Sole e acciaio di Mishima in quarantena
L’isolamento a cui sei costretto per decreto ti immette in un tunnel dove i giorni vagano a tentoni, a volte sei attratto dal punto luce che intravedi all’uscita lontana, a volte ti fermi a fissare alle spalle la volta che ti riconduce alla vita trascorsa. La quarantena di giorni perduti ti fa vagare nei sentieri delle emozioni di stagioni vissute: i giochi di bambino; i sogni di sabbia; l’amore che dura un’esistenza; o amori cercati, svaniti o mai nati; il sorriso e il mistero di vite che nascono; l’ultimo bacio oltre i confini dell’eterno; fuochi fatui e l’illusione di giovinezza che sopravvive all’età. Quando tutto intorno è buio avverti il vibrare delle emozioni che si eclissano dentro. Magia di un’anima senza corpo.
Dal mondo, fuori dal tunnel che ti avvolge, giunge l’eco delle solite voci, le promesse come il canto di un cigno, le carezze ingannevoli chi ti invita o ti minaccia a startene chiuso nella tua cuccia senza abbaiare.
Ma no, non puoi startene tranquillo a rifugiarti tra i fantasmi che affollano le tue notti e di giorno accompagnano i pensieri. No, lo dicono i giornali e pure la tv: devi stare a casa ma devi fare pure la ginnastica. Precisi, attenti, preoccupati di tenerti in buona salute, ti mostrano come stendere il braccino e alzare la gambetta. Ti vogliono insegnare come coniugare lo spirito e il corpo. E ti viene da sorridere o forse da compiangere. Lo spirito e il corpo. Ma che ne sanno dei sentieri che hai percorso, della tua weltanschauung, della “vita come un arco, l’anima come una freccia, lo spirito assoluto come bersaglio da trapassare”.
Spegni i discorsi del nulla e riprendi tra le mani quel libro che definì la tua gioventù: “Sole e acciaio” di Yukio Mishima, l’ultimo samurai,
disperato cantore di un mondo antico che non si arrende alla forza del moderno e alle sue macerie spirituali. Romanzo e testamento, sintesi del dualismo tra corpo e spirito in un mondo che cerca la morte e va oltre, lirica di una morale eroica tante volte compagna dei tuoi miraggi di gioventù. “Sole e acciaio” è la poesia di fisicità e tradizione, estetica e azione, muscoli e assoluto, testimonianza di una identità oltre ogni limite e convenzione.
In “Sole e acciaio” pubblicato nel 1968, due anni prima del seppuku – il tradizionale suicidio dei samurai – con cui scrisse la parola fine ai suoi giorni, Mishima narra la scoperta della propria entità fisica, i riti delle arti marziali, la ricerca di un linguaggio del corpo come armonia dello spirito. È il superamento della dicotomia tempo e spazio, materia e anima, muscoli ed eroismo.
Mishima, scrive Marcello Veneziani, era il nostro Che Guevara.
Sì fu uno dei miti di ragazzi del secolo passato, canto di rivolta contro il mondo moderno. Età di una generazione che, da una parte e dall’altra, nel nome di Mishima, di Evola, di Marcuse o di Mao chiese tutto e subito e che ha avuto poco e a che prezzo. Eco di una stagione che cantò la libertà, peana della fantasia al potere. E oggi ti accorgi che il potere tenta di soffocare anche fantasia. Stai in casa, non uscire, non muoverti, stai buono: è il lockdown. Pensa alla salute, non ti preoccupare, tieniti in forma: stendi il braccino, alza la gambetta, muovi il bacino…