Una risposta comune dell’Occidente alla crisi ucraina
In una fase della vita internazionale complessa, in rapida evoluzione e per più di un motivo inquietante ( basti pensare, sul versante dell’Indo-Pacifico ,alle perduranti minacce della Repubblica Popolare cinese all’indirizzo della democrazia taiwanese) , le tensioni in atto tra Kiev e i suoi partner occidentali, da un lato, e Mosca dall’altro – con correlati movimenti / ammassamenti di truppe ai confini – non possono che accrescere il livello delle nostre preoccupazioni.
Anche perché tali tensioni si collocano sullo sfondo di un rapporto tra gli Stati Uniti e il Cremlino che resta difficile e improntato a diffidenza reciproca, per una pluralità di motivi. Motivi che vanno, per non citarne che alcuni : dalla persistenza , in seno alla dirigenza e a larghi settori della popolazione russa, di quel “complesso dell’accerchiamento” che da secoli accompagna e condiziona le scelte di Mosca in politica estera – e che è per certi versi l’equivalente di quel che è per la Turchia Repubblicana, altro orgoglioso e sospettoso ex- impero…- il “complesso di Sèvres” – alle inconciliabili tesi , di Mosca e di Washington, circa l’esistenza di un “impegno” americano a non procedere ad allargamenti della NATO verso est ( impegno che il Cremlino asserisce essere stato preso ai più alti livelli all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso: ciò che Washington nega) ; alle confliggenti posizioni delle due Capitali in relazioni a crisi regionali di peso come quella siriana e quella libica nonché con riferimento, ad esempio, alla delicata questione del “nucleare iraniano”; alla perdurante aspettativa di Putin di vedere nuovamente riconosciuto al suo Paese, da parte americana , quello “status” di potenza globale a suo tempo negatogli, con formulazione oggettivamente poco felice..( “la Russia è una potenza regionale”) , dall’allora Presidente Obama; alle accuse di molti Paesi occidentali al Cremlino, USA in primis, di interferenze anche per via cibernetica nelle proprie consultazioni elettorali e nei processi democratici interni.
Di tale perdurante e acceso confronto ad ampio spettro le rinnovate tensioni in atto tra Washington e Mosca relativamente alla “questione ucraina” con richieste incrociate di “garanzie” – per il Cremlino essenziale quella che l’Ucraina mai sarà ammessa a far parte della NATO, per la Casa Bianca quella che la Federazione Russa in nessuna circostanza violerà i confini e la sovranità di quel Paese – rappresentano per così dire il punto di fissazione e, al tempo stesso, un potenziale moltiplicatore , ove la via diplomatica non riesca in tempi stretti a imporsi come strada maestra e senza subordinate… per uscire dalla crisi.
Sotto tale profilo il colloquio di martedi scorso di ben due ore , seppur in tele-conferenza, tra il Presidente Biden e il suo omologo russo non può che essere registrato positivamente, al di là del suo esito non risolutivo ( ma nessuno pensava lo sarebbe stato). Nel merito, si apprende dal comunicato finale diffuso dalla Casa Bianca, Biden ha tenuto a esprimere “ le profonde preoccupazioni degli Stati Uniti e degli alleati europei per l’escalation delle forze armate che stanno circondando l’Ucraina”.
Ha aggiunto, con un passaggio improntato a condivisibile fermezza che “ deve essere chiaro gli Stati Uniti e gli alleati europei risponderanno con forti sanzioni e altre misure nel caso di una ulteriore escalation militare ”. Egli ha poi voluto ribadire, come era lecito attendersi e in linea con la posizione degli alleati europei a cominciare dal nostro Paese, il sostegno degli Stati Uniti alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina ( sostegno – merita ricordare a fronte delle attuali forti pressioni/intimidazioni di Mosca nei confronti di Kiev – che la stessa Federazione Russa non aveva mancato di assicurare nel dicembre 1994 attraverso la sottoscrizione – insieme con Stati e Uniti e Regno Unito seguiti poi da Cina e Francia – del cosiddetto “Memorandum di Budapest” ) .
