Transizione green tra luci e ombre. Il caso Euro 7
Mentre i cittadini europei e le aziende stanno affrontando il gravoso aumento del costo della vita dovuto al Covid e alla guerra russa-ucraina, l’Unione Europea rimarca il suo spirito pianificatore e costruttivista. Invece di ipotizzare proroghe di alcuni (ardui) obiettivi futuri, la Commissione continua la sua marcia imperterrita contro ciò di cui l’Europa necessita nell’immediato. Ad esempio, negli ultimi anni la Commissione Europea sta implementando una policy che guarda ad un futuro a emissioni zero. È inevitabile che un tale orizzonte porti con sé gravi ripercussioni sul settore automotive e su tutti i cittadini.
La fine del tunnel in cui l’automotive è entrato a partire dall’inizio del Covid sembra ancora lontana da arrivare: se prima, infatti, le difficoltà derivavano soprattutto dalla mancanza di microchip, con una conseguente riduzione della produzione di nuove auto e un’impennata dei costi delle auto usate – e quindi una riduzione dei guadagni delle case automobilistiche – ora – pur non essendo terminata la crisi dei chip – si è aggiunto il gravoso aumento dei costi delle materie prime e dell’energia. Non solo il mercato italiano, ma tutta l’Europa sta affrontando un momento di crisi epocale. Germania, Francia, Spagna e Gran Britannia – come noi – vedono il segno negativo nelle vendite.
Bisogna – allo stesso tempo – ammettere che la crisi delle industrie automobilistiche non è un fenomeno recente: le condizioni del mercato – ben prima del Covid – non facevano presagire buoni auspici. Tra il 1989 e il 2019 (vedasi il report presentato dalla CGIL nel maggio di quest’anno) la produzione delle auto è diminuita di circa il 72,5%. E sbaglieremmo alla grande se pensassimo che la riduzione delle auto tradizionali sia stata colmata dall’acquisto di veicoli elettrici. A fine ottobre 2022, la Commissione Europea – insieme all’Europarlamento e al Consiglio – ha approvato lo stop alla vendita delle auto a benzina e diesel dal 2035. Una misura molto costosa per i produttori e gli acquirenti, ossia per tutti i i cittadini europei. Partendo dal fatto che le materie prime necessarie all’elettrificazione dei trasporti si trovano in gran parte in Cina – determinando una crescente dipendenza europea dal Dragone cinese, non dobbiamo dare per scontato che l’industria automobilistica europea non venga sostituita nel lungo periodo da aziende cinesi che immettono sul mercato veicoli a basso costo.
Oltre all’accordo di fine ottobre, l’undici novembre la Commissione Europea ha annunciato la proposta di introdurre i parametri Euro 7 entro il 1° luglio 2025 per ridurre le emissioni inquinanti generate dal trasporto su strada. L’obiettivo è quello di introdurre nel giro di tre anni un ennesimo ostacolo a libero mercato e alla libera scelta dei cittadini. Lodevoli sono gli obiettivi, ma la realizzazione colpirà – come sempre – il ceto medio e i più poveri. L’introduzione dell’Euro 7 dovrebbe ridurre del 13% le emissioni di particolato dai tubi di scappamento e fino al 39% di quelle di camion e autobus. Tutti – credo – vorremmo un mondo più green e un ambiente più sano, ma come sempre i piani europei procedono ciechi ed insensibili.
Incredibilmente, in un momento storico caratterizzato da un’inflazione galoppante che sta polverizzando il potere di acquisto delle famiglie europee, l’Unione Europea – palesandosi per l’ennesima volta come una mera entità a fini economici-finanziari – decide di mettere lo sprint alla destrutturazione del mercato automotive in uno dei moment più difficili – e di difficile ritorno. Nei mesi scorsi si diffuse la notizia che l’introduzione della categoria Euro 7 sarebbe stata – saggiamente – rimandata per la forte pressione delle associazioni di categorie delle case automobilistiche date le immense difficoltà che sta attraversando il settore. La reazione, infatti, è stata durissima in particolare da parte di Acea, l’associazione di rappresentanza delle case automobilistiche a livello europeo, che si è detta molto preoccupata per questi obiettivi che la Commissione si pone, non valutando il fatto che già ora in Europa abbiamo gli standard più rigorosi in termine di tutela dell’ambiente dai danni derivanti dal trasporto su strada. Niente da fare, però, per il settore automotive: la Commissione ha deciso che l’Europa necessità dell’Euro 7 ed Euro 7 sarà!
L’Unione Europea fin dalla sua nascita si mostra coesa e unificatrice dove la diversità andrebbe invece rispettata e valorizzata. Che differenza c’è, ormai, nel metodo di lavoro tra l’UE, la Cina o l’Unione Sovietica? Se non per le libertà e i diritti di cui godiamo noi europei (facilmente alienabili dallo Stato centrale, come abbiamo visto durante il Covid), ormai i burocrati europei hanno adottato il medesimo modus operandi di voler pianificare e costruire a priori il futuro, omologando tutti i 27 Stati a parametri che è impossibile che si sposino con le capacità e le abilità degli Stati membri. Riprendendo le parole del filosofo Corrado Ocone, l’Unione Europea, come Stalin, avrà pensato che “per fare una buona frittata bisogna comunque rompere tante uova, e pazienza se le uova in questo caso sono le vite e il benessere degli uomini”. Ecco, se l’obiettivo è ambizioso (come quelli che ci stiamo imponendo a livello ambientale), i burocrati europei non colgono che per raggiungerle bisogna sacrificare – non delle uova – bensì il benessere e il portafoglio delle famiglie.