Si deve partire dal sud
Il termine della drammatica epidemia in corso, imprevedibile nei suoi tempi, potrà essere l’elemento scatenante per determinare un ritorno nell’Europa occidentale, ed in Italia in particolare, della produzione industriale delocalizzata in altri paesi “a basso costo del lavoro”.
Questo perché sono ipotizzabili due fenomeni congiunti: in primo luogo, un maggior intervento dello Stato nel sistema economico, atto a garantire la produzione interna di beni considerati necessari, la cui fornitura non può essere lasciata solo a logiche di profitto individuale; in secondo luogo, un’autonoma tendenza in questa direzione delle imprese multinazionali, vuoi perché riterranno non più gestibili catene di approvvigionamento globali, vuoi perché il differenziale salariale con i paesi asiatici è inevitabilmente (e fortunatamente) destinato a diminuire.
L’attuale fase emergenziale sta insegnando molto in tal senso. E potrebbe portare con sé un ripensamento dell’attuale distribuzione dei poteri tra Regioni e Stato centrale, facendo ritornare a quest’ultimo alcune attribuzioni regionali che hanno dato luogo ad inefficienze e moltiplicazione di centri di spesa.
Si deve aggiungere che il Meridione italiano si troverà nei prossimi anni a poter produrre energia ad un costo minore di altre zone italiane ed europee, grazie alla posizione geografica che renderà l’incidenza della produzione elettrica da eolico e fotovoltaico (ormai le fonti elettriche più economiche) maggiore che nel resto d’Europa. Ci si potrà quindi trovare nella situazione in cui il costo dell’energia, storico tallone d’Achille della competitività industriale italiana, diventi elemento di vantaggio.
Appare dunque auspicabile l’elaborazione di un piano strategico nazionale per favorire ed accompagnare il processo qui delineato, i cui punti salienti potrebbero essere i seguenti:
(A) Settori: individuazione dei settori più rilevanti, favorendo quelli a maggior valore aggiunto ma tenendo anche conto delle esigenze di diversificazione produttiva; (B) Territori: creazione di distretti industriali sul territorio dove incentivare uno o più settori anzidetti, partendo dall’attuale distribuzione produttiva del Paese e dalle infrastrutture logistiche di trasporto esistenti; (C) Ricerca: razionalizzazione dei centri di ricerca universitaria in modo coerente ai citati distretti, al fine (ad esempio) di concentrare le attività di ricerca sulla biochimica all’interno del distretto farmaceutico (ad esempio) di Salerno, chiudendo gli altri; (D) Intervento pubblico diretto: laddove necessario, dotare i distretti industriali di un’impresa a controllo pubblico – ad esempio mediante CDP – che possa rappresentare il perno infrastrutturale a supporto del sistema privato del distretto; (E) Coordinamento: realizzare strutture di monitoraggio e coordinamento delle imprese aderenti al distretto, al fine di garantire una cooperazione tra le medesime. (F) Meridione: per le aree del Sud, pensare ad agevolazioni per la rapidità degli atti giuridici (tribunali per l’impresa) e per la sicurezza degli impianti dalla malavita (sorveglianza dell’esercito).
Non sappiamo ancora se, ed in che misura, l’Unione Europea parteciperebbe ad un piano di tal fatta. E’ anche possibile che questo sia realizzato di concerto solo con alcuni dei Paesi membri che compongono con l’Italia un’area omogenea dal punto di vista culturale ed economico (ad esempio Francia, Spagna, Grecia), mediante una politica industriale unitaria.
Tuttavia, prudenza vorrebbe che l’Italia iniziasse a lavorare da sé, trattandosi del Paese europeo più colpito dalla scellerata epoca delle delocalizzazioni industriali, che ha falcidiato un’intera classe di tecnici specializzati per far posto ad un popolo di blogger precari e di camerieri per turisti. Vi sarà dunque l’occasione di ripensare all’erronea deregolamentazione dei movimenti di merci e capitali degli ultimi trent’anni, causa prima dell’incremento delle diseguaglianze economiche. Anche in Cina.