Accordo con il quale le potenze in parola – in cambio dell’accettazione da parte di Kiev dello smantellamento dell’enorme scorta di armi nucleari che aveva ereditato a seguito della dissoluzione dell’URSS e della sua adesione al Trattato di non-proliferazione – si impegnavano, all’ articolo 1, a “ rispettare l’indipendenza , la sicurezza e l’integrità territoriale dell’Ucraina entro i suoi attuali confini” ( impegno che da parte ucraina si era ovviamente tenuto a ricordare a Mosca , pur se purtroppo senza esito, già nel 2014: all’epoca cioè della annessione russa della Crimea..).
La Casa Bianca ha tenuto tuttavia significativamente a precisare , all’indomani della videoconferenza , che tra le opzioni di sostegno all’Ucraina oggetto di esame non rientra quella militare, e che l’articolo 5 del Trattato istitutivo dell’Alleanza – la reciproca difesa tra alleati nel caso di un attacco di una Parte terza a uno di essi – “ non si può applicare all’Ucraina che membro della NATO non è ”.
Osservo per inciso che il Presidente americano – ciò che non è dato secondario- ha peraltro tenuto ieri a rassicurare personalmente l’omologo ucraino Zelensky quanto al fatto che, si legge nel relativo comunicato della Casa Bianca, “ il sostegno statunitense alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina non conoscerà cedimenti “, rinnovando però in pari tempo la sua aspettativa di una soluzione diplomatica “ anche attraverso un rilancio delle trattative tra Kiev e Mosca , attualmente in stallo”.
Tornando al suo colloquio di martedi scorso con Putin Biden ha poi voluto sottolineare di essere stato molto chiaro con quest’ultimo, “che ha ricevuto il messaggio”, circa il fatto che gli Stati Uniti adotterebbero “sanzioni mai viste” nel caso di un’invasione da parte di Mosca dell’Ucraina. Tra queste, secondo indiscrezioni che circolano a Washington riprese da autorevoli organi di stampa, figurerebbe anche l’ulteriore sospensione della realizzazione del gasdotto Nord Stream 2 : prospettiva di rinnovata messa in “stand-by” del progetto ( progetto al quale il nuovo Ministro degli Esteri tedesco, la verde Annalena Baerbock , è peraltro da sempre contraria) che avrebbe già ricevuto il tacito avallo del nuovo Esecutivo a Berlino.
Si tratterebbe in sostanza di scelta che potrebbe essere utilizzata come sanzione, in caso di ingresso di forze russe in Ucraina; in modo , si osserva, da togliere a Mosca l’arma del ricatto del gas nei confronti dell’Unione Europea.
Da parte sua, Putin ha ribadito – nel corso della sua conversazione da remoto con Biden – la richiesta all’Ucraina di una piena messa in atto delle intese firmate a Minsk nel 2015 sotto l’egida di Parigi, Berlino e Mosca : a cominciare dalla concessione della prevista “autonomia regionale” alle regioni a maggioranza russofona facendone una precondizione per il ritiro delle forze filo-russe dal Donbass. E’ richiesta cui, come noto, le componenti nazionaliste ucraine continuano ad opporsi impedendo l’adozione in Parlamento di misure nel senso indicato nonostante le aperture suo tempo manifestate dal Presidente Zelensky. Putin ha inoltre, a quanto è dato sapere, rinnovato a Biden la richiesta di un “ impegno formale” da parte americana che l’Alleanza Atlantica, dopo l’ingresso nel 2004 delle Repubbliche Baltiche, non si estenderà ad altre Repubbliche ex-sovietiche a cominciare da Ucraina e Georgia. Domanda per evidenti motivi – anche di natura giuridica, non prevedendo il Trattato di Washinton o altri strumenti internazionali in vigore l’avallo di stati terzi a scelte “sovrane” dell’Alleanza- difficilmente ricevibile. Né – a essere onesti e al di là delle ricorrenti recriminazioni di Mosca – paiono al momento sussistere le premesse per raggiungere, sul tema dell’ adesione di Kiev alla NATO, la richiesta unanimità in seno a un Consiglio Atlantico composto ormai da ben 30 Paesi membri con sensibilità e priorità geo-politiche non necessariamente convergenti. Anche perché , merita ricordare, a oggi non esiste alcun invito formale ad Ucraina ( e Georgia), da parte degli stati membri, ad aderire alla NATO.
