Vita e morte nella ripartenza
Vorrei fare una rapidissima considerazione sul tema del “come ripartire, come reagire”, dopo l’ultimo, controverso e inadeguato decreto del Presidente del Consiglio e a séguito della riunione telematica di ieri del Comitato scientifico della Fondazione Farefuturo; ciò con riferimento all’intervista rilasciata alla berlinese Tagesspiel dall’attuale Presidente del Bundestag tedesco, il non troppo amato cristiano-democratico Wolfgang Schäuble.
Cosa ha detto Schäuble? Innanzitutto si è richiamato alla costituzione della Repubblica federale, dimostrando quel senso del rispetto delle norme (supreme, ordinarie e amministrative) che in Italia, a partire almeno dal governo Renzi e poi con i 5 stelle, è andato praticamente perduto; nel merito ha poi richiamato l’art. 1 del Grundgesetz, che dichiara la dignità dell’uomo come principio giuridico assolutamente intoccabile. Nessuna regolazione funzionale, effettivamente o presuntamente, alla protezione della vita in generale può limitare i diritti fondamentali e in particolare il principio della Würde garantito dall’art. 1. La tutela e la intoccabilità della dignità umana costituiscono un obbligo costituzionale che presuppone indubbiamente il rispetto della vita, la tutela dei modi, delle forme e degli aspetti leciti del vivere, ma non implica la negazione della morte. La morte è infatti un momento ineliminabile della vita sia per chi la considera fine di tutto sia per chi la vede come un passaggio ad altro stato dell’essere. Come a dire: cerchiamo di vivere bene, con dignità e rispetto della nostra qualità di esseri superiori, nella consapevolezza che tutti, prima o poi, moriremo e che ciò che il potere pubblico può e deve fare, in uno Stato che si rispetti, è garantire la salute e la dignità dei suoi cittadini, non certo che essi non possano morire.
Mi rendo conto che all’orecchio di un normale cittadino questo discorso può suonare stridulo, irritante. E tuttavia, se ci si riflette con un minimo di autonomia intellettuale, si capirà che il Presidente del Bundestag ha detto in maniera più essenziale quello che molti, anche in Italia, pensano e che viene però in modo rozzo espresso con la frase “non possiamo morire di fame”, mentre Schäuble dice che non possiamo non vivere con dignità. Questo significa, sostanzialmente, che una nazione deve organizzare la vita dei suoi cittadini, ma non la loro “non-morte”. Si può morire in autostrada, di influenza stagionale, di infarto, per un’aggressione e così via e contro questi accidenti della vita occorre attrezzarsi come si è finora fatto: con ospedali funzionanti, limiti di velocità, forza pubblica ecc., senza andare oltre i limiti posti dal diritto. In condizioni come l’attuale uno Stato deve invitare alla prudenza e i cittadini hanno l’obbligo di esserlo per rispetto verso se stessi e verso tutti gli altri, ma non può né deve avere come unico obiettivo – al di fuori di stati di eccezione che per loro natura sono temporanei – la totale ‘immunizzazione’ del paese, cosa impossibile dinanzi alla realtà storica, la quale ci ammonisce sul fatto che le epidemie, in forme e conseguenze diverse, ci sono sempre state (chi ricorda la cosiddetta ‘spaziale’ del 1969, che fece 20.000 morti?) e forse sempre ci saranno.
In altri termini: non si può continuare a tenere chiuso il paese per la “paura della morte”. Occorre organizzare la possibilità della vita nel suo pluriversum, con più soldi nelle strutture sanitarie (semmai con pene più gravi e certe per chi nella sanità pubblica ha trovato per decenni una greppia per i propri loschi affari), aumentando il personale e i posti letto negli ospedali e nelle terapie intensive, insomma organizzando al meglio l’esistenza normale finché questa c’è, prevenendo i rischi e tutelando le condizioni di vita, gli àmbiti comunitari e individuali entro i quali essa si svolge, senza volere a tutti i costi esorcizzare la morte.
Concretamente, poi, questo significa anche che lo Stato non può ‘surrogare’ in maniera duratura il fatturato industriale: se è necessario che lo Stato intervenga con contributi anche a fondo perduto per le aziende in difficoltà a causa dell’epidemia, ciò non può essere fatto in maniera che temporalmente ecceda il minimo necessario e presupponendo uno sforzo nazionale, non un’elemosina allogena che rischia di esporre l’Italia a interventi stranieri (leggi: Cina). Ora: qual è il minimo necessario? Nell’interrogativo appare con forza la seconda conseguenza che Schäuble trae e che mi trova d’accordo: le decisioni politiche spettano alla politica e non agli ‘esperti’ (qui i virologi e epidemiologici, che del resto sono in contraddizione tra loro e con se stessi). Quando il nostro attuale Presidente del Consiglio si nasconde dietro i ‘comitati tecnici’ in verità abdica al suo ruolo, alle sue funzioni e alle sue responsabilità, cosa che non sta accadendo in nessun altro Stato europeo (persino Macron ha messo riparo alle sue follie).
Se queste considerazioni fossero giuste sarebbe necessario riaprire ora tutto quello che è necessario riaprire in tutti i luoghi dove questo è almeno meno insicuro per impedire che la dignità della vita dei singoli venga toccata: a causa di povertà, fallimenti aziendali, perdita di istruzione, degrado della qualità del quotidiano in tutte le sue forme, incertezza sul futuro. Questo significa, in due parole, che l’attuale governo è del tutto inadeguato alle necessità del paese, che anzi a conti fatti appare sempre più come il co-responsabile della crisi, presente e soprattutto futura. Non so se un altro governo avrebbe fatto meglio, ma, indubbiamente, un’alternativa decorosa e responsabile appare oggi il modo in cui la Regione Veneto del Presidente Zaia ha affrontato l’emergenza, a tutti i livelli, politici, amministrativi, di controllo e di comunicazione. Insomma: i presunti ‘avvocati del popolo’ forse non sono il destino dell’Italia.