È legittimo che un individuo decida di andare a morire quando, a causa di un incidente automobilistico, da un’esistenza dinamica alla ricerca di un senso, si ritrova cieco, paralizzato dal collo in giù e collegato ad un respiratore artificiale. È stato il caso di Fabiano Antoniani, in arte dj Fabo, il quale grazie a qualche migliaio di Franchi, alla sua leale compagna e al coraggioso Marco Cappato, è andato in Svizzera per usufruire del servizio di suicidio assistito. Un caso che ha fatto rumore, in quanto il giovane uomo ha tirato in ballo lo Stato che nulla fa per consentire la pratica dell’eutanasia in Italia. Uno Stato che pone i malati nella condizione di affrontare viaggi disumani e spese importanti per usufruire dei servizi nelle cliniche estere. Uno Stato latitante su tale argomento, nonostante ben sei proposte di Legge depositate in Parlamento. Uno Stato tetraplegico a sua insaputa è il caso di dire.
Una pratica, quella della eutanasia, che per molti malati terminali e per molti tetraplegici è giudicata l’unica cura ai propri mali. Mali che attanagliano l’anima e straziano il cuore; che sono giudicati, da chi li vive, peggio di un’ipotesi di morte. Insomma quando muore l’anima non ha senso mantenere un corpo immobile, è il pensiero che alberga negli angoli di lucidità dei malcapitati alle peggiori disgrazie dell’esistenza. Tuttavia come non ricordare l’attore Christopher Reeve, l’interprete di Superman, che rimase a sua volta tetraplegico, a causa di un incidente da cavallo, e si convinse a porre la parola fine alla sua vita… aveva diffuso anche a mezzo stampa tale volontà. Ma un giorno un uomo in camice bianco entrò nella sua stanza e gli gridò di voltarsi: cosa che Reeve non potè fare essendo diventato tetraplegico. Quindi l’uomo gli gridò ancora più forte di voltarsi e Reeve superata la confusione riconobbe quella voce, accorgendosi che l’uomo in camice non era un membro dell’équipe ospedaliera, ma l’attore Robin Williams, il suo amico di vecchia data… e così scoppiò in una imprevedibile risata e realizzò un frivolo ma intenso pensiero: se posso ridere, posso anche vivere. Christopher Reeve in seguito decise di abbandonare l’idea del suicidio assistito, accettando di vivere nonostante tutto.
Dunque la disomogeneità degli animi umani è la chiave di lettura della spaccatura tra favorevoli e contrari alla pratica dell’eutanasia nel nostro Paese. Ed è la chiave di lettura della sonnolenza delle proposte di Legge in Parlamento. Tale disomogeneità degli animi, che va benissimo, purtroppo comporta anche una disomogeneità nei diritti individuali, che va malissimo! Va malissimo perché se il vuoto normativo pone in una condizione di indifferenza gli animi pro vita, pone in una condizione di drammatica sofferenza gli animi pro morte.
La realtà è brutale, ma voltarsi dall’altra parte per non guardarla non la rende lieve. La realtà è che c’è chi la notte, dopo aver preso chimicamente sonno, sogna di non svegliarsi più perché all’indomani potrà compiere solamente la non azione di restare bloccato in un letto zuppo di lacrime. La realtà è che non tutti possono scegliere la vita, nonostante per tutti il motto sia lo stesso: scegliete la vita!
*Antonio Coppola, collaboratore Charta minuta