E tutto questo senza contare le stringenti condizioni poste, per l’ingresso di nuovi membri, dall’articolo 10 dello stesso Trattato istitutivo ( Trattato di Washington dell’aprile 1949). A cominciare da quella secondo la quale lo Stato invitato ad aderire deve essere in grado di “ promuovere i principi alla base del Trattato di Washington “ nonché – condizione che mi sembra ancor più rilevante, e di difficile realizzazione, nel caso di specie – di “contribuire alla sicurezza dell’area nord-atlantica”.
Come sopra accennato di tali fattori di complessità ( per non parlare di vera e propria criticità) la dirigenza russa non può non essere consapevole. Mi sento pertanto di concordare con quanti sostengono che l’insistenza di Mosca sui suoi timori di una prossima adesione all’Alleanza Atlantica di Ucraina ( e Georgia) possa essere in realtà l’espressione, più che di una reale e a mio avviso infondata inquietudine , di una volontà del Cremlino di avvalersi di ogni carta possibile – anche di quelle oggettivamente meno spendibili ….- per rafforzare la propria mano negli attuali e futuri negoziati a tutto campo con Washington.
In tale ottica negoziale e di messa in guardia degli Stati Uniti credo vada letto anche il gioco al rialzo di Putin che , il giorno successivo alla video-conferenza con l’omologo americano , si è così espresso, dopo aver definito “provocatoria” l’accusa che il suo paese voglia attaccare la vicina Repubblica ucraina : ”….sarebbe criminale stare a osservare passivamente gli sviluppi di una possibile adesione dell’Ucraina alla NATO”. Aggiungendo che entro pochi giorni da parte russa sarebbero stati inviati a Washington “ i dettagli di quello che Mosca chiede” a titolo di garanzia. Allo stesso spirito di tattica negoziale c’è da augurarsi ( ma è ,appunto, solo un auspicio..) rispondano le gravi affermazioni, di ieri, del vice-Ministro degli Esteri russo Rybakov spintosi a definire le tensioni che si registrano al confine orientale dell’Ucraina , delle quali sarebbe a suo avviso esclusivamente responsabile l’Occidente e la dirigenza di Kiev, “una minaccia all’ordine mondiale, paragonabile a quelle dei momenti più gravi della guerra fredda”.
Altrettanto preoccupanti le parole di Putin sempre ieri – due giorni dopo dunque la sua videoconferenza con Biden che si poteva sperare avrebbe favorito quanto meno un abbassamento dei toni – secondo le quali “la situazione del conflitto nel Donbass è molto simile a un genocidio” ; cosi come inquietante suona la pressoché contestuale affermazione del Capo di Stato Maggiore russo secondo cui “ la situazione si sta aggravando e qualsiasi tentativo di Kiev di risolvere la crisi del Donbass con l’uso della forza sarà stroncato”. Il percorso per un effettivo e durevole riavvicinamento tra Washington e Mosca sul tema Ucraina e per il superamento delle attuali tensioni resta, dunque, decisamente in salita né il colloquio da remoto tra i due Capi di Stato ( con l’indiretto riconoscimento alla Russia, ciò che Putin notoriamente auspicava, di un ruolo di potenza globale ) appare aver davvero contribuito almeno per ora – ma i fatti diranno- a raffreddare la crisi. Anche se da parte americana- si apprende da autorevoli fonti interne all’Amministrazione riprese oggi tra gli altri dal “Guardian” – si intende proseguire nei contatti con la controparte russa per cercare insieme una via di uscita.
