Se mancano argomenti c’e’ bisogno del nemico
Le campagne elettorali, come noto, esasperano le regole già estreme della comunicazione politica: la realtà è mera rappresentazione, la verità è solo narrazione e gli annunci sostituiscono i fatti. L’avvento ultra-decennale dei new media (i social) poi, ha peggiorato le cose, al punto che quasi tutto è propaganda, o meglio, siamo e viviamo come cittadini, 24 ore su 24, dentro una campagna elettorale permanente. Una tendenza recente? Non proprio; c’è una cosa che non cambia mai: “La sindrome di Voltaire”, codice genetico della sinistra; ossia, la pretesa di incarnare religiosamente l’etica, la morale, la democrazia, la cultura, il progresso, i diritti, l’ambiente etc. Uno schema ideologico-comunicativo dogmatico, apripista di fatto del pensiero unico: da una parte il bene, dall’altra il male. E guarda caso, il male, è la destra. Da sempre. A meno che, non si trasformi nella destra che vuole, gradisce il politicamente corretto, il mainstream, ignorando, invece, il percorso di evoluzione e modernizzazione autonome che ha fatto da anni.
È un’abitudine che diventa rituale ossessione giacobina in prossimità del voto, con accelerazioni violente, specialmente quando i sondaggi e il sentiment della popolazione si orienta, come si sta orientando, numeri e dati alla mano, dopo l’esperienza “tecnica” di Draghi, verso il centro-destra, con Fdi in pole position.
Tra luglio e agosto, come per le ultime amministrative (si pensi alla campagna denigratoria di Fanpage, amplificata da Piazza Pulita), è stato riproposto il “fantasma-fascismo”, marchio di infamia che viene puntualmente evocato quando la sinistra, a corto di idee, di programmi e prospettive, ricorre alla strategia della paura, per banali logiche di ricompattamento interno.
Una paura, con sempre meno mordente, ma che ancora evidentemente
fa presa, o tenta di far presa, su un elettorato moderato, centrista, sensibile al tema.
Analizziamo ora tre focus, emblematici di questa comunicazione faziosa.
Orchestrati contro Giorgia Meloni.
GIORGIA LA CANTANTE. Su Facebook la nota artista ha brillato per ideologismo e razzismo strisciante, tra l’altro, inspiegabili e improvvisi. Forse dettati da semplici esigenze di brand personale. La verità è che il nome Giorgia non può e non deve essere monopolizzato dalla leader diFdI (si ricordi il tormentone virale proprio sul nome). Evidentemente occupa spazi ritenuti vitali per l’immagine e la carriera.
“Anche io sono Giorgia, ma non rompo i coglioni a nessuno”. Un dardo social della Giorgia cantante, negando il diritto di esistere alla Giorgia politica. Un messaggio che ne contiene un altro: le idee sostenute dalla leader di FdI “rompono i coglioni” A cosa? A chi? Al politicamente corretto, al progressismo, concepiti acriticamente come pensiero unico.
Tradotto, si nega cittadinanza a un pensiero politico diverso, condiviso da
milioni di italiani.
E’ sempre lo schema “bene-male”, “amico-nemico”, “buono-cattivo”. La risposta social della Giorgia politica non si è fatta attendere: si è posizionata in modo inclusivo, trasversale, “accogliente”, per non riprodurre al contrario, lo scontro frontale, divisivo, amico-nemico, bene-male, con una comunicazione corretta, ferma, ma non violenta, come quella della sua interlocutrice: “Trovo che la voce di Giorgia sia straordinaria (messaggio rivolto ad un pubblico vasto di utenti, fan della cantante, magari pure di destra) la ascolto volentieri da sempre, senza essere costretta a farlo, così come lei non è costretta ad ascoltarmi se non le piaccio. La democrazia funziona così. Ma su una cosa io e l’artista siamo diverse. Se a me non piacesse la sua musica o la sua voce, non avrei bisogno di insultarla”.
Rivendicazione della libertà da un lato (sottraendo la parola libertà allacontroparte), e “sindrome di Voltaire”, rispedita al mittente: è la sinistra
che censura, demonizza, emargina.
IL MASSIMALISTA DEMOCRATICO. Passiamo alla provocazione scientifica attuata con mestiere e cinismo dal conduttore di Piazza Pulita Corrado Formigli.
