Sole che sorgi, libero e giocondo…
“Sole che sorgi libero e giocondo/ tu non vedrai nessuna cosa al mondo…”
Accendi la radio al mattino e la voce di Andrea Bocelli ti accompagna ad un’altra giornata di solitudine da coronavirus. Suscitano ricordi lontani le note dell’Inno a Roma, musica di Giacomo Puccini, versi tratti dal “Carme secolare” di Quinto Orazio Flacco. Avevo 13 anni o poco più quando, di nascosto dalla famiglia, cominciai a frequentare la Giovane Italia, al primo piano di una palazzina in via Diaz a Salerno. Ed a partecipare a qualche manifestazione, al Teatro Capitol a Portanova, che si apriva appunto con l’Inno a Roma. Ricordo che un esponente locale della destra amava però concludere i suoi comizi con le note di una vecchia canzone napoletana: “Tiempe belle e na vota, tiempe belle addò state, ma pecchè nun tornate…”. Politica, folclore e non solo. Anche nostalgia, caratteristica e limite della destra dei primi anni Sessanta che indulgeva a guardare più al passato che al futuro. Non riuscivo a capire quella nostalgia per i “tiempe belle e na vota” anche perché non li avevo vissuti e non sapevo se poi erano stati veramente belli. Però mi suscitavano una a tenerezza immensa e un’amorevole comprensione quelle persone che cantavano versi che riportavano ad un tempo passato, che non sarebbe tornato mai più. Che tenerezza davvero!
È la stessa tenerezza infinita che mi suscita ascoltare oggi quei nostalgici giovani o vecchi che cantano “bella ciao”, un po’ come “… tiempo belle addò state, ma pecchè nun tornate…”. Un indulgente rispetto e una misericordiosa simpatia per chi, in buona fede, incapace di guardare avanti, preferisce rifugiarsi oggi in un passato che immagina dorato. E trova la sua realizzazione cantando “bella ciao”.
Ha una sua storia antica “bella ciao”. All’origine si presume fosse un canto infantile diffuso nelle campagne nelle regioni del nord, caratterizzato da un “ciao” ripetuto e ritmato: “La me nòna l’è vecchierella”.
La si ritrova successivamente in differenti versioni nei canti delle mondine padane e venete. “Alla mattina appena alzata/o bella ciao bella ciao bella ciao, ciao, ciao/ alla mattina appena alzata/in risaia mi tocca andar./E fra gli insetti e le zanzare/un duro lavoro mi tocca far”.
“Bella ciao” nella versione più conosciuta (…o partigiano/ portami via…) si identifica ormai come canto della lotta partigiana nella guerra di liberazione, un inno alla resistenza. Secondo due storici della canzone italiana, Savona e Straniero, in realtà “bella ciao” fu poco cantata durante guerra partigiana. La diffusione a livello internazionale avvenne a Praga nel 1947 al primo Festival mondiale della gioventù democratica. La cantarono i giovani partigiani emiliani che parteciparono alla rassegna canora “ Canzoni mondiali per la gioventù e per la pace” nel paese comunista. Nel corso degli anni è diventata una sorta di bandiera della sinistra monopolizzata principalmente dal Partito democratico a cui si sono aggiunte di recente le Sardine.
Toccante riguardo e umana comprensione merita chi il 25 aprile la canterà. Io oggi preferisco però darmi alla lettura mantenendomi in tema.
E allora scelgo appunto il libro dal titolo “Bella ciao” di Giampaolo Pansa, una “controstoria della resistenza”, il racconto di quello che accadde in Italia dopo il 25 aprile. Pansa scrive che chi va in piazza a cantare “Bella ciao” è convinto che tutti i partigiani abbiano combattuto per la libertà dell’Italia. È un’immagine suggestiva della resistenza, ma – secondo l’autore – non corrisponde alla verità. I comunisti si battevano, e morivano, per un obiettivo diverso da chi lottava per la democrazia. La guerra contro tedeschi e fascisti doveva essere soltanto il primo tempo di una rivoluzione destinata a fondare una dittatura popolare, nel blocco dell’Unione Sovietica. L’obiettivo insomma era di sostituire la dittatura fascista con un’altra dittatura, quella comunista. Giampaolo Pansa racconta come i capi delle brigate Garibaldi abbiano tentato di realizzare questo disegno autoritario e in che modo si siano comportati nei confronti di chi non voleva sottomettersi alla loro egemonia. Il Pci era il protagonista assoluto della Resistenza. Più della metà delle formazioni rispondeva soltanto a comandanti e commissari politici rossi. Il libro di Pansa ricostruisce il cammino delle formazioni partigiane guidate da Luigi Longo e da Pietro Secchia sin dall’agosto 1943, con la partenza dal confino di Ventotene. Poi le prime azioni terroristiche dei Gap, l’omicidio di capi partigiani ostili al Pci, il cinismo nel provocare le rappresaglie nemiche, ritenute il passaggio obbligato per allargare l’incendio della guerra civile. La controstoria di Pansa svela il lato oscuro della resistenza e la spietatezza di uno scontro tutto interno al fronte antifascista. E riporta alla luce vicende, personaggi e delitti sempre ignorati. Una lettura illuminante alla vigilia del 25 aprile.