Non a caso – a conferma della serietà e delicatezza della questione ( e , penso, anche per non ripetere il grave errore e danno d’immagine rappresentato dal caotico ritiro statunitense dall’Afghanistan senza alcun previo coordinamento con gli alleati europei) – Biden ha tenuto , subito dopo la conclusione della sua videoconferenza con Putin, a intrattenersi telefonicamente con i “leader” dei principali Paesi alleati europei, tra i quali il Presidente Draghi ( nel cosiddetto “formato Quint ”: Francia Regno Unito, Germania, Italia più Stati Uniti) e altri contatti nello stesso formato sono previsti per i prossimi giorni . Per informarli personalmente dell’esito della sua discussione con Putin e consultarsi su come ulteriormente procedere, a pochi giorni dal Consiglio Affari Esteri UE del 13 dicembre e dal Consiglio Europeo di tre giorni dopo : appuntamenti nel corso dei quali il tema Ucraina e quello di eventuali nuove sanzioni nei confronti di Mosca occuperanno certamente spazio importante.
Su tale sfondo, di per sé quanto mai delicato, la dura reazione di Mosca ( e Pechino) alla tenuta del “ vertice delle democrazie” convocato da Biden al momento in corso in modalità virtuale e che si chiuderà oggi – con Russia e Cina tra i Paesi non invitati – introduce un ulteriore fattore di tensione . Tensione anticipata e alimentata , nei giorni scorsi, anche dall’ articolo a firma congiunta degli Ambasciatori a Washington di Russia e Cina nel quale si accusano gli Stati Uniti di “ dividere il mondo in buoni e cattivi, sulla base di loro criteri”.
Altro appuntamento diplomatico importante , di qui alla prossima settimana, è il confronto anche sul tema Ucraina e dei rapporti con Mosca che il Segretario di Stato Biden – affiancato dall’influente Sottosegretario Victoria Nuland – avrà a Liverpool con i suoi omologhi del G7 da oggi a domenica. Sarà a mio avviso anche un modo per cominciare a dare attuazione da parte americana – sul piano della necessaria previa concertazione con i principali alleati e partner occidentali – all’appello lanciato da Biden a Putin al termine della video-conferenza di due giorni orsono : “ torniamo alla diplomazia e facciamo lavorare i nostri consiglieri”. Appello che, a voler essere ottimisti, lascia in qualche misura la porta aperta alla speranza di una soluzione per via negoziale pur a fronte di ostacoli che restano, senza dubbio, assai difficili da superare….
E proprio per questo motivo la coesione dell’Occidente – in particolare nel quadro atlantico ed europeo : i due pilastri della nostra politica estera – mi sembra più che mai indispensabile, rifuggendo dalla tentazione di fughe in avanti nei rapporti con Mosca ( magari per il perseguimento di benefici di breve periodo ad esempio sul terreno economico o energetico ) che qualche Capitale europea ancora forse coltiva.
Da convinto “atlantista” – consapevole però al tempo stesso del peso geo-politico e della capacità di condizionamento della Federazione Russa, ancor oggi ineludibile potenza euro-asiatica, sulla scena internazionale e regionale – sono però in pari tempo dell’avviso che il convincimento dei Paesi della “vecchia Europa” ( dalla Francia, alla Germania all’Italia) in merito alla necessità continuare ad adoperarsi per mantenere aperto un qualche canale di interlocuzione con Mosca resti, in via di principio, corretto. A condizione , naturalmente, che i comportamenti russi – con riferimento, ad esempio, alla vicenda ucraina o a interferenze nei processi elettorali e nel gioco democratico di paesi terzi – non rendano tale strada impraticabile. E i segnali che giungono in queste ore da Mosca , con le pesanti minacce alla sicurezza e integrità territoriale di uno stato sovrano come l’Ucraina , non inducono all’ottimismo.