Un tweet che la dice lunga sulla trappola comunicativa preparata a tavolino: “Nigeriano invalido, massacrato da un italiano a Civitanova Marche. Attendiamo post indignati di Giorgia Meloni e Matteo Salvini”. Cosa nasconde tale innocente invito? Si chiama “perimetro dell’imbuto”. Ecco la regola: coinvolgere l’interlocutore, chiocciolandolo (così lo si chiama in causa e l’altro è costretto a replicare); interlocutore, non avversario, ma ovviamente nemico, con una ipocrita forma di comunicazione, mascherata da presunto invito, per metterlo all’angolo.
Un messaggio, anche qui, che ne sottintende un altro: voi di destra strumentalizzate le aggressioni, perpetrate dai migranti, perché fa comodo alla vostra demagogia populista, ma state zitti quando un italiano, un bianco, fanno altrettanto; segno di un disagio e di una difficoltà oggettiva.
Impostazione ideologica denunciata dalla Meloni (tweet di risposta): “Prima di usare la morte del povero Alika per la tua penosa propaganda, potevi almeno prima esprimere solidarietà alla famiglia. Come puoi verificare, io la mia condanna verso questo brutale omicidio, l’ho espressa
subito. Sciacallo”.
Colpito e affondato, Formigli ha tirato fuori le unghie, tradendo il vero intento della sua provocazione, svelando il gioco: “Penoso, sciacallo, così parla una leader di governo? Felice di aver contribuito con un mio tweet a farle scrivere due parole per la povera vittima”.
Primo, resta il fatto eclatante che a Formigli della povera vittima in realtà, non interessava e interessa nulla. E’ stato solo un pretesto per “snidare”
la fascista Meloni. Secondo, l’obiettivo di Formigli era come sempre, dimostrare l’impresentabilità e l’inaffidabilità di una destra non liberale che si candida a governare e non può e non deve farlo: va fermata, altrimenti finisce la libertà incarnata dalla sinistra.
A questo punto, Formigli ha vuotato il sacco. Lui che ha premeditato
tutto, nel nome della democrazia che religiosamente solo il mainstream
rappresenta, si appella alla libertà di informazione, al diritto di cronaca “esercitato dai giornalisti e tutelato dalla Costituzione confondendolo con
la propaganda dei partiti”. Quella stessa libertà di informazione, quello stesso diritto di cronaca che nega a GiorgiabMeloni.
RAZZISMO VIA ETERE. Ultimo focus, quello appalesato da Elisa Ansaldo, conduttrice del Tg2 (fatto denunciato da Daniela Santanché). La leader di Fd viene attaccata perché, da dichiarata tifosa della Roma, pare che da ragazza fosse invece laziale, cioè della squadra romana i cui sostenitori sono considerati prevalentemente di destra. Voltafaccia a copi bassamente elettoralistici? In realtà poco importa, la questione era un’altra. Infatti, la giornalista Rai ha commentato che, se anche avessed etto una bugia, beh, le sue colpe sarebbero ben altre: Così Anzaldo: “Se è peccato, non è il peggiore commesso dalla Meloni”. Sorrisi a parte, questo è un esempio di pre-giudizio, di verdetto fisso affibbiato a un avversario politico, una specie di condanna religiosa, una scomunica via etere, ancora una volta figlia della “sindrome di Voltaire”. Si può bocciare l’altro con violenza, ma anche e soprattutto con il sarcasmo, declinazione della classica superiorità morale, che appartiene ai politici, ai giornalisti, agli intellettuali di sinistra.
Ma tant’è. Solo quando la dialettica democratica, il civile confronto tra idee sullo stesso piano e con pari dignità saranno patrimonio condiviso, allora il nostro paese sarà veramente progredito e non retaggio delle mai definitivamente seppellite guerre civili, guerre fredde e indomite opposte tifoserie. L’obiettivo di rimodulare forme e contenuti della comunicazione politica, maggiormente legata, connessa ai temi, ai programmi, nella normale attualizzazione storica, è l’unica strada da percorrere nella prospettiva di una nuova pacificazione nazionale. E tale strada devono percorrere tutti, da destra a sinistra: politici, intellettuali, esponenti del mondo associativo, del lavoro, dell’impresa.
di Fabio Torriero
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