero di persone che vivono nell’estrema povertà – ovvero con meno di 1,25 dollari al giorno – si è dimezzato. Più precisamente, è sceso dai 1,9 miliardi del 1990 ai 836 milioni del 2015. Nel 1990 un abitante delle Terra su tre viveva in condizioni di povertà assoluta. Nel 2013 era soltanto uno su dieci. Nei Paesi in via di sviluppo la proporzione di persone povere è passata dal 47% del 1990 al 14% del 2015. Coloro che vivono con più di 4 dollari al giorno, nel 1991 pari a solo il 18%, ora sono la metà.
A questo consolidato trend positivo, si aggiungono altre due importanti buone notizie. La percentuale mondiale di bambini morti prima di arrivare all’età di 5 anni è stata più che dimezzata. Da 90 bambini morti ogni 1.000 nel 1990, si è scesi a 43 su 1.000 nel 2015. Inoltre, secondo la FAO, il numero complessivo delle persone che soffrono la fame nel mondo è sceso a 795 milioni. Ben 216 milioni in meno rispetto al biennio 1990-92. Dunque, la narrazione pessimista del rapporto Oxfam è del tutto inappropriata e fuorviante.
Altrettanto pretestuoso appare lo slogan utilizzato – e rilanciato pressoché dalla totalità dei media – per diffondere lo studio. «Le otto persone più ricche del mondo possiedono tanta ricchezza quanto la metà più povera della popolazione mondiale». Sono Bill Gates, Amancio Ortega, Warren Buffet, Carlos Slim Helù, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg, Larry Ellison, Michael Bloomberg. Non si tratta di sanguinari dittatori, né di assassini, né di criminali. Sono imprenditori, self-made men. Persone che hanno avuto intuizioni brillanti, e le hanno realizzate. Il loro «crimine», o colpa, è di detenere troppa ricchezza. Ma tale ricchezza non è stata rubata ad alcuno, né sottratta con la forza ai più deboli. È il frutto del loro lavoro. È profitto. Una parola divenuta, nell’assurdo vocabolario post-moderno, sinonimo di prevaricazione.
Il rapporto Oxfam omette alcune informazioni rilevanti in merito a questi biechi capitalisti. Nel 2010, Warren Buffet, Bill Gates e la moglie Melinda hanno lanciato The Giving Pledge. Tale iniziativa impegna le persone più ricche del mondo a destinare almeno la metà del proprio patrimonio alla filantropia. Hanno aderito già in 139 – tra i quali cinque degli otto multi-miliardari messi alla berlina – per un impegno di 732 miliardi di dollari. Ma ci sono atti concreti già posti in essere. Bill Gates, a fronte di un patrimonio personale di circa 85 miliardi di dollari, ne ha donati 27. Warren Buffet, a sua volta, 21,5. Carlos Slim Helù, con la sua fondazione omonima, è da tempo impegnato nel migliorare le condizioni di vita dei messicani in povertà, e sostiene economicamente i progetti del WWF per la conservazione dell’ambiente. La lista è lunga.
Pertanto, nonostante gli inutili e autoreferenziali sensazionalismi di Oxfam – che sfociano in bizzarri manifesti dal sapore politico – è sempre opportuno adottare una prospettiva più ampia. Non v’è alcuna contraddizione tra capitalismo e etica. Il capitalismo può essere etico, come dimostrano i tanti esempi in tal senso a livello globale. Non spetta a Oxfam intestarsi tale etica. Il rapporto dipinge un’immagine distorta del rapporto tra ricchi e poveri, e finisce solo coll’alimentare invidia sociale e rabbia. L’etica va coltivata individualmente, con senso di responsabilità, altruismo e condivisione.
*Federico Cartelli, collaboratore Charta minuta