E’ dialogo , quello che ho sopra evocato, che andrà condotto con fermezza – in stretto coordinamento con i nostri alleati d’oltre- oceano ( Canada e Stati Uniti) – e con un chiaro disegno politico di lungo periodo: avendo a mente tra l’altro la necessità di fare il possibile per evitare che il riavvicinamento in corso tra Mosca e Pechino si trasformi in un asse durevole e strutturato – seppur dettato, almeno per la parte russa, da motivi tattici – che si risolverebbe in una perdita secca per l’Occidente nel suo complesso. E per le democrazie nostre alleate anche di area asiatica .
L’importante è in sostanza, a mio avviso, definire un obiettivo per il raggiungimento del quale può rivelarsi necessario proseguire un dialogo con la Federazione Russa sui vari teatri di crisi: dal Mediterraneo allargato al futuro dell’Afghanistan e dell’Asia Centrale alla crisi libica a quella siriana.
Per tornare all’obiettivo di fondo cui ho sopra accennato penso, ad esempio, al traguardo di rilievo mondiale del raggiungimento della “stabilità strategica”, al rinnovo in tale prospettiva del Trattato START sulla riduzione degli armamenti nucleari strategici ( venuto a scadenza lo scorso febbraio) e, infine, al contributo che il Cremlino potrebbe offrire alla realizzazione del condivisibile auspicio statunitense, e della NATO, che il cosiddetto “NEW START” possa coinvolgere anche la Repubblica Popolare cinese : da tempo impegnata, come noto, in un impressionante e inquietante potenziamento del proprio arsenale convenzionale e nucleare .
E’ linea del resto, quella del dialogo con Mosca in presenza delle appropriate condizioni , che il nostro Paese – naturalmente all’interno della inequivoca scelta atlantica ed europea da noi effettuata da decenni e opportunamente ribadita più di recente, e con forza, dal Presidente Draghi – da sempre caldeggia al pari di Francia e Germania. Approccio che dovremo continuare a perseguire – sempre che , ripeto, le iniziative di Mosca sul terreno non la rendano impraticabile – attraverso una interlocuzione costante col nostro imprescindibile alleato statunitense. Interlocuzione che dovrà essere in grado però , più di quanto non sia sinora avvenuto, di far valere anche il nostro “interesse nazionale” non necessariamente convergente con quello di Parigi e Berlino: due capitali tradizionalmente assai attente a calcolare i ritorni politici ed economico/commerciali di ogni loro azione di politica estera, anche sul terreno dei contatti col nostro principale alleato .
In sostanza, quello che auspico è un’ Italia membro convinto dell’Alleanza atlantica – e fedele agli obblighi che ne derivano – non pregiudizialmente chiusa però all’esigenza per l’Occidente di mantenere aperto per quanto possibile il dialogo con Mosca, nel segno di interessi di portata più generale ( come quelli, per non citarne che alcuni, del controllo e della riduzione delle armi di distruzione di massa e del contenimento delle ambizioni cinesi su scala mondiale) . La duplice via della deterrenza e del dialogo con Mosca , ma solo in presenza delle necessarie condizioni, è del resto quella che la stessa NATO persegue , esplicitamente ribadita, da ultimo, nelle conclusioni del vertice alleato di Bruxelles dello scorso 14 giugno . Un’ invasione russa del territorio ucraino, indipendentemente da come Mosca tentasse poi di giustificarla, si rivelerebbe evidentemente ostacolo non superabile sulla via della prosecuzione del dialogo ; e tale da innescare da parte americana la presa in considerazione di altre opzioni, tra le quali quella di un accresciuto sostegno anche sul versante delle forniture militari agli alleati più a ridosso del confine russo ( oltre che , va da sé, in termini di invio di ulteriore equipaggiamento difensivo all’Ucraina).
*Gabriele Checchia, responsabile per le Relazioni internazionali della Fondazione Farefuturo