Una Rai non populista ma aderente all’interesse nazionale
Di tutto, di più? Per ora a farla da padrona è semmai il segno meno. Rai, è lì che alla fine i nodi del centrodestra vengono tutti al pettine. Forse un contrappasso. O forse l’amaro epilogo di una formula politica che deve tanto – forse troppo – alla galassia televisiva made in Milano. Silvio Berlusconi – “Sua Emittenza”– cuce e scuce l’alleanza che lui stesso ha creato a partire dal nodo editoriale, confermando alla lontana i sospetti di chi ha sempre sostenuto che l’unico ed esclusivo interesse dietro la discesa in campo del ’94 fosse proprio quello di salvare il Biscione. Se tale assunto è difficile da dimostrare, lapalissiano è invece – come ha detto giustamente Pietrangelo Buttafuoco – che sia la destra la principale nemica della destra stessa, anche e soprattutto in questo caso. Un tafazzismo vecchio quanto il cucco che prima o poi sarebbe ora di cestinare.
Sulla bocciatura tattica di Marcello Foa alla presidenza di viale Mazzini, si è già detto e scritto parecchio. E da qualsiasi angolatura si guardi la vicenda c’è da mettersi le mani nei capelli. A partire dal dettaglio, neanche troppo marginale, che sull’appartenenza sia culturale sia aziendale del diretto interessato, l’ex Cav avrebbe dovuto avere ben poco da obiettare. Al di là del ritorno del patto del Nazareno e degli eventuali sviluppi di una faccenda ormai paludosa, il problema connesso alle future linee editoriali della tv di Stato merita una profonda riflessione. Andando oltre alla conta delle poltrone, c’è infatti da capire quale sia l’idea di Paese che dovrebbe informare il nuovo palinsesto Rai. La Rai targata M5s + Lega, per inciso.
Un interrogativo non da poco, perché prima ancora c’è da individuare quale narrazione culturale complessiva dovrebbe fare da ancella alla stagione giallo-verde al governo. Stando al versante Cinquestelle si potrebbe andare tranquillamente di sciabola: no vax, no tav, no tap. Una filosofia al negativo che non sappiamo, però, quanto possa stuzzicare gli inserzionisti pubblicitari. Facendo leva sul versante giustizialista – main theme del primo grillismo – qualche spunto per il palinsesto lo si troverebbe: Report a go go e maratone di Torto o Ragione? Verdetto finale (Forum versione Rai, per intenderci). Decisamente poco, suvvia.
Foa o no, la presidenza Rai tocca alla Lega. Una responsabilità non da poco. Facciamo allora un passo indietro, a quando cioè il Carroccio pensò bene di sfruttare l’emittente di Stato per imporre il verbo padano sulla Roma lottizzatrice. A dirla tutta, la produzione del film Barbarossa di Renzo Martinelli (2009) non fu indimenticabile. Per quanto goffo, però, il tentativo aveva delle premesse coerenti. In fondo, anche Il cuore nel pozzo (2005), miniserie che raccontava il dramma delle foibe, aveva come obbiettivo di offrire ai telespettatori un’alternativa ai tentativi politicamente connotati quali la Meglio Gioventù di Marco Tulllio Giordana. Mancò però la costanza, la qualità e la volontà di proseguire un percorso chiamato a dare dignità all’altra metà del Paese. In tal senso, la responsabilità di Berlusconi ha pesato parecchio e non in funzione di un’autocensura, ma perché l’idea d’intrattenimento proposta dalle sue stesse reti non è mai andata oltre un certo sentire tutt’altro che impegnato.
Quell’epoca però è superata e la distanza del sistema editoriale e il sentire del Paese non sono mai state così ampie, tanto che il linguaggio da prima e seconda Repubblica sta stretto soprattutto a tutti coloro che pagano il canone in bolletta. Se il caso Foa ha qualcosa di allarmante, il dramma sta tutto in chi lo ha voluto dipingere il suo ritratto a tinte fosche sol perché da giornalista serio qual è, tenta di raccontare la realtà secondo categorie aderenti ai fatti e non filtrate da alcune centrali di potere. Ecco, appunto: la nuova Rai dovrebbe aggiornare il comparto dell’informazione e dell’approfondimento verso non una svolta populista, ma vicina semmai alla sensibilità popolare e all’interesse nazionale. Che non passa soltanto dalle fortunate serie quali Don Matteo, Il commissario Montalbano o Tutto può succedere.
Raccontare la famiglia ai tempi del precariato evitando le declinazioni di una certa borghesia avvizzita sarebbe un buon inizio. Raccontare la forza dei territori, al di là dei soliti cliché turistici pure. Mettere al centro le capacità di un Paese che lavora e produce al di là delle narrazioni autolesionistiche che esso stesso produce, ovviamente. In ultimo: smontare gli ultimi ridotti della partitocrazia d’opposizione primorepubblicana – Rai3, per intenderci – non dovrebbe essere una opzione tra le altre. Semmai un dovere.
*Fernando Adonia, collaboratore Charta minuta